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venerdì 24 febbraio 2012
giovedì 23 febbraio 2012
martedì 21 febbraio 2012
Alberi Sacri dell'India: Lathu Maharaj
Lathu Maharaj (Cedrus deodara) Wan, Uttarakhand |
Circondato
da una corte di cipressi alti fino al cielo, che lo nascondono parzialmente alla vista,
Lathu Maharaj abita nel mezzo del bosco, una mezz’ora di cammino sopra il
paesino di Wan (vedi Post: Dedicato ai Bambini di Wan), laddove la
ripida pendice si allenta, a formare una specie di pianoro da cui si domina
buona parte della vallata. Lathu è uno stupendo esemplare di Cedro
dell’Himalaya (Cedrus deodara), un albero eccezionale non solo per il
ruolo religioso-spirituale che svolge in seno alla comunità, ma anche per età
ed imponenza, oltre che per la bellezza delle forme. Intorno a lui aleggia una
energia impressionante, una energia silvestre, quasi cupa, fortemente
percepibile; al suo cospetto il tempo svanisce, mentre lui occupa completamente
il tuo spazio visivo. Nel piccolo bosco sacro che lo circonda, una pace
perfetta. Il lieve frusciare del vento, dolce e costante, che gioca con le
chiome, il suono continuo ma pacato del ruscelletto poco lontano, chiamato con
lo strano nome di Quadiagal, che si somma al canto fragoroso del fiume di fondo
valle. Di tanto in tanto si ode il rintocco quasi sordo delle campane sacre,
toccate da qualcuno che si ferma per una preghiera sulla strada di casa o del
lavoro. Nel cielo le nuvole si muovono lente e velate di tenue grigio,
provenienti dalla cresta antistante; numerosi vi volano i corvi, che si fermano
poi a riposare sui rami.
Lathu
è del tutto sconosciuto al di fuori della valle di Wan. Io lo scoprii per caso,
seguendo la processione per Bedni Bugyal, una quindicina di anni fa. Quando mi
sono intrippato in questa storia degli alberi e del relativo blog, era proprio
questo l’albero che avevo in mente, il mio archetipo d’albero. Ci sono voluto
tornare dopo molti anni per rivederlo, come si fa con un vecchio amico lontano,
ed è stata l’unica cosa che ho ritrovato da quelle parti. Il resto, ovvero
villaggi, sentieri, templi, negozi, guest house, tutti spariti: sicuramente mi
sarò confuso con i ricordi. Spero.
domenica 19 febbraio 2012
giovedì 16 febbraio 2012
lunedì 13 febbraio 2012
domenica 12 febbraio 2012
Dedicato ai Bambini di Wan
La valle di Wan |
Wan è un
piccolo villaggio di montagna adagiato sui primi contrafforti himalayani, nel
recente costituito stato indiano dell’Uttarakhand. Il paese si trova in una
conca riparata, nella parte alta della valle, diviso in due da un ruscello
canterino, il Bedni Ganga. Le piccole vie lastricate in pietra, i
ponticelli di legno, le case dai tetti di ardesia, intonacate ad argilla e
colorate con tinte pastello ocra, giallo e bianco, alcune con lunghi balconi di
legno al primo piano. Certe porte e finestre appaiono molto antiche, sempre in
legno, sapientemente lavorato. Le costruzioni si dispongono generalmente a
gruppi, intorno ad una comune aia centrale.
Una piccola piazza rettangolare nella parte alta, con il tempio dedicato
a Shiva; nella parte bassa campeggia invece un enorme albero di noce, oramai
secco da tempo, che stende i suoi lunghi e grassi rami a coprire un buon numero
di case. Ci sono solo tre “negozi”, che vendono riso, farina, zucchero,
sigarette ed altri generi di prima necessità: tutti preparano anche il chiai
(tè all’indiana, con latte e spezie), in uno a mezzodì è possibile mangiare
qualcosina.
Il crinale sopra Wan |
La strada, sterrata, è arrivata solo da qualche anno,
prima si fermava ad una decina di chilometri, e si arrivava solo a piedi, da
questa o dalla valle adiacente. Era molto meglio. A meno di non avere robusti
paraocchi od una distrazione totale per i fatti esterni. Nell’ultimo tratto si
aprono infatti una serie infinita di frane, ed il cuore balza in testa al solo
vedere i dirupi sottostanti. Tralasciando poi
buche, cunette, tornanti ed affini. Comunque sia, i 90 chilometri che lo
separano da Tharali, il paese in fondo valle dove si ritrovano asfalto e
mezzi pubblici, necessitano di una intera giornata per essere percorsi, cambiando
tre jeep private che svolgono servizio di taxi collettivo. Stipate fino
all’inverosimile, anche 25 passeggeri dove ce ne entrerebbero 5, arrancano con
il muso sollevato dal peso, ostaggio delle buche e di pneumatici prossimi al
parto, da tanto che sono consumati.
La corrente elettrica è arrivata anch’essa pochi anni fa,
ma da tre anni si è guastato l’impianto a valle, e la sera si illumina ancora
con candele e lumi ad olio. L’assenza di luce artificiale rende il cielo di
notte uno spettacolo unico di miliardi di stelle luccicanti; la Via Lattea è
così chiara che sembra di toccarla. (In Hindi la Via Lattea viene
curiosamente chiamata Akash Ganga,
ovvero il Gange del Cielo).
Qualcuno ha montato delle curiose celle solari portatili, che bastano
per un paio di lampadine e per ricaricare il cellulare. Anche quassù tutti
possiedono ormai un movil: il fatto curioso è che non c’è assolutamente
linea, e quindi viene usato solo per ascoltare la musica. Sparata ad un volume
inimmaginabile, si sente dalla valle accanto, i nostri umili cellulari
impallidiscono al confronto.
Campi con Amaranto a seccare |
L’economia si
basa su un’ agricoltura esclusivamente di sussistenza. Siamo intorno ai 2.500
metri di altitudine, e quindi non sono molto le specie che crescono: le colture
principali sono rappresentate dal grano nel periodo invernale, a cui succede
l’amaranto nel periodo estivo. In ottobre, Il contrasto tra il colore dell’
amaranto già tagliato ed affastellato, la terra scura, e l’azzurro carico del
cielo è un incanto per gli occhi ed una gioia per il cuore. Si coltivano poi
patate, fagioli e pomodori. Basta. Poche le mucche allevate, un po’ più
numerose le capre, buone per il latte e, di tanto in tanto, per la carne.
Dall’esterno, si porta solo riso, zucchero e lenticchie, saltuariamente un po’
di banane.