martedì 10 gennaio 2012

Restituiamogli il sorriso!


Sicander è un bambino indiano. Non sa quanti anni ha. Non ha genitori nè fratelli. Viene da un piccolo villaggio. Una famiglia proprietaria di negozi e di una guest house lo ha preso a lavorare. Lavoro è una parola lieve, per un rapporto che spesso rasenta la schiavitù, vista la mancanza di tempo libero, e la paga spesso non data. Sicander passa la maggior parte delle sue giornate in fondo ad un corridoio stretto e buio, seduto su di una panca, con il compito di avvisare i padroni se arriva qualche cliente. La notte dorme sulla stessa panca con una copertina, insufficiente a riparare dal pungente freddo dell'inverno. La mattina pulisce le scale e le camere lasciate dai turisti. Ogni tanto viene mandato fuori per qualche piccola commissione. Quando passo di lì, gli allungo un dolcetto, una banana, qualche rupia. Lui accetta titubante, abbozzando un mezzo sorriso, con uno sguardo misto di stupore e di dignità sopraffatta dalla necessità. Gli insegno qualche parola di inglese. Gli racconto che porta il nome di uno dei più grandi Re dell'antichità (Sicander è il nome che gli indiani dettero ad Alessandro Magno), un guerriero valoroso che aveva conquistato tutte le terre conosciute. Per un attimo i suoi occhi si illuminano, ed il piccolo Sicander comincia a sognare. E' un istante, poi si torna alla cruda realtà.

La storia di Sicander è purtroppo comune a molti altri bambini, non solo indiani, ma di tutto il mondo. Tenere creature, la speranza del futuro, che la vita ha fatto crescere in troppa fretta.

Vorrei vivere in un mondo dove tutti i bambini si preoccupassero solo di giocare e di andare a scuola.

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