domenica 23 dicembre 2012

Storie di Alberi: il Baobab, l'albero con le radici in cielo



Un mito assai diffuso in Africa racconta che quando Dio creò la terra, assegnò una pianta ad ogni animale. Il Baobab toccò alla iena la quale, disgustata da quello che evidentemente le sembrava un albero senza alcuna utilità, lo gettò via. Ed il Baobab atterrò capovolto, con le radici verso il cielo. In un’altra leggenda, si narra che il Baobab fu uno dei primi alberi creati da Dio. Quando però vide la successiva pianta creata, una palma slanciata verso il cielo, il Baobab cominciò a brontolare, perché lui voleva essere alto come lei. Dio ascoltò le sue lamentele e lo fece crescere; ma questi aveva appena raggiunto l’altezza della palma, quando vide la spettacolare fioritura della Flamboyant, e si lamentò che lui non aveva fiori. Dio provvide un’altra volta, e dotò anche lui di fiori. Ma non era ancora abbastanza: si mise infatti a piagnucolare che lui, a differenza del fico, non aveva frutti. Questo fu troppo pure per la pazienza del Creatore che, in un accesso d’ira, sradicò il Baobab dalla terra e ce lo riscaraventò con la chioma in giù, e le radici per aria.

Adansonia grandidieri  Avenue du Baobab. Morondava, Madagascar


Le due storie precedenti hanno il medesimo finale, e lasciano il povero Baobab a “gambe” per aria, a sottolineare la stravaganza della chioma, costituita da rami corti e tozzi disposti pressoché tutti nella parte terminale del fusto, e spogli di foglie per gran parte dell’anno, tanto che, per l’appunto, la chioma assomiglia fortemente ad un apparato radicale. In effetti, il Baobab è una delle piante più fantastiche e bizzarre che Madre Natura abbia mai creato. Emerge solitario dalle piatte savane africane, unico tra gli alberi a sopportarne i torridi caldi estivi e le prolungate siccità, ed affonda talora le proprie radici nel granito vivo; signore incontrastato di una vegetazione povera, composta da erbe ed arbusti spinosi, raggiunge dimensioni incredibili, a dispetto delle condizioni ecologiche estreme in cui vive. Per resistere alla siccità, fa provvista della poca acqua piovana che cade nel proprio tronco poroso, arrivando a contenerne più di centomila litri, e perde molto presto le sue foglie, arrestando quasi completamente le proprie attività vitali nella stagione secca, come fosse un animale che va in letargo. Alla lunga assenza delle foglie, supplisce quindi con dei tessuti fotosintetici che si sviluppano curiosamente all’esterno della corteccia. Non si preoccupa neanche degli incendi, letali per il resto della vegetazione che l’accompagna, perché la sua corteccia è ignifuga, e lui continua a vivere anche se brucia la parte interna del tronco, rigenerando tessuti dalla corteccia superstite. Vive prospero e diviene immenso, laddove tutti gli altri, uomo compreso, stentano.



Il suo aspetto, i luoghi selvaggi dove vive, la smisurata grandezza del tronco, lo ammantano di una bellezza e di un fascino tali da averlo reso, nonostante la sua lontananza geografica, uno degli alberi più famosi del mondo occidentale. Nei luoghi di origine poi, il Baobab è una vera icona: fonte di cibo, medicine e materiale per costruire case ed oggetti quotidiani, sacralizzato in molte tribù, simbolo totemico e luogo di riunione, fonte infinita di storie e leggende popolari. La sua sagoma inconfondibile appare su monete, banconote e francobolli di vari stati africani; in Madagascar, ad esempio, è l’albero nazionale, ed è soggetto od elemento fondamentale di rappresentazioni pittoriche e di manufatti artigianali.



Il primo a rivelare al resto del mondo l’esistenza di questi fantastici alberi pare sia stato un tal Ibn Battuta, nato in quel di Tangeri, che nel 1353 vi si imbatté durante un viaggio nel Mali, descrivendoli così: “La strada ha molti alberi di grande età e dimensioni; sotto ognuno di essi può trovare riparo un’intera carovana. Alcuni di essi non hanno rami né foglie, ma il loro tronco fa da solo ombra sufficiente. Alcuni hanno delle cavità al loro interno, e vi viene raccolta l’acqua piovana, come fosse un pozzo, e le persone bevono quest’acqua. In altri alberi ci sono api e miele, che viene raccolto dalla gente del posto”.

Alberi dalle dimensioni straordinarie vengono osservati e descritti anche da altri esploratori del secolo successivo, in particolare portoghesi. Dagli scritti del medico veneziano Prospero Alpini, veniamo poi a sapere che alla fine del ‘500 i frutti del Baobab venivano venduti nei mercati del Cairo, con il nome di “bu hobab”, ovvero “frutto dai molti semi”, e da questo appellativo del frutto deriverebbe il nome della pianta. Bisognerà comunque aspettare fino al 18° secolo perché l’albero venga ufficialmente “scoperto”, descritto con tutti i crismi scientifici dell’epoca, e fatto conoscere al pubblico europeo e mondiale, ad opera di Michel Adanson. Adanson, naturalista francese di origine scozzese, incontrò il suo primo Baobab nel 1749 in Senegal, nelle vicinanze dell’attuale città di Dakar, e ne rimase letteralmente folgorato: “Mi portarono in un luogo isolato dove vidi un immenso branco di antilopi, ma le dimenticai subito, poiché la mia attenzione fu attirata da un albero di prodigiosa grandezza. Era un albero-zucca, chiamato goui dalle genti locali. Non aveva niente di straordinario in quanto all’altezza, non era più alto di diciotto metri, ma il suo tronco era di una grandezza prodigiosa. L’albero sembrava formare da solo un intera foresta” L’esemplare in questione aveva una circonferenza, da lui stesso accuratamente misurata, di 65 piedi (circa 20 metri); in seguito il naturalista ne troverà di ancora più grandi. Adanson rimarrà in Senegal per cinque anni, studiandone a fondo la flora e la fauna; nel frattempo invia un primo resoconto sul Baobab al suo mentore, il creatore dei Giardini Trianon di Luigi XV, Bernard Jussieu, che a sua volta fece pervenire il manoscritto a Carl Linnaeus, il botanico svedese all’epoca intento alla sua rivoluzionaria opera sulla classificazione delle specie viventi. Questi costituì un nuovo genere per il Baobab, chiamandolo Adansonia in onore del suo scopritore, e lo inserì nella edizione definitiva del “Systema Naturae”, pubblicato nel 1759, con il nome completo di Adansonia digitata, laddove l’indicazione della specie, “digitata”, ne ricorda la forma delle foglie pentalobate, simili ad una mano. Il fatto curioso è che Adanson non fu affatto contento dell’onore ricevuto, essendo fortemente contrario al sistema classificatorio elaborato da Linnaeus. Trascorrerà il resto della propria vita studiando e promuovendo una propria classificazione, che esporrà in una opera monumentale di 27 volumi, in cui ordinò oltre 40.000 specie secondo il proprio metodo. L’opera non venne mai pubblicata, ed il sistema ben presto dimenticato; Adanson morì povero in canna, chiedendo che la sua tomba venisse adornata con una ghirlanda fatta con i fiori delle 58 famiglie che aveva classificato.


domenica 25 novembre 2012

Alberi Sacri dell'India: il Banyan, Albero dei Desideri

Da sinistra: pagina superiore delle foglie, frutto, pagina inferiore delle foglie di Banyan


“ Come l’enorme albero di Nyagrodha è compresso in un piccolo seme,
così al momento della sua dissoluzione l’intero universo
è compresso in Te, o Vishnu.
Così come il Nyagrodha germina dal seme e diventa prima un piccolo germoglio,
per innalzarsi quindi verso l’alto,
così il mondo procede da Te, e si espande in grandezza “
(Vishnu Purana)

Appartenente alla stessa famiglia (Moraceae) e genere, il Banyan (Ficus benghalensis L.) condivide con il Peepal (vedi post Alberi Sacri dell’India: il Peepal, Albero della Vita) non solo diverse modalità di vita e caratteristiche botaniche, ma anche la devozione e l’amore degli indiani, ed il primato tra gli alberi sacri. Originario del sub-continente indiano e del Pakistan, è stato diffuso dall’uomo in tutta l’Asia tropicale, ed altrove: numerose sono le piante, per esempio, che vivono a Mauritius, giunte al seguito della folta comunità indiana immigrata nell’isola.

Banyan nelle campagne di Orchha. Madhya Pradesh, India
La caratteristica più appariscente della specie (anche se non esclusiva, poiché tipica di altri taxa del genere Ficus) è la produzione costante e massiccia di radici aeree, che si originano dai rami degli individui adulti. Queste crescono lentamente verso il basso, sfruttando anche l’umidità presente nell’atmosfera, finché giungono al suolo e vi penetrano, diventando, per aspetto e funzione, un vero e proprio fusto. Il significato del nuovo tronco non è tanto quello di formare un albero indipendente, quanto di fungere da sostegno alla crescita e all’espansione in orizzontale della branca che lo ha generato. In questo modo il Banyan si allarga continuamente verso l’esterno, potendo l’area coperta dalla chioma raggiungere dimensioni incredibili: diviene un “albero foresta”, composto da un grande fusto centrale, e da innumerevoli fusti secondari, a guisa di colonne di un tempio, di dimensioni ed età variabili. Le particolari modalità di accrescimento ne fanno una tra le specie con maggiori dimensioni della chioma al mondo. Lo stesso tronco principale appare come un amalgama fatto di costole spiralate, ex radici aeree che vi si sono saldate durante la loro discesa. 

Ficus benghalensis: radici aeree giovanili, in fase di discesa

Ficus benghalensis: radici aeree adulte, "radicate"
Nel “Chandra Bose Botanical Garden “ di Shibpur, a Calcutta, abita un Ficus benghalensis di oltre 200 anni di età, formato, all’anno 2005, da 2.880 radici che hanno raggiunto il suolo; la sua chioma ha una circonferenza di 450 metri, e copre una superficie di quasi 14.500 metri quadrati. La tradizione vuole che questo albero sia nato nel 1782 da un seme depositato da un uccello su una palma da datteri: le radici, crescendo lungo il fusto della palma, la hanno completamente avvolta e quindi uccisa. In effetti, è questa un’altra peculiarità del Banyan, che lo annovera nel gruppo dei cosiddetti “strangler figs” (fichi strangolatori), piante i cui semi sono capaci di germinare nelle fessure dei rami della chioma di altre piante (od anche nelle crepe di edifici o rocce; vedi anche, sull’argomento il post AlberiSacri dell’India: il Peepal, Albero della Vita). Un altro grande Banyan, chiamato Kabir Vad, vive su di un'isola del fiume Narmada, a nord di Bombay: in uno scritto del 1780 era già accreditato di oltre 600 anni, con più di 3.000 radici aeree, e circa 600 metri di circonferenza. Si dice anche che abbia ospitato sotto le sue fronde l’armata di settemila uominidi Alessandro Magno, durante la sua campagna d'India.

lunedì 5 novembre 2012

Lo Stato delle Foreste del Mondo e la Deforestazione



Nel nostro pianeta, le foreste coprono una superficie totale di circa 4 miliardi di ettari (40 milioni di km2), corrispondenti al 31% delle terre emerse. Come si può vedere dalla successiva immagine, esse si distribuiscono su due grandi fasce geografiche, una a cavallo dell’equatore (foreste umide equatoriali dell’ Amazzonia, Africa ed Indonesia, composte da latifoglie), l’altra in corrispondenza delle latitudini medio alte dell’emisfero boreale (su cui vive alle medie latitudini la foresta di caducifoglie, e nella zona circumpolare, la sterminata taiga, costituita quasi esclusivamente da conifere).
I cinque stati con maggiore copertura forestale sono, nell’ordine, Russia, Brasile, Canada, Stati Uniti e Cina, i cui boschi occupano oltre metà dell’intera superficie forestale mondiale. Dieci paesi non hanno alcuna foresta entro i propri confini; in altri 54 la superficie boscata è inferiore al 10% di quella complessiva del paese.

Distribuzione delle foreste nel mondo. Fonte: Global Forest Resources Assessment FAO 2010
Questi dati emergono dal FRA 2010 (Global Forest Resources Assessment – Valutazione delle Risorse Forestali del Mondo), monitoraggio sullo stato delle foreste mondiali realizzato nel 2010 dalla FAO (per consultare il documento originale, cliccare qui). Dal 1946 la FAO si occupa, attraverso i propri stati membri, di valutare la situazione delle foreste mondiali ad intervalli di tempo che attualmente si ripetono ogni cinque anni. Il FRA 2010 è il monitoraggio più completo ed accurato realizzato fino ad oggi: ha interessato 233 Paesi, considerando oltre 90 variabili relative alle foreste, e facendo ampio uso del remote sensing, in particolare di immagini satellitari all’infrarosso di alta risoluzione.

Tra tutti i dati riportati, appare alquanto drammatico quello che riguarda il tasso annuo di deforestazione globale, che nella decade 2000/2010 ha raggiunto i 13 milioni di ettari all’anno. Si tratta di 130.000 km2, una superficie che corrisponde a quella dell’Intera Grecia! Ogni minuto sul nostro pianeta viene persa un’area di foresta pari a quella di 40 campi da calcio. La deforestazione è dovuta in massima parte all’azione dell’uomo (vedi oltre), e secondariamente alle catastrofi naturali. La situazione è comunque migliorata rispetto alla decade 1990/2000, quando la perdita di foreste si era attestata sui 16 milioni di ettari annui. Il Brasile e l’Indonesia, che nella decade 1990/2000 avevano avuto il più alto tasso di perdita netta, tra il 2000 ed il 2010 lo hanno ridotto significativamente, mentre l’Australia lo ha aumentato a causa di ripetuti anni di siccità e del ripetersi di incendi disastrosi.


Alla deforestazione si oppone l’espansione naturale del bosco nelle aree agricole abbandonate (fenomeno in corso soprattutto in Europa), ed il rimboschimento da parte dell’uomo di terreni nudi (nell’ultima decade, in Cina, ad esempio, sono stati intrapresi enormi programmi di rimboschimento, che hanno interessato milioni di ettari di terreni nudi).
Il bilancio tra le due voci anteriori (differenza tra aree deforestate ed aree rimboschite più aree riconquistate dal bosco) porta ad una perdita netta annua di 5,2 milioni di ettari di area forestale (superficie pari a quella della Bosnia Erzegovina). Tale perdita era stata di 8,3 milioni di ettari nel 1990/2000.
Nella seguente figura  sono visualizzati i dati regionali, relativi alla perdita netta annua nelle decadi 1990/2000 e 2000/2010. Nell’ultima decade, Il Sud America (- 4 milioni ha/anno) e l’Africa (- 3,4 milioni ha/anno), continuano ad avere il più alto tasso di deforestazione nel mondo. Anche l’Oceania ha visto aumentare le sue perdite, per i già citati eventi che hanno riguardato l’Australia. L’area occupata da foreste è rimasta pressoché stabile in Nord e Centro America, mentre in Europa (+700.000 ha/anno) si consolida l’espansione, anche se con un ritmo minore rispetto alla precedente decade (che aveva visto un aumento netto di 900.000 ha/anno). L’Asia, infine, passa da una perdita netta di 600.000 ha/anno degli anni ’90, ad un guadagno netto di 2,2 milioni ha/anno, a causa dei rimboschimenti in Cina, e nonostante le alte perdite dell’Asia meridionale e sud-orientale. 

Cambiamenti annuali nella superficie forestale regionale 1990/2010 e 2000/2010. Fonte: Global Forest Resources Assessment FAO 2010
La successiva immagine illustra invece i cambiamenti annuali nella superficie forestale dei singoli  paesi.

Cambiamenti annuali nella superficie forestale dei paesi, 2005/2010. Fonte: Global Forest Resources Assessment FAO 2010
Un altro dato, al contempo interessante ed importante, riguarda la quantità di carbonio immagazzinata nella biomassa delle foreste mondiali, che assommerebbe a 289 miliardi di tonnellate. Tra il 2005 ed il 2010 è stata stimata una perdita di carbonio contenuto nelle piante (e riversato nell’atmosfera sotto forma di CO2) pari a 500 milioni di tonnellate: tutto questo, ovviamente, in conseguenza della riduzione della superficie forestale.

mercoledì 31 ottobre 2012

Storie di Alberi: l'Orto Botanico di Pamplemousses

Le Grand Bassin. Sir Seewoosagur Ramgoolam Botanical Garden. Pamplemousses, Mauritius

 
L’Orto Botanico di Pamplemousses si trova nell’isola Mauritius, piccolo lembo di terra che emerge dall’Oceano Indiano poco a nord del Tropico del Capricorno, relativamente vicino alla costa orientale del Madagascar. Il Giardino è situato su di un area pianeggiante nella parte occidentale dell'isola, poco distante dalla capitale Port Louis, in prossimità del piccolo e tranquillo villaggio di Pamplemousses, il cui nome ricorda le coltivazioni di una varietà di pompelmo. Si tratta del più antico Orto Botanico di specie tropicali del mondo: grazie alla sua collezione di piante, indigene ed esotiche, comuni o rare, è considerato il più importante dell’emisfero australe, ed uno tra i primi al mondo. 

Radici di Ficus cordifolia
La storia del giardino inizia nel 1735, con l’acquisto del primo nucleo dell’area da parte di Labourdannais che vi impianta un piccolo giardino. Sarà però la lunga e caparbia opera di Pierre Poivre che determinerà la vera nascita dell’Orto Botanico.

PIERRE POIVRE Busto all'interno del giardino
Pierre Poivre (1719-1786) è una di quelle figure leggendarie che tra il 18° ed il 19° secolo tanto contribuirono alla conoscenza ed alla diffusione delle piante extraeuropee. Francese, aveva studiato teologia a Parigi; instancabile viaggiatore, conobbe la prigionia e diversi naufragi, uno dei quali gli costò l’amputazione della mano destra. Fu uomo poliedrico: missionario, esploratore, botanico, orticultore ed agronomo, divenne anche amministratore coloniale delle isole Mascarene (di cui fa parte Mauritius). In Estremo Oriente fa la sua conoscenza con le spezie, conosce la noce moscata, il chiodo di garofano ed il pepe (che in francese si chiamerà con il suo nome, poivre), e si rende conto dell’immensa ricchezza che il loro commercio garantisce alla Compagnia Olandese delle Indie Orientali, la quale all’epoca ne deteneva il monopolio mondiale. Rientra quindi in Francia, e propone alla Compagnia Francese delle Indie Orientali di coltivare per proprio conto le spezie, in qualche possedimento coloniale francese, e di entrare quindi in quel favoloso mercato. Ottenuto dopo varie peripezie il via libera, nel 1753 sbarca sull’Ile de France, antico nome di Mauritius, portando con se numerosi semi di noce moscata e chiodi di garofano, che impianta nella tenuta di Pamplemousses. Nel 1755, al ritorno da un viaggio dalle Molucche, dove si era recato per procurarsi semi e piante varie, trova la sua prima piantagione di noce moscata distrutta volontariamente, pare per invidia, dall’incaricato della loro cura. Nominato nel 1766 Intendente di Bourbon (l’attuale Réunion) e dell’Ile de France, arriva a Mauritius l’anno successivo, per restarvi ben sei anni. E’ in questo periodo che praticamente inizia la creazione del Jardin de Pamplemousses, trasformando quello che era stato un vivaio di acclimatazione e di studio, in un meraviglioso giardino. Qui introdurrà numerose specie da altri paesi tropicali, tra cui, tanto per citarne alcune, la canfora dalla Cina, l’albero del pane dalle Filippine, il litchi dal Vietnam, la cannella, l’anice stellata, l’avocado dal Brasile, il pepe, alberi da frutto vari, il cacao. Alla sua partenza dall’isola, nel 1772, Poivre rivende al governo reale francese il giardino, che da allora sarà anche conosciuto come Giardino del Re o Giardino Reale. Del giardino verrà quindi incaricato il botanico Jean Nicolas Céré, che consacrerà la sua vita e le sue fortune all’arricchimento delle collezioni botaniche, e sotto la cui direzione il giardino conoscerà la fama a livello mondiale.

Terminalia catappa
Con l’avvento della dominazione britannica (1810), l'orto di  Pamplemousses conoscerà un’epoca di declino, da cui si risolleverà definitivamente a partire dal 1849, sotto la direzione di James Duncan. Questi introdurrà numerose altre specie, tra cui la palma reale, la Terminalia arjuna, nuove varietà di orchidee, di begonie, di azalee, di camelie, di felci e, soprattutto, la bouganville e numerose specie di palme. Realizza inoltre, a partire da un antico stagno, il laghetto conosciuto come Grand Bassin. Nel 1863 pubblica il primo catalogo delle piante del giardino e sotto il suo mandato viene installato il maestoso cancello d’ingresso. Un primo cancello viene rinviato al mittente, poiché giudicato inadeguato, anche se tanto malaccio non doveva essere, visto che oggi cinge il palazzo della Corte Suprema di Port Louis. Il secondo, acquistato per la cifra di 2.000 sterline, è quello giusto, e nel 1862 vincerà addirittura un primo premio nell’esposizione internazionale di Crystal Palace, a Londra. 

Cancello d'ingresso
Tra i successori di Duncan, spicca il nome di John Horne. Nominato capo giardiniere nel 1861, reggerà dal 1869 al 1892 le sorti del giardino, bonificando i tratti acquitrinosi, realizzando nuovi vialetti, continuando l’opera di classificazione ed etichettatura delle piante, ed introducendovi, tra le altre, il caucciù, il mogano ed il palissandro. Dopo l’epidemia di malaria che devastò l’isola nel 1866/1867,  il giardino venne utilizzato anche come vivaio per la produzione di piantine di eucalipto, in accordo con la credenza di allora che questa pianta fosse in grado di debellare la malaria.
Nel 1988 l’orto botanico di Pamplemousses viene dedicato a Sir Seewoosagur Ramgoolam, uno dei padri della patria, leader del movimento indipendentista, nonché primo ministro del  governo mauriziano. Il giardino cambia nome un’altra volta, e diventa il “Sir Seewoosagur Ramgoolam Botanical Garden”.

Le Grand Bassin
Molti dei capi di stato e dei notabili che hanno visitato l’isola, hanno personalmente piantato un alberello a Pamplemousses. La tradizione inizia con la Duchessa di York, che nel 1901 mise a dimora una Araucaria excelsa; nel 1927 fu la volta della Regina Madre d’Inghilterra, e si trattò di altre due araucarie. Indira Gandhi, Francois Mitterrand, Mugabe, la principessa Margaret, hanno lasciato una pianta, in un gesto che mi sembra assai nobile.




La parte di giardino aperta al pubblico si estende su di una superficie di circa 26 ettari, facilmente percorribili grazie alla fitta rete di vialetti. Ci sono spazi a prato, un piccolo suggestivo laghetto centrale (le Grand Bassin), ed alcune vasche piuttosto estese, che ospitano ninfee, loti ed altre specie acquatiche. Al suo interno si trovano anche alcuni edifici, tra cui lo Château de Mon Plaisir, la cui costruzione iniziò nel 1820, ed altri che giacciono in stato di penoso abbandono.
La visita a Pamplemousses è stata assai piacevole: la varietà degli ambienti che si succedono, la vegetazione lussureggiante che a tratti si fa impenetrabile, il romantico laghetto in cui si specchiano essenze dalle forme strane, contribuiscono al fascino del tutto particolare di questo giardino. Le popolazioni locali lo considerano un vero parco urbano, e lo frequentano costantemente; gli indiani, etnia molto numerosa sull’isola, vi si recano per cantare gli inni sacri, accompagnati da armonium e mridangam, e le donne vestite con i loro coloratissimi saree accrescono la già ricca tavolozza dei colori di fiori e piante.
Mogano (Swietenia humilis)
Da un punto di vista botanico, Pamplemousses ospita diverse emergenze alquanto interessanti. Innanzitutto vi si conservano una quarantina di specie della flora endemica dell’arcipelago delle Mascarene. Vi è poi una importante collezione di Palme, circa un centinaio di specie e varietà, provenienti dall’America centrale, dall’Asia e dall’ Africa. Tra di esse la Talipot (Corypha umbraculifera), dalle enormi foglie (possono raggiungere i 6 metri di sviluppo!), originaria di Sri Lanka, la splendida Palma Reale (Roystonea oleracea), cubana, dai fusti perfettamente colonnari, e la bizzarra Palma delle Seychelles (Pandanus utilis), con una raggiera di radici aeree che si dipartono dal fusto regolari come una gonna, a poca distanza dal suolo. La Talipot fiorisce una sola volta nella vita raggiunta l’età di 40-60 anni, producendo ogni pianta qualche milione di piccoli fiori; dopodiché muore. Numerose in tutto il giardino sono le specie di liane e di rampicanti; le spezie hanno una sezione riservata, così come recentemente è stato allestito uno spazio dedicato alle piante medicinali. C’è poi una foresta di bambù gigante, alto fino a 15 metri, e tantissime specie di alberi tropicali.

La vasca delle Victoria amazonica
Personalmente, ciò che più mi ha impressionato è una spettacolare ninfa originaria del Brasile, la Victoria amazonica. A lei è dedicata una grande vasca rettangolare, circondata da alberi, poco lontana dall’ingresso. Le sue foglie circolari, a volte quasi cuoriformi, galleggiano leggiadre sulla superficie dell’acqua, ed hanno dimensioni spettacolari, potendo arrivare a due metri di diametro! I fiori emergono direttamente dall’acqua circostante, e vivono un solo giorno, cambiando colore; sono bianchi quando si aprono, diventano poi rosa, e quindi violetti.

Victoria amazonica
Victoria amazonica
Victoria amazonica con fiore

”Il dono di una pianta utile per me è più prezioso della scoperta di una miniera d’oro, ed un monumento più duraturo delle piramidi”
(Bernardino di St Pierre. Iscrizione sulla Colonna Liénard, Orto Botanico di Pamplemousses)


La "Piovra"

  

mercoledì 24 ottobre 2012

Ravenea glauca


Una delle (molte) specie endemiche ed esclusive della flora del Madagascar, la Ravenea glauca è una palma che vive nei massicci granitici della parte centro-meridionale del paese (Parco Nazionale dell'Andringitra), tra i 1.400 ed i 2.000 metri di altitudine.