lunedì 5 novembre 2012

Lo Stato delle Foreste del Mondo e la Deforestazione



Nel nostro pianeta, le foreste coprono una superficie totale di circa 4 miliardi di ettari (40 milioni di km2), corrispondenti al 31% delle terre emerse. Come si può vedere dalla successiva immagine, esse si distribuiscono su due grandi fasce geografiche, una a cavallo dell’equatore (foreste umide equatoriali dell’ Amazzonia, Africa ed Indonesia, composte da latifoglie), l’altra in corrispondenza delle latitudini medio alte dell’emisfero boreale (su cui vive alle medie latitudini la foresta di caducifoglie, e nella zona circumpolare, la sterminata taiga, costituita quasi esclusivamente da conifere).
I cinque stati con maggiore copertura forestale sono, nell’ordine, Russia, Brasile, Canada, Stati Uniti e Cina, i cui boschi occupano oltre metà dell’intera superficie forestale mondiale. Dieci paesi non hanno alcuna foresta entro i propri confini; in altri 54 la superficie boscata è inferiore al 10% di quella complessiva del paese.

Distribuzione delle foreste nel mondo. Fonte: Global Forest Resources Assessment FAO 2010
Questi dati emergono dal FRA 2010 (Global Forest Resources Assessment – Valutazione delle Risorse Forestali del Mondo), monitoraggio sullo stato delle foreste mondiali realizzato nel 2010 dalla FAO (per consultare il documento originale, cliccare qui). Dal 1946 la FAO si occupa, attraverso i propri stati membri, di valutare la situazione delle foreste mondiali ad intervalli di tempo che attualmente si ripetono ogni cinque anni. Il FRA 2010 è il monitoraggio più completo ed accurato realizzato fino ad oggi: ha interessato 233 Paesi, considerando oltre 90 variabili relative alle foreste, e facendo ampio uso del remote sensing, in particolare di immagini satellitari all’infrarosso di alta risoluzione.

Tra tutti i dati riportati, appare alquanto drammatico quello che riguarda il tasso annuo di deforestazione globale, che nella decade 2000/2010 ha raggiunto i 13 milioni di ettari all’anno. Si tratta di 130.000 km2, una superficie che corrisponde a quella dell’Intera Grecia! Ogni minuto sul nostro pianeta viene persa un’area di foresta pari a quella di 40 campi da calcio. La deforestazione è dovuta in massima parte all’azione dell’uomo (vedi oltre), e secondariamente alle catastrofi naturali. La situazione è comunque migliorata rispetto alla decade 1990/2000, quando la perdita di foreste si era attestata sui 16 milioni di ettari annui. Il Brasile e l’Indonesia, che nella decade 1990/2000 avevano avuto il più alto tasso di perdita netta, tra il 2000 ed il 2010 lo hanno ridotto significativamente, mentre l’Australia lo ha aumentato a causa di ripetuti anni di siccità e del ripetersi di incendi disastrosi.


Alla deforestazione si oppone l’espansione naturale del bosco nelle aree agricole abbandonate (fenomeno in corso soprattutto in Europa), ed il rimboschimento da parte dell’uomo di terreni nudi (nell’ultima decade, in Cina, ad esempio, sono stati intrapresi enormi programmi di rimboschimento, che hanno interessato milioni di ettari di terreni nudi).
Il bilancio tra le due voci anteriori (differenza tra aree deforestate ed aree rimboschite più aree riconquistate dal bosco) porta ad una perdita netta annua di 5,2 milioni di ettari di area forestale (superficie pari a quella della Bosnia Erzegovina). Tale perdita era stata di 8,3 milioni di ettari nel 1990/2000.
Nella seguente figura  sono visualizzati i dati regionali, relativi alla perdita netta annua nelle decadi 1990/2000 e 2000/2010. Nell’ultima decade, Il Sud America (- 4 milioni ha/anno) e l’Africa (- 3,4 milioni ha/anno), continuano ad avere il più alto tasso di deforestazione nel mondo. Anche l’Oceania ha visto aumentare le sue perdite, per i già citati eventi che hanno riguardato l’Australia. L’area occupata da foreste è rimasta pressoché stabile in Nord e Centro America, mentre in Europa (+700.000 ha/anno) si consolida l’espansione, anche se con un ritmo minore rispetto alla precedente decade (che aveva visto un aumento netto di 900.000 ha/anno). L’Asia, infine, passa da una perdita netta di 600.000 ha/anno degli anni ’90, ad un guadagno netto di 2,2 milioni ha/anno, a causa dei rimboschimenti in Cina, e nonostante le alte perdite dell’Asia meridionale e sud-orientale. 

Cambiamenti annuali nella superficie forestale regionale 1990/2010 e 2000/2010. Fonte: Global Forest Resources Assessment FAO 2010
La successiva immagine illustra invece i cambiamenti annuali nella superficie forestale dei singoli  paesi.

Cambiamenti annuali nella superficie forestale dei paesi, 2005/2010. Fonte: Global Forest Resources Assessment FAO 2010
Un altro dato, al contempo interessante ed importante, riguarda la quantità di carbonio immagazzinata nella biomassa delle foreste mondiali, che assommerebbe a 289 miliardi di tonnellate. Tra il 2005 ed il 2010 è stata stimata una perdita di carbonio contenuto nelle piante (e riversato nell’atmosfera sotto forma di CO2) pari a 500 milioni di tonnellate: tutto questo, ovviamente, in conseguenza della riduzione della superficie forestale.





Cause ed effetti della deforestazione

Le cause che portano alla distruzione delle foreste sono:
  1. Il cambio di uso delle aree forestali. Il bosco viene eliminato per destinare i terreni ad attività agricole o ad altri usi, quali costruzioni di nuove città e villaggi, strade, campi di estrazione mineraria, ecc. Per quanto riguarda l’agricoltura, l’ampliamento delle aree coltivate sembrerebbe venire incontro alla crescente e sacrosanta domanda di beni alimentari, conseguenza diretta della crescita demografica, in particolare nei cosiddetti paesi in via di sviluppo. In realtà, le cose non stanno esattamente così. In molti luoghi della fascia tropicale ed equatoriale era ed è tuttora in uso un sistema di agricoltura “itinerante”. Conosciuta con vari nomi, quali “slash and burn”, “tala y roza” (in Centro America), “Taungya” (in Indonesia), consiste nel taglio del bosco, nell’asportazione del materiale legnoso, e nell’abbruciamento dei residui vegetali. Sul suolo così “ripulito”, si pratica per due o tre anni una agricoltura di sussistenza, generalmente priva di alcun mezzo tecnico atto a sostenere la produzione. Dopo questo periodo, la fertilità del suolo decresce drasticamente. Un tempo, si abbandonava l’area e ci si trasferiva in un altro luogo: il bosco aveva così modo di ricostituirsi, a partire dalle piante circostanti la radura. Oggigiorno, per lo meno per quanto riguarda i paesi centro-americani, di cui ho esperienza diretta, ma ciò avviene normalmente in molti altri luoghi, i tagli interessano zone anche estese, e non si permette al bosco di rigenerarsi: infatti queste terre, dopo la coltivazione, vengono utilizzate per l’allevamento estensivo dei bovini. L’ attività è in mano a pochi ricchi proprietari terrieri (che tra l’altro spesso si impossessano abusivamente di terre che sarebbero di proprietà pubblica); il paradosso è che quasi il 90 % della carne prodotta in centroamerica viene esportata verso gli USA (e magari finisce nella catena McDonald's) e tale attività non produce alcuna ricchezza per le popolazioni locali, poiché ha una richiesta molto bassa di manodopera. Dopo una decina di anni, questi terreni  si ritrovano quasi trasformati in deserti. Un esempio di un importante processo di deforestazione in corso, è quello che riguarda la costruzione della strada trans amazzonica, un tracciato di 5.000 km, che attraversa il Brasile nel senso est-ovest, e la cui realizzazione è cominciata nel 1970. Oltre al danno diretto (eliminazione della fascia di foresta amazzonica corrispondente alla sede stradale ed aree limitrofe), la strada ha portato un facile accesso ad aree un tempo remote, con grandi movimenti migratori di genti, attirati dalle possibilità di lavoro sia nelle attività estrattive (il sottosuolo amazzonico è ricchissimo di giacimenti di ferro, oro, bauxite, petrolio ecc.) che nel taglio di legname. Un ulteriore perdita di foresta, oltre a quella eliminata per sfruttare il legname, si è avuta anche, e si ha tuttora, per la realizzazione di villaggi e di infrastrutture atte all’estrazione dei minerali e di altro tipo.

  1. Sfruttamento di legnami pregiati. Le specie che forniscono il legname più pregiato (Teak, Mogano, Palissandro, Ebano, Sandalo) vivono tutte nella zona intertropicale. Quasi tutte le legislazioni forestali nei paesi tropicali proteggono le foreste primarie: nonostante ciò ogni anno vengono distrutte, clandestinamente ed illegalmente, ampie superfici per lo sfruttamento delle specie pregiate che vi si trovano. La scomparsa del bosco fa seguito alla mancanza di ogni criterio razionale di utilizzazione da parte di coloro che di fatto si comportano come dei contrabbandieri. Altro paradosso: legnami che sui mercati occidentali vengono pagati diverse centinaia di dollari al metro cubo, vengono pagati solo pochi dollari alle popolazioni locali.

  1. Calamità naturali o provocate dall’uomo. Le foreste possono essere interessate da eventi catastrofici, particolarmente gravi quando interessano vaste superfici. Tra essi gli incendi forestali, quasi tutti dovuti all’azione, cosciente o meno, dell’uomo, che possono distruggere in poche ore ciò che la Natura ha prodotto in centinaia di anni. Le foreste possono scomparire anche a causa di attacchi parassitari, o di particolari fenomeni climatici, quali lunghi periodi di siccità.

Tra i principali effetti della deforestazione, tutti di valenza negativa, si possono ricordare:

  1. Perdita di biodiversità. Le foreste equatoriali sono ecosistemi complessi e con un'altissima diversità specifica. In esse possibilmente vivono specie che non sono ancora state conosciute e classificate, e che potrebbero avere proprietà importanti, ad esempio come medicinali, per l’uomo stesso. La scomparsa anche parziale delle foreste, porta ad una diminuzione della biodiversità del pianeta, in termini di perdita di ecosistemi, di specie, e di patrimonio genetico. L’estinzione di specie animali e di invertebrati (ed ogni anno se ne estinguono diverse) ha tra le cause principali la distruzione degli habitat in cui vivono.
Non va inoltre dimenticato che nelle foreste equatoriali abitano diverse popolazioni, a struttura sociale di tipo tribale, che vivono nella e della foresta, in un perfetto rapporto di equilibrio con la Natura. Esse sono state spesso oggetto di sterminio, in quanto “ostacoli” all’abbattimento delle foreste, e comunque vengono messe fortemente in crisi, e costrette ad emigrare, dalla scomparsa del loro ambiente. A mio modo di vedere, esse avrebbero tutto il diritto di continuare a vivere come hanno sempre fatto nei luoghi dove sono nate e cresciute.

  1. Perdita della fertilità dei suoli e processi di desertificazione. Parliamo ancora di foreste equatoriali, che d’altronde sono le formazioni forestali più estese e più minacciate del mondo. In questi ecosistemi si una enorme produzione annua di biomassa, la quale viene però completamente consumata all’interno delle complesse reti alimentari che la caratterizzano. Il suolo appare quasi sempre poco sviluppato: la rapidissima circolazione dei nutrienti non richiede infatti una grande  capacità di immagazzinamento. Con la scomparsa del bosco, a meno che non si proceda alla loro riconversione verso una razionale agricoltura, i suoli perdono rapidamente la propria fertilità, e quindi la capacità di sostenere la vita. L’erosione eolica ed idrica possono quindi asportare completamente lo strato superficiale, rimasto senza alcuna protezione, e formare zone di tipo desertico.

  1. Alterazioni del ciclo dell’Ossigeno e del Carbonio. Le foreste sono le più grandi produttrici di ossigeno del mondo vegetale. La sola foresta amazzonica, con i suoi quasi cinque milioni di km2, è responsabile attraverso la fotosintesi della generazione di metà dell’ossigeno prodotto nel mondo, tanto da essere definita il “polmone verde del pianeta”. Con la loro riduzione, la produzione viene a diminuire, e quindi si haun alterazione degli equilibri che riguardano questo elemento, con conseguenze che potrebbero con il tempo divenire disastrose per tutti gli esseri viventi.
Le piante, insieme a mari ed oceani, costituiscono anche il più grande serbatoio di carbonio del pianeta: catturando, sempre attraverso la fotosintesi, l’anidride carbonica atmosferica, contribuiscono a controllare la quantità di questo gas, principale responsabile dell’effetto serra. La rimozione di una foresta ha come conseguenza la cessazione dell’assimilazione di questo gas; quando poi in qualche modo le biomasse vengono bruciate, il carbonio in esso contenute viene liberato nell’atmosfera, sempre sotto forma di anidride carbonica, andandone ad accrescere il contenuto. Si stima che negli ultimi dieci anni, il contributo della scomparsa delle foreste all’aumento dell’anidride carbonica atmosferica, è stato almeno pari a quello dovuto alle emissioni dei gas di scarico delle automobili.

  1. Cambiamento del clima regionale e globale. Estese aree forestali influenzano in misura importante il clima dei luoghi in cui vivono. Quando la scomparsa del bosco interessa, come talora avviene, immense superfici, si producono rilevanti cambiamenti climatici locali, nel senso di inaridimento ed aumento delle escursioni termiche, le quali possono aggravare i processi di desertificazione citati al punto 2. Ripercussioni tutt'altro che insignificanti si possono avere anche sulle condizioni climatiche globali.




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