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lunedì 24 dicembre 2012
domenica 23 dicembre 2012
Storie di Alberi: il Baobab, l'albero con le radici in cielo
Un mito assai diffuso in Africa racconta che quando
Dio creò la terra, assegnò una pianta ad ogni animale. Il Baobab toccò alla
iena la quale, disgustata da quello che evidentemente le sembrava un albero
senza alcuna utilità, lo gettò via. Ed il Baobab atterrò capovolto, con le
radici verso il cielo. In un’altra leggenda, si narra che il Baobab fu uno dei
primi alberi creati da Dio. Quando però vide la successiva pianta creata, una
palma slanciata verso il cielo, il Baobab cominciò a brontolare, perché lui voleva
essere alto come lei. Dio ascoltò le sue lamentele e lo fece crescere; ma
questi aveva appena raggiunto l’altezza della palma, quando vide la
spettacolare fioritura della Flamboyant, e si lamentò che lui non aveva fiori.
Dio provvide un’altra volta, e dotò anche lui di fiori. Ma non era ancora
abbastanza: si mise infatti a piagnucolare che lui, a differenza del fico, non
aveva frutti. Questo fu troppo pure per la pazienza del Creatore che, in un
accesso d’ira, sradicò il Baobab dalla terra e ce lo riscaraventò con la chioma
in giù, e le radici per aria.
Adansonia grandidieri Avenue du Baobab. Morondava, Madagascar |
Le due storie precedenti hanno il medesimo finale,
e lasciano il povero Baobab a “gambe” per aria, a sottolineare la stravaganza
della chioma, costituita da rami corti e tozzi disposti pressoché tutti nella
parte terminale del fusto, e spogli di foglie per gran parte dell’anno, tanto
che, per l’appunto, la chioma assomiglia fortemente ad un apparato radicale. In
effetti, il Baobab è una delle piante più fantastiche e bizzarre che Madre
Natura abbia mai creato. Emerge solitario dalle piatte savane africane, unico
tra gli alberi a sopportarne i torridi caldi estivi e le prolungate siccità, ed
affonda talora le proprie radici nel granito vivo; signore incontrastato di una
vegetazione povera, composta da erbe ed arbusti spinosi, raggiunge dimensioni
incredibili, a dispetto delle condizioni ecologiche estreme in cui vive. Per
resistere alla siccità, fa provvista della poca acqua piovana che cade nel
proprio tronco poroso, arrivando a contenerne più di centomila litri, e perde
molto presto le sue foglie, arrestando quasi completamente le proprie attività
vitali nella stagione secca, come fosse un animale che va in letargo. Alla
lunga assenza delle foglie, supplisce quindi con dei tessuti fotosintetici che
si sviluppano curiosamente all’esterno della corteccia. Non si preoccupa
neanche degli incendi, letali per il resto della vegetazione che l’accompagna,
perché la sua corteccia è ignifuga, e lui continua a vivere anche se brucia la
parte interna del tronco, rigenerando tessuti dalla corteccia superstite. Vive
prospero e diviene immenso, laddove tutti gli altri, uomo compreso, stentano.
Il suo aspetto, i luoghi selvaggi dove vive, la
smisurata grandezza del tronco, lo ammantano di una bellezza e di un fascino
tali da averlo reso, nonostante la sua lontananza geografica, uno degli alberi
più famosi del mondo occidentale. Nei luoghi di origine poi, il Baobab è una
vera icona: fonte di cibo, medicine e materiale per costruire case ed oggetti
quotidiani, sacralizzato in molte tribù, simbolo totemico e luogo di riunione,
fonte infinita di storie e leggende popolari. La sua sagoma inconfondibile
appare su monete, banconote e francobolli di vari stati africani; in
Madagascar, ad esempio, è l’albero nazionale, ed è soggetto od elemento
fondamentale di rappresentazioni pittoriche e di manufatti artigianali.
Il primo a rivelare al resto del mondo l’esistenza
di questi fantastici alberi pare sia stato un tal Ibn Battuta, nato in quel di
Tangeri, che nel 1353 vi si imbatté durante un viaggio nel Mali, descrivendoli
così: “La strada ha molti alberi di grande età e dimensioni; sotto ognuno di
essi può trovare riparo un’intera carovana. Alcuni di essi non hanno rami né
foglie, ma il loro tronco fa da solo ombra sufficiente. Alcuni hanno delle
cavità al loro interno, e vi viene raccolta l’acqua piovana, come fosse un
pozzo, e le persone bevono quest’acqua. In altri alberi ci sono api e miele,
che viene raccolto dalla gente del posto”.
Alberi dalle dimensioni straordinarie vengono osservati e
descritti anche da altri esploratori del secolo successivo, in particolare
portoghesi. Dagli scritti del medico veneziano Prospero Alpini, veniamo poi a
sapere che alla fine del ‘500 i frutti del Baobab venivano venduti nei mercati
del Cairo, con il nome di “bu hobab”, ovvero “frutto dai molti semi”, e
da questo appellativo del frutto deriverebbe il nome della pianta. Bisognerà
comunque aspettare fino al 18° secolo perché l’albero venga ufficialmente
“scoperto”, descritto con tutti i crismi scientifici dell’epoca, e fatto
conoscere al pubblico europeo e mondiale, ad opera di Michel Adanson. Adanson,
naturalista francese di origine scozzese, incontrò il suo primo Baobab nel 1749
in Senegal, nelle vicinanze dell’attuale città di Dakar, e ne rimase letteralmente
folgorato: “Mi portarono in un luogo isolato dove vidi un immenso branco di
antilopi, ma le dimenticai subito, poiché la mia attenzione fu attirata da un
albero di prodigiosa grandezza. Era un albero-zucca, chiamato goui dalle genti
locali. Non aveva niente di straordinario in quanto all’altezza, non era più
alto di diciotto metri, ma il suo tronco era di una grandezza prodigiosa.
L’albero sembrava formare da solo un intera foresta” L’esemplare in
questione aveva una circonferenza, da lui stesso accuratamente misurata, di 65
piedi (circa 20 metri); in seguito il naturalista ne troverà di ancora più
grandi. Adanson rimarrà in Senegal per cinque anni, studiandone a fondo la
flora e la fauna; nel frattempo invia un primo resoconto sul Baobab al suo mentore,
il creatore dei Giardini Trianon di Luigi XV, Bernard Jussieu, che a sua volta
fece pervenire il manoscritto a Carl Linnaeus, il botanico svedese all’epoca
intento alla sua rivoluzionaria opera sulla classificazione delle specie
viventi. Questi costituì un nuovo genere per il Baobab, chiamandolo Adansonia
in onore del suo scopritore, e lo inserì nella edizione definitiva del “Systema
Naturae”, pubblicato nel 1759, con il nome completo di Adansonia
digitata, laddove l’indicazione della specie, “digitata”, ne ricorda la
forma delle foglie pentalobate, simili ad una mano. Il fatto curioso è che
Adanson non fu affatto contento dell’onore ricevuto, essendo fortemente
contrario al sistema classificatorio elaborato da Linnaeus. Trascorrerà il
resto della propria vita studiando e promuovendo una propria classificazione,
che esporrà in una opera monumentale di 27 volumi, in cui ordinò oltre 40.000
specie secondo il proprio metodo. L’opera non venne mai pubblicata, ed il
sistema ben presto dimenticato; Adanson morì povero in canna, chiedendo che la
sua tomba venisse adornata con una ghirlanda fatta con i fiori delle 58
famiglie che aveva classificato.
mercoledì 19 dicembre 2012
martedì 11 dicembre 2012
sabato 1 dicembre 2012
mercoledì 28 novembre 2012
domenica 25 novembre 2012
Alberi Sacri dell'India: il Banyan, Albero dei Desideri
Da sinistra: pagina superiore delle foglie, frutto, pagina inferiore delle foglie di Banyan |
“ Come l’enorme albero di Nyagrodha è compresso in
un piccolo seme,
così al momento della sua dissoluzione l’intero
universo
è compresso in Te, o Vishnu.
Così come il Nyagrodha germina dal seme e diventa
prima un piccolo germoglio,
per innalzarsi quindi verso l’alto,
così il mondo procede da Te, e si espande in
grandezza “
(Vishnu Purana)
Appartenente alla stessa famiglia (Moraceae)
e genere, il Banyan (Ficus benghalensis L.) condivide con il Peepal (vedi
post Alberi Sacri dell’India: il Peepal, Albero della Vita) non solo diverse modalità di vita e
caratteristiche botaniche, ma anche la devozione e l’amore degli indiani, ed il
primato tra gli alberi sacri. Originario del sub-continente indiano e del
Pakistan, è stato diffuso dall’uomo in tutta l’Asia tropicale, ed altrove:
numerose sono le piante, per esempio, che vivono a Mauritius, giunte al seguito
della folta comunità indiana immigrata nell’isola.
Banyan nelle campagne di Orchha. Madhya Pradesh, India |
La caratteristica più appariscente della specie
(anche se non esclusiva, poiché tipica di altri taxa del genere Ficus) è
la produzione costante e massiccia di radici aeree, che si originano dai rami
degli individui adulti. Queste crescono lentamente verso il basso, sfruttando
anche l’umidità presente nell’atmosfera, finché giungono al suolo e vi
penetrano, diventando, per aspetto e funzione, un vero e proprio fusto. Il
significato del nuovo tronco non è tanto quello di formare un albero
indipendente, quanto di fungere da sostegno alla crescita e all’espansione in
orizzontale della branca che lo ha generato. In questo modo il Banyan si
allarga continuamente verso l’esterno, potendo l’area coperta dalla chioma
raggiungere dimensioni incredibili: diviene un “albero foresta”, composto da un
grande fusto centrale, e da innumerevoli fusti secondari, a guisa di colonne di
un tempio, di dimensioni ed età variabili. Le particolari modalità di
accrescimento ne fanno una tra le specie con maggiori dimensioni della chioma
al mondo. Lo stesso tronco principale appare come un amalgama fatto di costole
spiralate, ex radici aeree che vi si sono saldate durante la loro discesa.
Ficus benghalensis: radici aeree giovanili, in fase di discesa |
Ficus benghalensis: radici aeree adulte, "radicate" |
Nel
“Chandra Bose Botanical Garden “ di Shibpur, a Calcutta, abita un Ficus
benghalensis di oltre 200 anni di età, formato, all’anno 2005, da 2.880
radici che hanno raggiunto il suolo; la sua chioma ha una circonferenza di 450
metri, e copre una superficie di quasi 14.500 metri quadrati. La tradizione
vuole che questo albero sia nato nel 1782 da un seme depositato da un uccello
su una palma da datteri: le radici, crescendo lungo il fusto della palma, la hanno
completamente avvolta e quindi uccisa. In effetti, è questa un’altra
peculiarità del Banyan, che lo annovera nel gruppo dei cosiddetti “strangler
figs” (fichi strangolatori), piante i cui semi sono capaci di germinare
nelle fessure dei rami della chioma di altre piante (od anche nelle crepe di
edifici o rocce; vedi anche, sull’argomento il post AlberiSacri dell’India: il Peepal, Albero della Vita). Un altro grande
Banyan, chiamato Kabir Vad, vive su di un'isola del fiume Narmada, a nord di Bombay:
in uno scritto del 1780 era già accreditato di oltre 600 anni, con più di 3.000
radici aeree, e circa 600 metri di circonferenza. Si dice anche che abbia ospitato
sotto le sue fronde l’armata di settemila uominidi Alessandro Magno, durante la sua campagna d'India.
giovedì 22 novembre 2012
martedì 20 novembre 2012
venerdì 9 novembre 2012
lunedì 5 novembre 2012
Lo Stato delle Foreste del Mondo e la Deforestazione
Nel nostro pianeta, le foreste coprono una superficie totale di circa 4 miliardi di ettari (40 milioni di km2), corrispondenti al 31% delle terre emerse. Come si può vedere dalla successiva immagine, esse si distribuiscono su due grandi fasce geografiche, una a cavallo dell’equatore (foreste umide equatoriali dell’ Amazzonia, Africa ed Indonesia, composte da latifoglie), l’altra in corrispondenza delle latitudini medio alte dell’emisfero boreale (su cui vive alle medie latitudini la foresta di caducifoglie, e nella zona circumpolare, la sterminata taiga, costituita quasi esclusivamente da conifere).
I cinque stati con maggiore copertura forestale sono, nell’ordine, Russia, Brasile, Canada, Stati Uniti e Cina, i cui boschi occupano oltre metà dell’intera superficie forestale mondiale. Dieci paesi non hanno alcuna foresta entro i propri confini; in altri 54 la superficie boscata è inferiore al 10% di quella complessiva del paese.
Distribuzione delle foreste nel mondo. Fonte: Global Forest Resources Assessment FAO 2010 |
Questi dati emergono dal FRA 2010 (Global Forest Resources Assessment – Valutazione delle Risorse Forestali del Mondo), monitoraggio sullo stato delle foreste mondiali realizzato nel 2010 dalla FAO (per consultare il documento originale, cliccare qui). Dal 1946 la FAO si occupa, attraverso i propri stati membri, di valutare la situazione delle foreste mondiali ad intervalli di tempo che attualmente si ripetono ogni cinque anni. Il FRA 2010 è il monitoraggio più completo ed accurato realizzato fino ad oggi: ha interessato 233 Paesi, considerando oltre 90 variabili relative alle foreste, e facendo ampio uso del remote sensing, in particolare di immagini satellitari all’infrarosso di alta risoluzione.
Tra tutti i dati riportati, appare alquanto drammatico quello che riguarda il tasso annuo di deforestazione globale, che nella decade 2000/2010 ha raggiunto i 13 milioni di ettari all’anno. Si tratta di 130.000 km2, una superficie che corrisponde a quella dell’Intera Grecia! Ogni minuto sul nostro pianeta viene persa un’area di foresta pari a quella di 40 campi da calcio. La deforestazione è dovuta in massima parte all’azione dell’uomo (vedi oltre), e secondariamente alle catastrofi naturali. La situazione è comunque migliorata rispetto alla decade 1990/2000, quando la perdita di foreste si era attestata sui 16 milioni di ettari annui. Il Brasile e l’Indonesia, che nella decade 1990/2000 avevano avuto il più alto tasso di perdita netta, tra il 2000 ed il 2010 lo hanno ridotto significativamente, mentre l’Australia lo ha aumentato a causa di ripetuti anni di siccità e del ripetersi di incendi disastrosi.
Alla deforestazione si oppone l’espansione naturale del bosco nelle aree agricole abbandonate (fenomeno in corso soprattutto in Europa), ed il rimboschimento da parte dell’uomo di terreni nudi (nell’ultima decade, in Cina, ad esempio, sono stati intrapresi enormi programmi di rimboschimento, che hanno interessato milioni di ettari di terreni nudi).
Il bilancio tra le due voci anteriori (differenza tra aree deforestate ed aree rimboschite più aree riconquistate dal bosco) porta ad una perdita netta annua di 5,2 milioni di ettari di area forestale (superficie pari a quella della Bosnia Erzegovina). Tale perdita era stata di 8,3 milioni di ettari nel 1990/2000.
Nella seguente figura sono visualizzati i dati regionali, relativi alla perdita netta annua nelle decadi 1990/2000 e 2000/2010. Nell’ultima decade, Il Sud America (- 4 milioni ha/anno) e l’Africa (- 3,4 milioni ha/anno), continuano ad avere il più alto tasso di deforestazione nel mondo. Anche l’Oceania ha visto aumentare le sue perdite, per i già citati eventi che hanno riguardato l’Australia. L’area occupata da foreste è rimasta pressoché stabile in Nord e Centro America, mentre in Europa (+700.000 ha/anno) si consolida l’espansione, anche se con un ritmo minore rispetto alla precedente decade (che aveva visto un aumento netto di 900.000 ha/anno). L’Asia, infine, passa da una perdita netta di 600.000 ha/anno degli anni ’90, ad un guadagno netto di 2,2 milioni ha/anno, a causa dei rimboschimenti in Cina, e nonostante le alte perdite dell’Asia meridionale e sud-orientale.
Cambiamenti annuali nella superficie forestale regionale 1990/2010 e 2000/2010. Fonte: Global Forest Resources Assessment FAO 2010 |
La successiva immagine illustra invece i cambiamenti annuali nella superficie forestale dei singoli paesi.
Cambiamenti annuali nella superficie forestale dei paesi, 2005/2010. Fonte: Global Forest Resources Assessment FAO 2010 |
Un altro dato, al contempo interessante ed importante, riguarda la quantità di carbonio immagazzinata nella biomassa delle foreste mondiali, che assommerebbe a 289 miliardi di tonnellate. Tra il 2005 ed il 2010 è stata stimata una perdita di carbonio contenuto nelle piante (e riversato nell’atmosfera sotto forma di CO2) pari a 500 milioni di tonnellate: tutto questo, ovviamente, in conseguenza della riduzione della superficie forestale.
mercoledì 31 ottobre 2012
Storie di Alberi: l'Orto Botanico di Pamplemousses
Le Grand Bassin. Sir Seewoosagur Ramgoolam Botanical Garden. Pamplemousses, Mauritius |
L’Orto Botanico di Pamplemousses si trova
nell’isola Mauritius, piccolo lembo di terra che emerge dall’Oceano Indiano
poco a nord del Tropico del Capricorno, relativamente vicino alla costa
orientale del Madagascar. Il Giardino è situato su di un area pianeggiante nella parte occidentale dell'isola, poco distante
dalla capitale Port Louis, in prossimità del piccolo e tranquillo
villaggio di Pamplemousses, il cui nome ricorda le coltivazioni di una varietà di pompelmo. Si
tratta del più antico Orto Botanico di specie tropicali del mondo: grazie alla sua
collezione di piante, indigene ed esotiche, comuni o rare, è
considerato il più importante dell’emisfero australe, ed uno tra i primi al
mondo.
Radici di Ficus cordifolia |
Pierre Poivre (1719-1786) è una di quelle figure
leggendarie che tra il 18° ed il 19° secolo tanto contribuirono alla conoscenza
ed alla diffusione delle piante extraeuropee. Francese, aveva studiato teologia
a Parigi; instancabile viaggiatore, conobbe la prigionia e diversi naufragi,
uno dei quali gli costò l’amputazione della mano destra. Fu uomo poliedrico:
missionario, esploratore, botanico, orticultore ed agronomo, divenne anche amministratore
coloniale delle isole Mascarene (di cui fa parte Mauritius). In Estremo Oriente
fa la sua conoscenza con le spezie, conosce la noce moscata, il chiodo di garofano ed il pepe (che in francese si chiamerà con il suo nome, poivre), e si rende conto dell’immensa ricchezza che il loro commercio garantisce alla Compagnia Olandese delle Indie Orientali, la quale all’epoca ne deteneva
il monopolio mondiale. Rientra quindi in Francia, e propone alla
Compagnia Francese delle Indie Orientali di coltivare per proprio conto le
spezie, in qualche possedimento coloniale francese, e di entrare quindi in quel
favoloso mercato. Ottenuto dopo varie peripezie il via libera, nel 1753 sbarca
sull’Ile de France, antico nome di Mauritius, portando con se numerosi semi di
noce moscata e chiodi di garofano, che impianta nella tenuta di Pamplemousses.
Nel 1755, al ritorno da un viaggio dalle Molucche, dove si era recato per
procurarsi semi e piante varie, trova la sua prima piantagione di noce moscata
distrutta volontariamente, pare per invidia, dall’incaricato della loro cura.
Nominato nel 1766 Intendente di Bourbon (l’attuale Réunion) e dell’Ile de
France, arriva a Mauritius l’anno successivo, per restarvi ben sei anni. E’ in
questo periodo che praticamente inizia la creazione del Jardin de Pamplemousses, trasformando quello che era stato un vivaio di
acclimatazione e di studio, in un meraviglioso giardino. Qui introdurrà
numerose specie da altri paesi tropicali, tra cui, tanto per citarne alcune, la
canfora dalla Cina, l’albero del pane dalle Filippine, il litchi dal Vietnam,
la cannella, l’anice stellata, l’avocado dal Brasile, il pepe, alberi da frutto
vari, il cacao. Alla sua
partenza dall’isola, nel 1772, Poivre rivende al governo reale francese il
giardino, che da allora sarà anche conosciuto come Giardino del Re o Giardino
Reale. Del giardino verrà quindi incaricato il botanico Jean Nicolas Céré, che
consacrerà la sua vita e le sue fortune all’arricchimento delle collezioni
botaniche, e sotto la cui direzione il giardino conoscerà la fama a livello
mondiale.
Con l’avvento della dominazione britannica (1810), l'orto di Pamplemousses
conoscerà un’epoca di declino, da cui si risolleverà definitivamente a partire
dal 1849, sotto la direzione di James Duncan. Questi introdurrà numerose altre
specie, tra cui la palma reale, la Terminalia arjuna, nuove varietà di
orchidee, di begonie, di azalee, di camelie, di felci e, soprattutto, la bouganville e numerose
specie di palme. Realizza inoltre, a partire da un antico stagno,
il laghetto conosciuto come Grand Bassin. Nel 1863 pubblica il primo catalogo
delle piante del giardino e sotto il suo mandato viene installato il maestoso
cancello d’ingresso. Un primo cancello viene rinviato al mittente, poiché
giudicato inadeguato, anche se tanto malaccio non doveva essere, visto che oggi
cinge il palazzo della Corte Suprema di Port Louis.
Il secondo, acquistato per la cifra di 2.000 sterline, è quello giusto, e nel
1862 vincerà addirittura un primo premio nell’esposizione internazionale di
Crystal Palace, a Londra.
Tra i successori di Duncan, spicca il nome di John
Horne. Nominato capo giardiniere nel 1861, reggerà dal 1869 al 1892 le sorti
del giardino, bonificando i tratti acquitrinosi, realizzando nuovi vialetti,
continuando l’opera di classificazione ed etichettatura delle piante, ed
introducendovi, tra le altre, il caucciù, il mogano ed il palissandro. Dopo
l’epidemia di malaria che devastò l’isola nel 1866/1867, il giardino venne utilizzato anche come
vivaio per la produzione di piantine di eucalipto, in accordo con la credenza
di allora che questa pianta fosse in grado di debellare la malaria.
Terminalia catappa |
Cancello d'ingresso |
Nel 1988 l’orto botanico di Pamplemousses viene
dedicato a Sir Seewoosagur Ramgoolam, uno dei padri della patria, leader del
movimento indipendentista, nonché primo ministro del governo mauriziano.
Il giardino cambia nome un’altra volta, e diventa il “Sir Seewoosagur Ramgoolam
Botanical Garden”.
Molti dei capi di stato e dei notabili che hanno
visitato l’isola, hanno personalmente piantato un alberello a Pamplemousses. La
tradizione inizia con la Duchessa di York, che nel 1901 mise a dimora una Araucaria
excelsa; nel 1927 fu la volta della Regina Madre d’Inghilterra, e si trattò
di altre due araucarie. Indira Gandhi, Francois Mitterrand, Mugabe, la
principessa Margaret, hanno lasciato una pianta, in un gesto che mi sembra assai nobile.
Le Grand Bassin |
La parte di giardino aperta al pubblico si estende su di una superficie di circa 26 ettari, facilmente percorribili grazie alla fitta rete di vialetti. Ci sono spazi a prato, un piccolo suggestivo laghetto centrale (le Grand Bassin), ed alcune vasche piuttosto estese, che ospitano ninfee, loti ed altre specie acquatiche. Al suo interno si trovano anche alcuni edifici, tra cui lo Château de Mon Plaisir, la cui costruzione iniziò nel 1820, ed altri che giacciono in stato di penoso abbandono.
La visita a
Pamplemousses è stata assai piacevole: la varietà degli ambienti che si
succedono, la vegetazione lussureggiante che a tratti si fa impenetrabile, il
romantico laghetto in cui si specchiano essenze dalle forme strane,
contribuiscono al fascino del tutto particolare di questo giardino. Le
popolazioni locali lo considerano un vero parco urbano, e lo frequentano
costantemente; gli indiani, etnia molto numerosa sull’isola, vi si recano per
cantare gli inni sacri, accompagnati da armonium e mridangam, e le donne
vestite con i loro coloratissimi saree accrescono la già ricca tavolozza dei colori
di fiori e piante.
Mogano (Swietenia humilis) |
La vasca delle Victoria amazonica |
Victoria amazonica |
Victoria amazonica |
Victoria amazonica con fiore |
”Il dono di una
pianta utile per me è più prezioso della scoperta di una miniera d’oro, ed un
monumento più duraturo delle piramidi”
(Bernardino di St Pierre. Iscrizione sulla Colonna Liénard,
Orto Botanico di Pamplemousses)