sabato 16 marzo 2013

La Sequoia Gigante, Albero Mammut


Giant Forest.  Sequoia and Kings Canyon National Park. California, USA


" Qualsiasi stupido può distruggere gli alberi. Essi non possono scappare, ed anche se potessero, sarebbero ugualmente distrutti, inseguiti e cacciati per divertimento o per ricavare un dollaro dalle loro pelli-cortecce, dai loro corni-rami, dalle loro spine dorsali-fusti. Pochi di coloro che tagliano gli alberi li piantano anche, e piantare alberi non riporta comunque la magnificenza delle nobili foreste originarie. Ci sono voluti più di tremila anni per far crescere alcuni degli alberi dell'Ovest, alberi che si ergono ancora in perfetta forma e bellezza, danzando e cantando nelle possenti foreste della Sierra. Lungo tutti i meravigliosi secoli che si sono succeduti dai tempi di Cristo, ed anche assai prima, Dio si è preso cura di questi alberi, salvandoli dalla siccità, dalle malattie, dalle valanghe, e da migliaia di tremende tempeste ed inondazioni. Ma Dio non può salvare gli alberi dagli stupidi "      
  John Muir       



Nella loro lunga permanenza sulla Terra, le Sequoie Giganti sembrano avere sviluppato un carattere ben preciso ed originale. Timide e schive, si sono andate a nascondere nel cuore delle montagne della California, ed hanno deciso di abitare il più lontano possibile dall’uomo, riuscendoci fino alla prima metà del 19° secolo, quando con la corsa all’oro le terre californiane divennero tutt’altro che disabitate. Modeste, nonostante le enormi dimensioni, che ne fanno le creature più grandi del pianeta,  quasi a scusarsi della loro invadenza sono rimaste confinate su piccolissimi lembi dello sconfinato continente nordamericano. Pazienti, hanno sopportato per millenni tremende tempeste, il freddo, la neve, i fulmini, hanno resistito alle devastazioni degli incendi. Tolleranti e socievoli, pronte a condividere lo spazio tra loro, con numerosi animali e con altri alberi, che vivono sotto la loro ala protettrice. Fiduciose, per la loro riproduzione confidano nella cooperazione di scoiattoli, insetti, ed addirittura del fuoco. Alberi eccezionali, indubbiamente, e non solo per le loro dimensioni. Le foreste più famose, come la Giant Forest od il Mariposa Grove, sono monumenti innalzati alla grandezza della Natura, luoghi magici dove l’uomo diviene davvero piccolo ed insignificante. Isolate, od in piccoli gruppi, le Sequoie uniscono la terra al cielo. Sfoggiano tronchi immensi, di forma perfettamente cilindrica per buona parte della loro altezza, e con la spessa corteccia colorata di un rosso inequivocabile. Le loro dense chiome iniziano lassù in alto, dove arrivano con fatica le punte degli abeti e dei pini che le accompagnano. Hanno la base svasata, che ricorda la zampa di un elefante. Quasi ogni vecchio albero mostra i segni della lotta millenaria contro gli elementi naturali: cime troncate e sostituite, lunghe ferite provocate dai fulmini, talora parti estese del fusto carbonizzate dagli incendi, le basi rese cave dal passaggio del fuoco. E la loro gloria non termina con la morte, perché i tronchi, caduti o rimasti in piedi, talora come monconi conficcati al suolo, restano inalterati per centinaia di anni. Se l’altra specie chiamata in italiano col nome volgare di Sequoia, ovvero la Coast Redwood (Sequoia sempervirens) spicca, nonostante la smisurata altezza, per eleganza e leggerezza, la Sequoia Gigante (Sequoiadendron giganteum) fa dell’imponenza il proprio tratto distintivo.

Giant Forest.  Sequoia and Kings Canyon National Park. California, USA
 
La “scoperta” delle Sequoie Giganti, e la loro rivelazione al resto del mondo, è tradizionalmente attribuita ad un tal Mr. Dowd, che nel 1852 si imbatté nei giganteschi alberi del Calavera Grove, mentre era sulle tracce di un grizzly che aveva ferito. E’ facile immaginare la reazione di coloro a cui raccontò il suo ritrovamento, gli sfottò, il poco credito, ed i commenti sulla sua sincerità di cacciatore. Pare che Dowd, per convincere qualcuno a salire in quel posto, dovette tornare al suo consueto ambito di menzogna, dilungandosi sulle dimensioni del  grizzly abbattuto, grosso come non se ne era mai visti, talmente grosso da non avercela fatta a trasportarlo con i muli! Comunque sia, la notizia dell'esistenza di fantastici alberi dalle dimensioni incredibili fece rapidamente il giro del mondo sui giornali, destando notevole stupore nell’opinione pubblica. Per le Sequoie, fu la fine della pace e l’inizio di un lungo periodo di sciagure. Qualcuno pensò bene di lucrare sulla curiosità che si era generata, e già nello stesso anno della scoperta, si cominciarono ad atterrare piante, da cui ricavare sezioni, od altro, da esibire a pagamento nelle grandi città. Diverse Sequoie, spesso quelle che avevano le maggiori dimensioni, ebbero nei decenni successivi questo triste destino. Una di esse, conosciuta come “La Madre della Foresta”, che viveva nel North Calavera Grove, fu destinata ad essere esposta al Crystal Palace di Sydenham, in Inghilterra. Allestendo un apposito ponteggio, venne scortecciata fino ad una altezza di 36 metri, e la corteccia, che aveva un diametro basale di più di 9 metri, fu spedita in un unico pezzo via nave. Dopo pochi anni l’albero, privato del suo abito, morì.

La "Madre della Foresta" nel 1902, alcune decine di anni dopo il suo scortecciamento
Il famoso "Wawona Tunnel Tree"  nel 1905. Il tunnel venne scavato nel 1881. L'albero cadde nell' inverno 1968 - 1969

giovedì 7 marzo 2013

In memoria di Srimad Bhajai Chetan Brahmachari Baba (Bengali Baba)



Il Nanda Devi (7.816 m) al tramonto, visto dalla valle di Kalpeshwar. Uttarkhand, India

“A Roberto, che era con me, non è più, ma sempre sarà”
“A Pavel, che ha osato sfidare gli dei”

L’essenza di ogni cosa è della stessa qualità del silenzio.
Qualsiasi parola si utilizzi per descriverlo, all’essere pronunciata ci allontana da esso.
Non ascoltare i discorsi degli altri. Ogni uomo parla una lingua diversa.
O meglio, attribuisce alle parole un significato diverso.
E se le parole hanno un qualche significato nel mondo materiale,
in quello dell’anima sono solo fuorvianti
(Bengali Baba)

La nostra vita mentale cammina su di un crinale: da un lato il mondo fuori da noi, dall’altro il nostro mondo interiore. Dal crinale percepiamo una immagine artefatta delle due parti che erroneamente separa, e da cui si mantiene continuamente distante. Vediamo soltanto, non sentiamo e sintetizziamo, causa l’equidistanza. Ho trascorso le ultime due notti immerso in una nebbia totale. Ma la città era ancora là, nascosta da quella grigia e fredda coltre, od almeno potevo intuirlo con sufficiente ragionevolezza, anche se dalla finestra non riuscivo a vederla. In altri momenti la visione appare più chiara, è potente e prepotente, ma nulla fa per richiamare l’attenzione, e libera la mente la sfugge, seguendo quella linea virtuale, che non viene da nessuna parte, e neppure conduce ad alcun luogo. Immersi nel continuum dei pensieri, crediamo e ci identifichiamo con una illusione tremendamente reale. La cosa più assurda e che nessuna motivazione razionale interviene a darcene una ragione. Come per tutti i dualismi irrisolti, anche qui agisce una imperfezione dell’essere, stavolta nel punto più importante. Lì non funzioniamo affatto, o meglio la corrente, nel punto nevralgico, sfugge ad ogni logica e si incammina per una strada propria. La ricerca della saggezza presupporrebbe una condizione di sacrificio, di rinuncia a ciò che è spontaneo. Come individui, ma anche come collettività sociale, tutti gli umani, quasi tutti gli umani, sembrano all’apparenza seguire lo stesso percorso. Perché siamo così, se non siamo così? O almeno, se non siamo solo questo, perché la normalità ci fa ignorare cosa altro siamo? Belle domande, Francesco, ma è ora di fare nanna, e le risposte, forse, a domani.

martedì 5 marzo 2013

Madonna dell'Acero



L'immagine di apertura del post ritrae ciò che resta di un glorioso e vetusto Acero Montano (Acer pseudoplatanus), che vive in prossimità della chiesetta del Santuario di Madonna dell'Acero. Il Santuario è situato sull'appennino tosco-emiliano, nella provincia di Bologna, ad una altitudine di 1.200 mslm; la località si raggiunge attraverso la rotabile che porta al comprensorio sciistico del Corno alle Scale, e dista una decina di chilometri da Lizzano in Belvedere, capoluogo del Comune.
L'albero è inserito nella lista degli Alberi Monumentali d'Italia (vedi post) nella categoria degli esemplari ritenuti di eccezionale valore storico o monumentale. Al momento di quel Censimento (1982), aveva una circonferenza di 4,75 metri ed una altezza di 10 metri; l'età non è determinabile, ma si tratta sicuramente di un esemplare plurisecolare.



Un tempo questo Acero è stata una pianta spettacolare: superava di gran lunga in altezza l'adiacente campanile, la sua chioma aveva dimensioni enormi ed era di forma perfetta, come si può apprezzare dalla immagine anteriore, riproduzione di una cartolina del 1955 (scusandomi per la bassa qualità, l'Acero è nel riquadro in alto a destra). Negli anni '70, la pianta si è ammalata gravemente di carie fungina, una malattia che fa "marcire" il legno, compromettendo stabilità e vitalità della pianta. A più riprese sono stati effettuati interventi di potatura, anche drastica, con asportazione del fusto principale, e di branche primarie, seguita da trattamenti chimici e di isolamento del legno esterno con catrame ed altre sostanze. Nonostante ciò, il declino della pianta sembra inarrestabile. Attualmente restano la parte basale del tronco, con due vecchi rami, inseriti quasi perpendicolarmente verso sud, sostenuti da una struttura di pali di legno, e che portano alcuni giovani ricacci (meno di una decina), assurgenti verso l'alto. Il modo in cui i nuovi rami sono inseriti sui vecchi rami, fa dedurre che la maggior parte del cambio (tessuto responsabile della produzione di nuovo legno) della pianta sia morto.






La fama di quest'albero, ampiamente giustificata in relazione all'età, alle dimensioni ed alla forma, è comunque in parte "usurpata" ed è legata alla storia del Santuario. La tradizione popolare racconta (l'epoca dei fatti varia con la versione, si parla di un periodo che va dal XIV al XV secolo) che due pastorelli, un maschio ed una femmina, entrambi sordomuti, vennero sorpresi da una tempesta di neve, nonostante si fosse in piena estate. I due cercarono riparo sotto la chioma di un grosso acero; in concomitanza di un fulmine, apparve la Madonna, che li restituì parola ed udito, e disse loro di volere essere venerata in quel luogo. Nel 1535 viene tagliata la chioma dell'acero, lasciando solo la parte basale del tronco, ed intorno ad esso venne costruita una cappella, nucleo iniziale del Santuario, condannando il povero Acero a morte certa. Una piccola porzione dell'albero, che contiene una immagine della Madonna, è ancora visibile sopra l'altare. L'Acero del miracolo, tristemente sacrificato, è quindi questo, e non quello all'esterno della chiesetta. Alla Madonna dell'Acero sono attribuiti diversi miracoli, ed il santuario (chiuso d'inverno) è meta di pellegrinaggio. La sua festa cade il 5 di agosto: in quell'occasione, durante la processione , è tradizione fermarsi con la Madonna ai piedi dell'Acero (quello ancora vivo!) per la rituale benedizione.