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mercoledì 13 febbraio 2013

Il Vecchio Albero





Nel cuore della foresta viveva un vecchio albero. Nessuno sapeva quanti anni avesse. La
circonferenza del tronco era tale che diciotto uomini non bastavano per
abbracciarlo, le radici si spingevano nella terra per un raggio di
cinquanta metri. Il suolo al riparo della chioma era straordinariamente
fresco. La corteccia era dura come la pietra, tanto che premendovi il
dito, il dito doleva. I rami ospitavano decine di migliaia di nidi e
davano rifugio a centinaia di migliaia di uccelli, piccoli e grandi.
Al mattino, il primo raggio di sole era come la bacchetta di un direttore
d'orchestra che dava il la alla poderosa sinfonia dei canti di migliaia
di uccelli, maestosa come il sorgere del sole dietro la cima della
montagna. Allora tutte le creature della montagna e della foresta si
alzavano lentamente su due o quattro zampe, in stupefatta meraviglia.

Nel tronco dell'albero c'era un foro grande come un melone, a dieci
metri da terra. Nel foro era deposto un piccolo uovo marrone. Nessuno
poteva dire se l'avesse deposto un uccello. Alcuni pensavano che
l'avesse forgiato la sacra aria della foresta unendosi all'energia vitale dell'albero.
Erano passati trent'anni senza che l'uovo si
schiudesse. In certe notti gli uccelli venivano svegliati da una nuvola
sospesa davanti al foro, da cui emanava una luce abbagliante che
illuminava tutta quella parte di foresta. Finalmente, una notte di luna
piena, l'uovo si schiuse e ne uscì uno strano uccello. Era minuscolo,
ed emise un debole cinguettio nella notte fredda. La luna era chiara e
le stelle brillanti. L'uccellino pigolò per tutta la notte. Non era un
verso di disperazione o di baldanza, ma di stupita sorpresa. Pigolò
fino allo spuntare del sole. Il primo raggio luminoso animò la
sinfonia, che eruppe nel canto di migliaia di uccelli. Da quel momento,
l'uccellino non cinguettò più.
Cresceva velocemente. Le madri-uccello
portavano nel foro semi e chicchi. Ben presto il foro divenne troppo
angusto, e l'uccello dovette cercare un posto più grande per vivere.
Aveva imparato a volare, si procurava il cibo da solo e raccolse fili
di paglia per costruire un nuovo nido. L'uovo era marrone, ma l'uccello
era bianco come la neve. La sua apertura alare era ampia, e aveva un
volo lento e silenzioso. Spesso raggiungeva in volo luoghi lontani,
dove bianche cascate precipitavano giorno e notte come se fossero il
respiro maestoso della terra e del cielo.
A volte non faceva ritorno
per molti giorni. Poi riposava nel nido per tutto un giorno e una
notte, tranquillo e pensieroso. I suoi occhi brillavano: non persero
mai l'espressione sorpresa che avevano sin dalla nascita.

Nell'antica foresta di Dai Lao, sul fianco di una collina, sorgeva una capanna da
eremita, in cui un monaco viveva da quasi cinquant'anni. Spesso
l'uccello volava sulla foresta di Dai Lao e di tanto in tanto vedeva il
monaco scendere lentamente il sentiero verso il torrente, tenendo in
mano un otre per l'acqua. Una volta vide un filo di fumo levarsi dalla
capanna, e la collina immersa in un'atmosfera di calore: due monaci
salivano il sentiero che dal ruscello portava alla capanna, parlando
tra di loro. Quella notte l'uccello si fermò nella foresta di Dai Lao.
Nascosto tra i rami di un albero, guardava il fuoco brillare nella
capanna dove i due monaci conversarono per tutta la notte.

Spiccò il volo e salì in alto, sempre più in alto, sopra l'antica foresta. Per
giorni e giorni solcò il cielo senza mai posarsi. Sotto di lui c'era il
vecchio albero; ancora più sotto, le creature della montagna e della
foresta si nascondevano nell'erba, tra i cespugli e nella chioma degli
alberi. Da quando aveva ascoltato i discorsi tra i due monaci, la sua
perplessità era aumentata. Da dove vengo? Dove andrò? Quante migliaia
di anni vivrà ancora il vecchio albero?
L'uccello aveva udito i monaci
parlare del Tempo. Che cos'è il Tempo? Perché il Tempo ci ha condotti
qui, e perché ci porterà via? Il chicco che mangio ha una sua deliziosa
natura, ma potrò mai scoprire la natura del Tempo? L'uccello avrebbe
voluto cogliere un pezzetto di Tempo e posarlo nel nido per poterne
esaminare la natura. Sì, anche se ci fossero voluti mesi o anni.

Di nuovo volò in alto, sempre più in alto, sopra l'antica foresta. Era
come un palloncino che scivolava nel nulla. Sentì che la sua natura era
vuota come quella di un palloncino. La vacuità della sua natura era la
base stessa della sua esistenza, ma anche la causa della sua
sofferenza. "Tempo, se non posso trovare te posso almeno trovare me
stesso", pensò l'uccello.
Per molti giorni restò tranquillamente nel
nido: aveva portato con sé una briciola di terra della foresta di Dalai
Lao. L'aveva presa per esaminarla. Era stato profondamente colpito
dalle parole che il monaco della foresta di Dai Lao aveva detto
all'amico: "Il Tempo è fisso nell'Eternità, dove l'Amore e l'amato sono
Uno. Ogni filo d'erba, ogni zolla di terra, ogni foglia è Uno con quell'Amore".
L'uccello non era stato capace di trovare il Tempo.
Neppure la briciola di terra raccolta nella foresta di Dai Lao rivelava
qualcosa. Che il monaco avesse mentito all'amico? Il Tempo è fisso
nell'amore, ma dov'è l'Amore? Ricordò le cascate che precipitavano
senza sosta nella foresta settentrionale. Ricordava i giorni passati ad
ascoltare dal mattino alla sera il loro fragore. Immaginava di cadere
come una cascata, giocava con la luce che scintillava sull'acqua,
accarezzava le pietre e le rocce che la cascata bagnava. In quei
momenti l'uccello si sentiva cascata, sentiva che il continuo fragore
dell'acqua che precipitava proveniva da lui.

Un giorno, sorvolando la
foresta di Dai Lao, non vide più la capanna. La foresta era bruciata, e
della capanna rimaneva soltanto un mucchietto di cenere. Angosciato,
l'uccello spiccò un volo di perlustrazione. Il monaco non si vedeva
più. Dov'era andato? Dappertutto, cadaveri di animali e di uccelli.
Forse il fuoco aveva divorato anche il monaco?
L'uccello era sconcertato. Dove sei, Tempo? Perché ci porti qui e poi ci trascini
via? "Il Tempo è fisso nell'Eternità", aveva detto il monaco. Se era
così, forse l'Amore aveva ripreso il monaco dentro di Sé.

Di colpo l'angoscia lo invase. Volò rapidamente all'antica foresta. Grida
disperate di uccelli. Crepitii. La foresta bruciava. Volò più veloce,
ancora più veloce. Il fuoco lambiva il cielo. L'incendio era scoppiato
vicino al vecchio albero. Centinaia di migliaia di uccelli strillavano atterriti.
Il fuoco minacciava già il vecchio albero. L'uccello sbatté
le ali con tutta la sua forza credendo di poter spegnere il fuoco, ma
le fiamme si levavano sempre più alte. Si affrettò al ruscello, bagnò
le penne nell'acqua e corse a spruzzarla sulla foresta. Le gocce
sfrigolarono. Non bastava, non bastava. Neppure intridere tutto il suo
corpo d'acqua sarebbe bastato per spegnere il fuoco.

Strida di centinaia di migliaia di uccelli. Strida di piccoli senza penne per
volare via. Il fuoco aveva attaccato il vecchio albero. Perché non
pioveva? Perché i monsoni che si rovesciavano sulla foresta
settentrionale non cadevano anche lì? L'uccello si lasciò scappare un
grido lacerante. Era un grido colmo di dolore e d'amore, e diventò
l'impetuoso fragore di una cascata.
Di colpo l'uccello sentì la
totalità della sua esistenza. Solitudine e vuoto si dissolsero come un
miraggio. La figura del monaco. L'immagine del sole dietro la cima
della montagna. L'immagine di fiumi d'acqua che precipitavano senza
fine attraverso migliaia di vite. Il grido dell'uccello era il fragore
dell'acqua. Senza paura, si lasciò cadere sulla foresta in fiamme come
una maestosa cascata.

Il mattino spuntò silenzioso. I raggi del sole
splendevano come sempre, ma non accesero nessuna sinfonia, nessuna voce
si alzò dalle migliaia di uccelli. Intere parti di foresta erano
carbonizzate. Il vecchio albero era in piedi, ma più di metà della sua
chioma era bruciata. Grandi uccelli morti, piccoli uccelli morti. Il
mattino nella foresta era silenzioso.
Gli uccelli scampati alle fiamme
si chiamavano con voci incredule. Si chiedevano per quale miracolo, il
giorno prima, il cielo sereno avesse lasciato cadere un improvviso
nubifragio che aveva estinto l'incendio. Ricordavano di aver visto
l'uccello che spruzzava acqua dalle ali. Avevano riconosciuto il bianco
uccello del vecchio albero. Coprirono in volo tutta la foresta alla
ricerca del suo corpo, ma non lo trovarono.

Forse era volato via.
Forse era stato bruciato dal fuoco. Il vecchio albero, coperto di
ustioni, non disse nulla. Gli uccelli alzarono la testa verso il cielo
e cominciarono a ricostruire i nidi nella chioma ferita del grande
albero. Avrà nostalgia il grande albero del piccolo uccello che la
sacra aria della montagna e l'energia vitale di quattromila anni
avevano partorito? Uccello, dove sei andato? Ascolta questo monaco:
anch'io credo che il Tempo abbia restituito l'uccello all'Amore da cui
provengono tutte le cose.



Thich Nhat Hanh

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