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domenica 17 giugno 2012

giovedì 14 giugno 2012

Alberi Sacri dell'India: il Peepal, Albero della Vita

Foglie di Peepal (Ficus religiosa Linn.)


Con le radici in alto, ed i rami in basso
sta l’eterno Aswattha,
le cui foglie parlano come i canti vedici:
colui che lo conosce, conosce i Veda.

In alto ed in basso si estendono i suoi rami,
alimentati dai modi dell’esistenza,
i suoi germogli sono gli oggetti dei sensi,
le sue radici si prolungano in giù nel mondo degli uomini, legate alle azioni

(Baghavad Gita, Cap XV, 1-2)

Questi versi della Baghavad Gita decretano l’importanza dell’ Aswattha, antico nome sanscrito dell’albero oggi chiamato Peepal (Ficus religiosa Linn.), nell’ambito del pensiero filosofico indiano. Il Peepal diviene qui simbolo dell’Albero della Vita (ma in altri contesti è l’Albero Cosmico o l’Albero della Creazione), le cui radici risiedono nell’Essere Supremo, il Brahman, ed i cui rami rappresentano il mondo fenomenico, secondo una immagine già presente nella Katha Upanishad, componimento del sesto secolo avanti Cristo.

Albero secolare di Peepal (Ficus religiosa) - Bodh Gaya, Bihar
Il Peepal, effettivamente, è stato ed è tuttora il più importante tra gli alberi sacri dell’India, per la venerazione popolare di cui è fatto oggetto, per la quantità di citazioni nei Libri Sacri, per tradizioni e leggende che lo riguardano. A detta del caro amico Bandu, anzi, il Peepal ed il suo parente stretto, il Banyan (Ficus benghalensis Linn.), sono gli unici due alberi sacri dell’India. Limitazione inesatta, ma che la dice lunga sulla popolarità di queste due stupende specie arboree. Dalle pendici inferiori dell’Himalaya alla lontanissima estremità meridionale del subcontinente indiano, attraverso le grandi pianure del Gange e gli altopiani centrali, giovani alberi e possenti vegliardi secolari punteggiano villaggi e città, proteggono templi, marcano incroci di fiumi e di strade, costeggiano sentieri, estremamente amati e rispettati da tutti. Sono tenuti in tale riverenza dagli  indiani, che non possono essere tagliati o danneggiati: spesso i loro rami caduti accidentalmente, restano al suolo per decenni, completamente intoccati. Esemplari oramai compressi nelle forme dalle costruzioni adiacenti, ed asfissiati dal terribile traffico cittadino, resistono impavidi anche nel cuore dei grandi centri urbani, quali Delhi e Calcutta. Nei villaggi di campagna, e quasi ogni villaggio ne ha almeno uno, possono sviluppare immense chiome ed enormi tronchi, spesso dipinti di arancione o di giallo, ed oltre che di devozione e preghiera divengono anche luogo di incontro tra persone, o di semplice riposo alla loro densa ombra. Singolare è il fatto che, per quanto mi è dato di conoscere, il Peepal non forma boschi puri di una qualche estensione, ma ha invece una diffusione puntiforme, per esemplari solitari, e sempre collegata ad ambiti antropizzati, siano città templi o luoghi sacri. Come se fossero divenuti a pieno titolo parte della comunità, come se avessero abbandonato il mondo vegetale per entrare nel mondo degli uomini.

Peepal con murti di Durga sulla riva sinistra del Gange ad Hardwar
La prima raffigurazione conosciuta che riguarda la sacralità degli alberi, è in uno dei sigilli rinvenuti a Moenhjo Daro, città culla della civiltà pre-ariana della Valle dell’Indo, databile tra il quarto ed il terzo millennio avanti Cristo, e rappresenta per l’appunto un albero di Peepal stilizzato, con una Dea dalle lunghe corna sotto le sue foglie. 

Sigillo di Moenhjo-Daro. Terzo millennio avanti Cristo
E’ possibile supporre che in quella remota epoca il Peepal fosse legato ai riti di fertilità e ne costituisse un simbolo: questo legame è comunque rimasto ben saldo nel corso dei secoli, tanto è che ancora oggi nei villaggi dell’India rurale a lui si rivolgono, con preghiere ed offerte, le donne che non riescono ad avere figli, perché conceda loro il dono di una discendenza .

Questa immagine è un eloquente esempio della straordinaria tolleranza religiosa degli indiani. Ci troviamo a Bodh Gaya, a cinquanta metri dall'Albero dell'Illuminazione, nel cuore sacro del Buddismo. Nonostante ciò, alla base di questo Peepal si ergono tranquillamente le statuine di alcune divinità Hindu (Ganesh, Shiva e Parvati, Shiva)

lunedì 11 giugno 2012

Sulla Via Francigena da Siena a Roma



La Via Francigena è una strada di origine longobarda, in parte sovrapposta ad antiche strade romane, quali la Cassia, approntata nel VII ed VIII secolo per necessità commerciali ed economiche, ed all’epoca presidiata da castelli e monasteri fortificati. Nel medioevo divenne importante via di pellegrinaggio per raggiungere Roma, che insieme a Santiago di Compostela ed a Gerusalemme, rappresentava una delle tre mete simbolo della Cristianità, in un tempo in cui il pellegrinaggio fu pratica molto diffusa. Come per il Cammino di Santiago, non esisteva una unica Via Francigena, ma alcuni tracciati principali, in cui confluivano numerose altre strade, e con diverse varianti. Uno di essi proveniva da Santiago attraverso la Francia, oltrepassava le Alpi al Passo del Monginevro, per proseguire verso Roma passando per la valle di Susa, la pianura Padana, il Passo della Cisa e la Toscana. Un secondo itinerario, utilizzato dai pellegrini durante la cattiva stagione, era il cammino della costa, il quale si divideva dal precedente ad Arles, entrava in Italia presso Ventimiglia, percorreva la Liguria, ed a Sarzana si riuniva al primo.


Nel 994 Sigerico, nominato Arcivescovo di Canterbury, si recò a piedi a Roma per ricevere l’investitura, e durante il viaggio di ritorno produsse un dettagliato diario del suo viaggio, annotando tappe e percorsi, diario che è servito da base per il ripristino moderno della Via Francigena. L’itinerario di Sigerico, che è considerato quello classico, attraversava Francia e Svizzera, valicava le Alpi al passo del Gran San Bernardo, ed a Vercelli si ricongiungeva alla strada proveniente dal Monginevro.

Vignone Castello


San Quirico d'Orcia - Collegiata di san Quirico

Nella seconda metà di maggio, ho camminato lungo la Via Francigena, da Siena fino a Roma. Un percorso magnifico, 280 km nelle province di Siena, Viterbo e Roma, che si snoda tra colline coltivate, boschi ed antichi borghi, in gran parte su strade sterrate di campagna. Un itinerario che può essere, e lo è nelle intenzioni di molti dei pellegrini che lo frequentano, spirituale, ma che riveste comunque una valenza culturale a tutto tondo, storica, artistica, paesaggistica, dialettale ed eno-gastronomica. Andare a piedi, in una sorta di “slow motion”, concede la possibilità di vedere e conoscere luoghi in un modo dolce e diretto, cosa negata dai nostri, talvolta comodi, veloci mezzi di comunicazione.

lunedì 4 giugno 2012

Pioppo Morto

Populus nigra

¡Chopo viejo!
Has caído
en el espejo
del remanso dormido,
abatiendo tu frente
ante el Poniente.
No fue el vendaval ronco
el que rompió tu tronco,
ni fue el hachazo grave
del leñador, que sabe
has de volver
a nacer.

Fue tu espíritu fuerte
el que llamó a la muerte,
al hallarse sin nidos, olvidado
de los chopos infantes del prado.
Fue que estabas sediento
de pensamiento,
y tu enorme cabeza centenaria,
solitaria,
escuchaba los lejanos
cantos de tus hermanos.

En tu cuerpo guardabas
las lavas
de tu pasión,
y en tu corazón,
el semen sin futuro de Pegaso.
La terrible simiente
de un amor inocente
por el sol de ocaso.

¡Qué amargura tan honda
para el paisaje,
el héroe de la fronda
sin ramaje!

Ya no serás la cuna
de la luna,
ni la mágica risa
de la brisa,
ni el bastón de un lucero
caballero.
No tornará la primavera
de tu vida,
ni verás la sementera
florecida.
Serás nidal de ranas
y de hormigas.
Tendrás por verdes canas
las ortigas,
y un día la corriente
llevará tu corteza
con tristeza.

¡Chopo viejo!
Has caído
en el espejo
del remanso dormido.
Yo te vi descender
en el atardecer
y escribo tu elegía,
que es la mía.



Vecchio pioppo!
Sei caduto
nello specchio
dello stagno addormentato,
piegando la fronte
al tramonto.
Non e' stato il roco uragano
a spezzare il tuo tronco
ne' la pesante ascia
del boscaiolo, che sa
che tu devi
rinascere.


E' stato il tuo spirito forte
a chiamare la morte
vedendosi senza nidi, dimenticato
dai pioppi bambini del prato.
E' stato che tu avevi
sete di pensiero,
e la tua enorme testa centenaria,
solitaria
ascoltava i canti
lontani dei tuoi fratelli.


Nel tuo corpo conservavi
la lava
della passione
e nel tuo cuore,
il seme senza futuro di Pegaso.
Il terribile seme
di un amore innocente
per il sole del tramonto.


Che profonda amarezza
nel paesaggio,
l'eroe dei boschi
senza rami!


Non sarai piu' la culla
della luna,
ne' il magico riso
della brezza
ne' il bastone di una stella
a cavallo.
Non tornera' la primavera
della tua vita,
ne' vedrai fiorire
i tuoi semi.
Sarai nido di rane
e di formiche.
Avrai  per capelli
le ortiche
e un giorno la corrente
portera' via la tua corteccia
tristemente.


Vecchio pioppo!
Sei caduto
nello specchio dello stagno addormentato.
Ti ho visto cadere
al crepuscolo
e scrivo la tua elegia
che e' anche la mia.


Federico García Lorca (1920) 

venerdì 1 giugno 2012