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sabato 23 dicembre 2017

Les Faux, i Fantastici Faggi della Foresta di Verzy

Un Fau (Fagus sylvatica var. tortuosa) della Foresta di Verzy

I Faggi della foresta francese di Verzy sono tra le creature più bizzarre e stupefacenti che sia dato di incontrare nell’intero mondo vegetale. Piccoli alberi, alti non più di 5 – 6 metri, assumono forme completamente diverse da quelle alte e slanciate a cui siamo abituati per questa specie. I loro fusti contorti e tormentati si avvitano sinuosi nell’aria, allargandosi e restringendosi a formare improbabili figure; i rami si uniscono e si saldano volentieri tra loro, abbracciandosi anche ad altri alberi, per svilupparsi poi in complicate volute, ghirigori ed arabeschi. Le chiome intricate e fitte di rametti ricordano la maglia di un tessuto ed assumono portamento piangente, inviando le copiose fronde verso terra, tanto che gli alberelli più bassi hanno il tronco circondato da dense ed impenetrabili cupole estese fino al suolo.


In Francia questi alberi sono ovunque noti come “Faux de Verzy”: faux (singolare fau) è il nome che veniva dato ai Faggi adulti nel medioevo, direttamente proveniente dalla lingua degli antichi Galli. (Non significa invece “falci”, come si trova tradotto in diversi testi. Io stesso, in alcuni post passati, sono incappato in questo errore, e ne chiedo umilmente venia). Comunemente in lingua francese viene fatto riferimento ai Faux con l’appellativo di “tortillard”, termine utilizzato anche nella letteratura scientifica, che significa contorto, tortuoso, ma anche bizzarro o stravagante. Nel 1861 il botanico Pepin li separò in un’entità botanica a parte, considerandoli una varietà del Faggio comune, varietà a cui venne dato il significativo nome di tortuosa (Fagus sylvatica varietà tortuosa). Nella foresta di Verzy sono stati censiti circa 800 esemplari tortillard, ed il 90% di essi sono protetti in una Riserva Biologica Orientata la quale, istituita nel 1981 dall’Office National de Forêts, copre attualmente una superficie di circa 57 ha. Per salvaguardare i Faux dall’impatto delle migliaia di persone che ogni anno visitano la Riserva (si parla di più di 200.000 visitatori l’anno), è stato allestito un percorso dotato di recinzioni in legno, oltre che di cartelli illustrativi e panchine. Le recinzioni, pur mantenendo la visibilità degli alberi, impediscono il calpestio dei turisti alla base delle piante, fattore deleterio per la loro conservazione a causa del compattamento del terreno, che a lungo andare impedisce gli scambi gassosi e la penetrazione e lo smaltimento nel sottosuolo dell’acqua piovana. Gli interventi selvicolturali all’interno della Riserva mirano alla conservazione ed alla propagazione dei Faux, attraverso un oculato taglio delle specie concorrenti e la ripulitura dagli arbusti e dalle erbe del sottobosco. I Faux possono riprodursi per seme, ma con una certa difficoltà, poiché pochi sono i semi fertili, ed anche perché non sempre il carattere tortillard si mantiene nella discendenza. La riproduzione avviene quindi prevalentemente per via vegetativa, o attraverso l’emissione di nuovi fusti da parte delle radici, che si affrancano dalla pianta madre e vanno a costituire un nuovo individuo, o per radicazione dei rami che toccano terra, e che originano anche essi un nuovo albero autonomo. Non si ha alcuna idea del numero di individui del nucleo originario che ha dato origine al popolamento: è possibile addirittura che si tratti di uno solo! Nonostante la voce popolare, tanto per cambiare, attribuisca agli alberi età che rasenterebbero il millennio, l’età massima misurata su grossi esemplari caduti si attesta intorno ai 300 anni, in accordo con l’aspettativa di vita del Faggio comune. Il fenomeno dei Faux non è esclusivo di Verzy, ma si ritrova in altri luoghi della Francia e d’Europa (in Germania a Süntel, presso Hannover, ed in Svezia a Dalby Soderskogs, vicino Malmoe). In Italia sembra appartenere alla stessa varietà il famosissimo Faggio di San Francesco a Rivodutri, in provincia di Rieti. Personalmente credo ce ne siano altri sparsi nelle faggete appenniniche, la cui forma è normalmente imputata agli effetti del vento e della neve. La popolazione europea è comunque stimata in 1.550 esemplari: dal dato emerge l’importanza naturalistica di Verzy, visto che ne ospita più della metà. Interessante è anche il fatto che una decina di Querce e qualche Castagno che vivono nella foresta presentano anch’essi il carattere tortillard.



domenica 17 dicembre 2017

domenica 3 dicembre 2017

domenica 12 novembre 2017

Tassi Millenari del Surrey: Crowhurst e Tandridge

Il Tasso di St George a Crowhurst

In Inghilterra ogni antica chiesa è circondata da un cimitero di vecchie tombe su cui veglia un albero di Tasso, con le dense fronde che arrivano spesso a lambire le mura della costruzione. In effetti il Tasso nella terra di Albione è per eccellenza l’albero dei cimiteri, ricoprendo lo stesso ruolo che da noi è rivestito dal Cipresso comune, secondo una tradizione che risale probabilmente all’epoca dei Celti. (Sul simbolismo del tasso, vedi PostStorie di Alberi: il Tasso, albero della morte e della rinascita”). Sul motivo di questa scelta si possono solo fare delle ipotesi, che si ricollegano al fatto che il Tasso è estremamente velenoso, e quindi associato da sempre alla morte. Senza dimenticare che in Gran Bretagna, almeno fino al 1700, fu l’unico albero di una certa dimensione sempreverde, se si esclude l’Agrifoglio, carattere che insieme alla lunghissima vita ben si presta a farne un simbolo di immortalità. Il naturale rispetto tributato ai luoghi di sepoltura, la possibilità di un monitoraggio continuo dello stato di salute degli alberi, e la conseguente accurata manutenzione degli stessi, consente ai Tassi dei cimiteri di godere di una vita secolare.
Le piccole e ritirate chiese dedicate a Saint George (XII secolo) e a Saint Peter (XI secolo), sperse nelle verdeggianti e bucoliche campagne del Surrey a poca distanza l’una dall’altra, non fanno certo eccezione: la particolarità dei Tassi che ivi risiedono sta nel fatto che ambedue sono più che millenari. Che età abbiano con precisione i due vegliardi nessuno è in grado di dirlo, ma alcuni esperti parlano di almeno 1.500 anni, e qualcuno azzarda assai oltre, fino agli improbabili, per quanto affascinante risulti la cosa, 4.000 anni. Le chiese in questione si trovano a circa un’ora di treno a sud est di Londra, la prima in prossimità del minuscolo villaggio di Crowhurst, la seconda non lontano da Tandridge, piccolo paese con tanto di stazione ferroviaria. Non sono affatto facili da raggiungere, in quanto non sono servite da mezzi pubblici, e mi ero quindi preparato ad una robusta scarpinata per visitarle, assai preoccupato per la previsione di pioggia imminente. Poi Johnny, la persona nella cui casa ero ospite, mi ci ha accompagnato in macchina, con grande gentilezza ed anche sforzo, visto che purtroppo ha le gambe paralizzate ed è su una seggiola a rotelle. Ne approfitto per ringraziarlo ancora.

lunedì 6 novembre 2017

domenica 5 novembre 2017

L'Età degli Alberi

Bristlecone Pine (Pinus longaeva). White Mountains, California. Gli alberi più vecchi della terra

Tra tutti i fatti che riguardano la vita degli alberi l’età è senza dubbio il più affascinante e quello che maggiormente solletica la curiosità e la fantasia popolare, forse perché più o meno inconsciamente paragoniamo la secolare esistenza degli esemplari vegliardi con la brevità del nostro passaggio terreno. In effetti gli alberi, con i 5.000 anni raggiunti da alcuni individui di Bristlecone Pine della California (sul Bristlecone Pine vedi Post: Gli abitanti più antichi della terra, sugli alberi più vecchi vedi Post: Gli Alberi più vecchi, i più alti, i più grandi), non solo sono di gran lunga gli esseri viventi più longevi del pianeta, ma si possono anche annoverare, dopo le inarrivabili rocce (alcune delle quali risalgono a 300 milioni di anni fa), tra le “cose” più antiche della terra, battendo in scioltezza le Piramidi egizie e la gran parte dei manufatti umani.


martedì 31 ottobre 2017

lunedì 30 ottobre 2017

The Bowthorpe Oak, la Quercia più grande d'Europa

Bowthorpe Oak. Incisione su rame di J.C. Nattes, 1804

Vecchia quercia nota! Ti ho visto in uno stato d'animo
di vaga indifferenza; e tuttavia con me
il tuo ricordo, come il tuo destino, ha indugiato
per anni, tu eremita, nel mare solitario
di erba che ondeggia intorno a te! La solitudine
dipinge un'immagine che risulta alla vista come niente di più solitario,
BurtHorp! del tuo albero malinconico,
rovinato dall'età, e ridotto ad un troncone. Tuttavia, ora 
le foglie spuntano  su ogni fessura e ramo spezzato
ad ogni primavera; ed intorno a te aleggiano visioni poetiche,
di giorni passati, e di cavalleria;
e desolate fantasie inducono gli occhi confusi ad offuscarsi
con i sentimenti, che la grandezza della Terra debba decadere
e tutte le sue antiche memorie scomparire.
John Clare, 1820 

Bowthorpe Oak (Quercus robur L.)
A dispetto del pessimismo romantico di Clare, poeta contadino che terminò la sua esistenza in preda alla follia estrema, la Quercia di Bowthorpe è ancora ben viva e vegeta, noncurante dei 1.200 anni di età, secolo più secolo meno, che pesano sulle sue possenti radici.

venerdì 27 ottobre 2017

sabato 30 settembre 2017

Illusione Riflessa



Il mondo che ci circonda è una illusione, è una immagine proiettata dalla interpretazione dei nostri sensi. Come una strada inclinata diviene una salita od una discesa, a seconda del verso in cui la percorriamo.

sabato 9 settembre 2017

Palāsa Jataka


Fiori di Palāsa (Butea monosperma). Foto tratta da DOMAP, India

Il Palāsa Jataka porta il numero 370 tra le storie del Jataka Mala, l’antico testo buddista che raccoglie narrazioni didascaliche sulle precedenti reincarnazioni del Budda Sakiamuni (vedi post Storie di Alberi: il Bhadda Sala Jataka, per ulteriori approfondimenti). Esso ha come protagonista un albero di Palāsa (Butea monosperma), con il suo spirito residente, ed un albero di Banyan (Ficus benghalensis). Il Banyan (vedi Post Alberi Sacri dell'India: il Banyan, Albero dei Desideri), fa parte di un gruppo di alberi definiti come fichi strangolatori: i loro semi, ingeriti da uccelli che poi li depongono con gli escrementi sulla chioma dell’albero ospite, germogliano e crescono intorno al fusto dell’ospite, fino ad ucciderlo per strangolamento. Questo processo naturale viene utilizzato dal Buddha (il Maestro) come una metafora del peccato, che seppure piccolo, può insinuarsi nell’animo umano fino a distruggerlo.

Palāsa Jataka

Questa storia fu raccontata dal Maestro durante la sua permanenza a Jetavana, e riguarda il biasimo del peccato. Rivolgendosi ai discepoli, il Maestro disse: “Fratelli, il peccato dovrebbe essere guardato con sospetto. Sebbene possa essere piccolo come un germoglio di Banyan, il peccato può essere fatale. Anche gli antichi saggi sospettavano di qualunque cosa fosse aperta al sospetto”. E raccontò quindi una storia del passato.

Un tempo, durante il regno di Bramhadatta a Varanasi, il Bodhisattva si reincarnò in un’Oca dorata. Quando divenne adulta, andò a vivere in una grotta sulla montagna di Chittakuta nella regione himalaiana, da dove ogni giorno si recava in volo ad un vicino lago, per mangiare il riso selvatico che ivi cresceva. Sulla via che percorreva c’era un grande albero di Palāsa, e sia all’andata che al ritorno si fermava sempre a riposare sui suoi rami. Divenne così amica dello spirito che dimorava nell’albero. Un giorno un uccello, che aveva mangiato il frutto maturo di un Banyan, venne ad appollaiarsi sul Palāsa, e dopo poco lasciò cadere i propri escrementi laddove l’albero si biforcava in due distinti fusti. Ben presto in quel punto del tronco nacque un giovane e vigoroso Banyan, che crebbe rapidamente fino all’altezza di quattro piedi, coperto di fogliame verde e di germogli rossastri. L’Oca reale, vedendo ciò, si rivolse allo spirito del Palāsa, e lo avvertì : “Mio caro amico, ogni albero su cui germoglia un Banyan, viene distrutto dalla sua crescita. Non aspettare che questa piantina nata sul tuo albero cresca, o distruggerà la tua dimora. Agisci subito: sradicalo e gettalo via. E’ giusto dubitare di tutto ciò che è degno di sospetto”. Così conversando con lo spirito dell’albero, l’Oca recitò la prima strofa:

L’Oca disse al Palāsa,
“Un germoglio di Banyan ti sta minacciando:
Ciò che tu coltivi in seno,
Temo che ti spaccherà ramo per ramo”

La divinità dell’albero, non prestando attenzione alle parole dell’Oca, rispose con la seconda strofa:

“Bene! Lasciamolo crescere, e possa io essere
Di rifugio all’albero di Banyan,
Ed averne cura con l’amore di un genitore,
E ciò sia per me una benedizione”

Allora l’Oca declamò la terza strofa:

“Ho paura che sia un germoglio maledetto
Quello che allevi nel tuo seno,
Ti dico addio e me ne vado,
Questa crescita, ahimè, disapprovo”

Con queste parole l’Oca reale spiego le ali e riprese la strada per il monte Chittakuta. E non ritornò mai più. In breve tempo il Banyan crebbe, e crescendo distrusse il Palāsa, facendo cadere anche il ramo dove viveva la divinità dell’albero. In quel preciso momento, ripensando alle parole dell’Oca reale, lo spirito dell’albero pensò: “Il re delle oche aveva visto giusto e mi aveva ben avvertito, ma non ho dato retta alle sue parole!” E così lamentandosi, lo spirito recitò la quarta strofa:

“Uno spettro imponente come il Monte Meru
Mi ha ridotto in questa penosa situazione.
Disprezzando le parole dell’amica Oca,
Ora sono sopraffatto dalla paura”

In questo modo il Banyan, crescendo, distrusse completamente il Palāsa e lo ridusse ad un piccolo ceppo, e la dimora dello spirito dell’albero scomparve completamente e per sempre.

“L’uomo saggio detesta il parassita
Che soffoca le forme a cui ama avvinghiarsi,
Il saggio, sospettando il pericolo rappresentato da una malerba,
Distrugge la radice prima che produca semi”

Questa fu la quinta strofa, ispirata dalla Perfetta Saggezza.

Il Maestro, finita la sua lezione, enunciò le quattro Nobili Verità e rivelò la sua nascita: “In quel tempo,  io ero l’Oca dorata”.
Alla fine dell’esposizione, 500 discepoli ottennero la Santità.

venerdì 8 settembre 2017

Le Notti di Diamante di BETH MOON



The Bowthorpe Oak. Foto di Beth Moon
Nello slider che segue potete ammirare alcune stupende immagini di alberi di Beth Moon, fotografa statunitense di San Francisco. Sono rimasto colpito dalla bellezza e dalla originalità di questo set, che comprende diverse altre immagini, riunite sotto il titolo di Diamond Nights.
Cliccando qui, sarete rimandati al sito officiale di Beth Moon, dove potrete vedere la serie completa ed altre opere dell'artista, tra cui un set impressionante sugli alberi antichi (contenuta in Portfolio, sotto il titolo "Portraits of Time", da cui è tratta la foto di apertura).
Personalmente, di fronte a queste immagini, c'è la voglia di smettere di fotografare!


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giovedì 7 settembre 2017

domenica 3 settembre 2017

Come Fionn mac Cumhaill ottenne la Saggezza


Nocciole sull'albero

Quella che segue è un'antica leggenda irlandese che racconta  come si possa ottenere la conoscenza universale, e l’ispirazione poetica, mangiando nocciole prodotte da alberi cresciuti presso pozzi di acqua sacra, per questo chiamati “Pozzi della saggezza”.

Quando Fionn mac Cumhaill, futuro leader dei valorosi Fianna d’Irlanda, era ancora giovane, fu mandato a studiare presso un anziano saggio che viveva lungo le rive del fiume Boyne (nell’attuale Contea di Kildare). Finnegas, questo era il nome del vecchio, era un poeta conosciuto in tutta l’Irlanda per la sua sconfinata conoscenza, che abbracciava i segreti di uccelli, animali, piante e stelle del firmamento.
A Fionn piaceva molto ascoltare ed imparare le meravigliose storie del maestro e le sue molte parole di saggezza; in cambio lo aiutava nei lavori quotidiani, cucinando, pulendo la capanna e pescando per lui. La curiosità di Fionn era insaziabile, e sempre più spesso le sue domande mettevano in difficoltà Finnegas, poichè questi non era in grado di rispondere.
“C’è un modo per conoscere tutto?” – chiese una volta Fionn.
Era la stessa domanda che il vecchio aveva posto diversi anni prima al suo maestro, e la risposta era la ragione per cui abitava in quel luogo: gli era infatti stato rivelato che in una profonda e calma pozza di quel fiume, conosciuta come “Pozzo della Saggezza”, all’ombra di nove piante di nocciolo che la circondavano, viveva il Salmone della Conoscenza. Il pesce aveva acquisito tutta la conoscenza di questo mondo mangiando nove nocciole, ciascuna caduta in acqua da ognuno dei nove alberi. Secondo un’antica profezia, colui che avesse mangiato il salmone avrebbe ottenuto la conoscenza suprema. Per questo già da sette anni Finnegas cercava di pescare quel pesce.
Un giorno, non molto tempo dopo che Fionn era venuto a vivere con lui, Finnegas finalmente catturò il salmone:
“L’ho preso, l’ho preso!” – gridava, al settimo cielo per la gioia.
“Me lo devi cucinare subito!” – ordinò Finnegas. E così Fionn accese il fuoco e si accinse a cucinare il salmone.
Finnegas lo ammonì: “Cucinalo come ti pare ma, mi raccomando, non ne assaggiare nemmeno un piccolo pezzo!”. Detto fatto, il vecchio si allontanò per raccogliere altra legna.
Quando tornò, il salmone era cotto e pronto per essere mangiato. Ma guardando Fionn, Finnegas si accorse che c’era qualcosa di diverso in lui: i suoi occhi apparivano più blu e le sue gote più rosse; sembrava anche più grande e più forte.
“Lo hai assaggiato?” – chiese subito, pieno d’ansia.
“No!” – rispose Fionn – “Ma mentre lo giravo sullo spiedo mi sono bruciato le dita, e mi sono messo il pollice in bocca per lenire il dolore”.
Il cuore di Finnegas si riempì di amarezza.
“Mi basta” – disse intristito a Fionn – “La profezia si è compiuta in te, per il semplice fatto di esserti messo il pollice in bocca hai assaggiato il Salmone della Conoscenza. Tutta la conoscenza del mondo è ora tua! Non c’è più niente che io ti possa insegnare” – concluse Finnegas – “Ora te ne devi andare: sei destinato a diventare un grande poeta, guerriero e capo”.
Da allora in poi, e per tutta la vita, quando Fionn aveva un dubbio si infilava il pollice in bocca e sapeva subito cosa fare. Una volta cresciuto e fatto uomo, Fionn divenne davvero il più rispettato tra i poeti, i guerrieri ed i leader della sua gente.

Fionn mac Cumhaill è un eroe leggendario della mitologia irlandese. Le vicende della sua vita sono narrate in alcuni manoscritti in versi datati dal XII. al XV. secolo, anche se le storie ivi contenute, e fino ad allora tramandate oralmente, vengono fatte risalire al III. secolo. Queste opere fanno parte del cosiddetto Ciclo Feniano, il terzo, in ordine cronologico, dei quattro cicli maggiori in cui è classicamente suddivisa la mitologia irlandese. In esso si raccontano le imprese di Fionn e dei Fianna, un gruppo di guerrieri liberi ed indipendenti che, in guisa di mercenari, guerreggiavano per i re dell’epoca, e di cui Fionn divenne il leader indiscusso. Secondo una delle tante leggende, Fionn non è mai morto, ma giace addormentato in una miniera nel sottosuolo di Dublino, pronto a risvegliarsi per difendere l’Irlanda da eventuali aggressori.

Il Nocciolo era tenuto in massima considerazione nell’antica Irlanda, laddove gli venivano attribuiti proprietà magiche e mistiche. Per i Celti irlandesi mangiare i suoi frutti permetteva di raggiungere la saggezza e l’ispirazione poetica, due qualità indissolubilmente legate nelle credenze di quei popoli, e gli veniva ascritta la capacità di proteggere da ogni cosa malvagia. Si ipotizza anche che con le nocciole si preparasse una sorta di idromele con proprietà psicotrope. Di legno di nocciolo erano i bastoni del potere dei druidi, così come quelli impiegati dai rabdomanti per rivelare la presenza di acqua. Anche il salmone fu animale sacro per i Druidi irlandesi.


venerdì 1 settembre 2017

martedì 29 agosto 2017

lunedì 28 agosto 2017

sabato 12 agosto 2017

venerdì 11 agosto 2017

mercoledì 2 agosto 2017

La Rovere di Malahide


Quercus petraea. Malahide Castle, Irlanda



lunedì 31 luglio 2017

martedì 20 giugno 2017

lunedì 19 giugno 2017

domenica 18 giugno 2017

sabato 17 giugno 2017

mercoledì 1 febbraio 2017

Dalle Metamorfosi di Ovidio: il Mito di Mirra



La nascita di Adone e la trasformazione di Mirra. Luigi Garzi, inizi del XVIII secolo

Un altro mito stupendo tratto dalle Metamorfosi di Ovidio, in cui si narra della trasmutazione da parte degli dei di un essere umano in albero. Ancora una volta, come nei miti di Cyparissus (vedi Post) e Dafne (vedi Post), la causa prima della metamorfosi risiede nell’amore: ma mentre il primo viene trasformato in cipresso per potere piangere l’amato cervo da lui stesso ucciso, e Dafne è mutata in alloro per sfuggire alle indesiderate mire di Apollo, nel caso di Mirra siamo di fronte ad un amore sacrilego, condannato già dalla società dell’epoca come un tabù inviolabile. Mirra si innamora infatti del proprio padre, Cinira, re di Pafo: è un amore carnale e folle, di cui la stessa Mirra non riesce né a capacitarsi né a liberarsi, al punto da tentare il suicidio. Scoperta nell’atto di togliersi la vita dalla sua vecchia nutrice, viene da questa aiutata ad introdursi con un sotterfugio nel letto del padre, complice l’assenza di sua madre impegnata nei festeggiamenti tributati alla dea Cerere. L’abominevole incesto si ripete per più notti, durante le quali Mirra rimane incinta, finché il padre la scopre e lei si da alla fuga. Pentita dei suoi atti, e piena di vergogna per l’accaduto, Mirra implora gli dei di sottrarla sia al mondo dei vivi che a quello dei morti: un dio benevolo accoglie le sue preghiere e la trasforma nell’albero della mirra, mentre lei continua a piangere lacrime tiepide che stillano dal tronco della pianta. Ovidio così conclude l’episodio: “Ma anche alle lacrime si rende onore: così la mirra che trasuda dall’albero mantiene il nome portato dalla fanciulla, che non sarà dimenticato in nessuna età”. In questo modo nacque l’albero della Mirra, e la resina che cola abbondante dalle ferite del tronco, e che da il nome all’albero, non è niente altro se non le lacrime della sfortunata ragazza.
Dall’unione di Mirra e Cinira vedrà la luce Adone, fanciullo di straordinaria bellezza, di cui si invaghirà addirittura Venere, la dea dell’amore. Adone nasce da una crepa dell’albero, uscendo dalla corteccia squarciata, e morirà molto giovane, come racconta Ovidio nel prosieguo del Libro X, ucciso dalle zanne di un cinghiale ferito a cui stava dando la caccia. Piena di dolore, Venere verserà del nettare profumato sul sangue di Adone, e da questo si originerà il fiore che porta il nome dei venti, ovvero l’Anemone. Per commemorare la memoria dell’amato, la dea istituirà una festa annuale (Adonia), che si teneva all’inizio della primavera.
L’immagine di una figura umana che nasce, o che comunque esce, dal tronco di un albero, è un motivo ricorrente negli antichissimi culti della Dea Madre, la regina del cielo, principio creatore che da vita a tutte le creature dell’universo, dispensatrice di fecondità alle donne e di fertilità alla terra.