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lunedì 11 febbraio 2013

Storie di Alberi: il Mito di Erisittone


Erisittone, figlio di Triope e re della Tessaglia, era un uomo empio e violento; disprezzava gli dei, e non bruciava profumi sui loro altari. Di lui si racconta che avesse perfino profanato con la scure un bosco sacro a Cerere (Cerere era la dea romana della Terra e della Fertilità, corrispondente alla Demetra della mitologia greca), contaminando con il fuoco i vetusti alberi. Tra questi si ergeva una Quercia smisurata, dal fusto secolare, un bosco intero da sola: la cingevano festoni, tavolette commemorative e corone, testimonianza di voti esauditi. Sotto la suo chioma spesso le Driadi (nell'antica Grecia, le Driadi erano le ninfe delle querce, che vivevano nei boschi, e ne rappresentavano la "magia verde") intrecciavano danze festose, spesso, tenendosi per mano, avevano fatto girotondo intorno a quell'albero gigante, la cui misura arrivava ad essere quindici braccia; tutto il resto della selva rimaneva inferiore ad esso per altezza, tanto quanto lo era l'erba sotto il bosco. Tutto ciò non bastò comunque a Erisittone per tenere il ferro lontano dalla sacra Quercia: ordinò infatti ai suoi servi di tagliarla. Quando però si avvide che coloro cui era stato dato l'ordine indugiavano timorosi, strappò di mano ad uno di loro la scure, pronunziando queste scellerate parole: "Anche se non fosse solo un albero caro alla dea, ma la dea stessa, toccherà subito il suolo con la sua cima frondosa!". Così disse e, mentre assestava con la scure tremendi colpi, la Quercia di Cerere tremò ed emise un gemito: fronde e ghiande tutte insieme cominciarono a perdere colore ed i lunghi rami si tinsero del medesimo pallore. Appena la mano sacrilega provocò la prima ferita al tronco, dalla corteccia lacerata uscì fuori il sangue, non diversamente da come sgorga dalla cervice troncata di un grosso toro, allorchè cade vittima davanti all'altare. Tutti i presenti rimasero stupiti, ed uno di loro osò impedire il sacrilegio e fermare la crudele ascia. Erisittone lo guarda e gli dice: " Sarai premiato per la tua pia intenzione!". Rivolse quindi la sua ascia contro di lui, e gli mozzò il capo, per poi tornare a colpire la Quercia. Ma dall'interno dell'albero, provenne una voce: "Sotto questo legno vivo io, una ninfa carissima a Cerere, ed in punto di morte, ti predico che è imminente il castigo dei tuoi delitti, cosa che mi consola alquanto". Il re continuò nella sua opera scellerata, e finalmente la Quercia, scossa dagli innumerevoli colpi e tirata dalle funi, crollò ed abbattè con il suo peso molta parte della selva.

Quercia delle Streghe. Lappato, Lucca
Le sorelle Driadi, sbigottite per il danno subito dal bosco e da loro stesse, corsero tutte insieme da Cerere, in pianto e vestite di nero, ed invocarono una punizione per Erisittone. La bellissima dea ascoltò le loro preghiere, e pensò ad una pena che avrebbe destato pietà per chiunque, ma non per lui: decise di farlo straziare dalla terribile Fame.

E poichè questa non può essere avvicinata dalla dea in persona (chè i fati non permettono che Cerere e la Fame si incontrino), quest'ultima inviò una ninfa a cercarla nella gelida Scizia. La trovò in un campo pietroso, intenta a strappare con le unghie e con i denti le poche erbe. Ispidi erano i capelli, gli occhi infossati, un pallore su tutto il viso, le labbra illividite come per la muffa, la bocca irruvidita dal tartaro, la pelle indurita attraverso la quale si potevano vedere le viscere; da sotto gli incurvati lombi spuntavano le ossa scarnificate. Al posto del ventre c'era lo spazio per esso; avresti creduto che il torace fosse sospeso e che fosse trattenuto soltanto dalla colonna vertebrale. La magrezza faceva sembrare ampliate le articolazioni, erano gonfie le rotule dei ginocchi ed i talloni sporgevano con una protuberanza sproporzionata.
La ninfa riferì il volere della dea, rimanendo a prudente distanza; nonostante ciò ebbe l'impressione di sentire fame, ed intraprese rapidamente la via del ritorno.

Quercia Rossa (Quercus rubra)

La Fame, sebbene sempre contraria all'operato di Cerere, eseguì l'ordine: si fa trasportare dal vento alla casa di Erisittone, penetra nel suo letto, lo stringe tra le braccia e gli trasfonde il digiuno nelle sue vene svuotate. Quando Erisittone si svegliò, fu subito assalito dal desiderio di mangiare, e chiese tutto quanto produce il mare, la terra ed il cielo. Nonostante le mense imbandite, e le enormi quantità di cibo ingurgitato, si lamenta di sentirsi digiuno, e chiede ancora cibo; mangia quanto potrebbe sfamare una intera città, ma quel vuoto nello stomaco diviene sempre più grande.
Nell'inutile intento di soddisfare la sua fame infinita, Erisittone depositò tutti il suo patrimonio nelle viscere e diede fondo a tutti i suoi averi. Ridotto in povertà, cercò di vendere anche la figlia. Nettuno aveva però concesso al suo corpo la capacità di trasformarsi, ed ella riuscì così a sfuggire al suo primo padrone, ed a tutti gli altri cui il padre tentò di venderla, tramutandosi ora in pescatore, ora in uccello, oppure in cavalla od in cervo. 
Disperato e senza più modo per procurarsi nutrimento, Erisittone cominciò a lacerare a morsi le sue proprie membra, e nutriva il suo corpo distruggendolo. 

Farnia (Quercus robur)
Il mito di Erisittone, di origine ellenica, è narrato da Publio Ovidio Nasone nelle Metamorfosi, nel libro VIII, ai righi da 737 fino a 878. (Un altro mito tratto dalle Metamorfosi, è quello contenuto nel post Storie di Alberi: il mito di Cyparissus). Ho riportato integralmente la parte della narrazione che riguarda la distruzione della Quercia sacra a Cerere, mentre ho ridotto e riassunto la parte relativa alla punizione di Erisittone.

Colpisce in questo antico mito la semplice equazione che sottintende: distruzione degli alberi uguale a fame per l'uomo. L'etimologia del nome Erisittone,  Che taglia la terra, allarga il discorso al disboscamento effettuato per destinare terra all'agricoltura, ancora visto all'epoca come un' offesa agli dei ed un misfatto che porta l'uomo alla rovina. 



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