domenica 25 settembre 2011

I'm going home

In a few days I' ll be travelling to India for some time. I hope to be able to post  from there. Ciao a tutti!

God Bless You!




domenica 18 settembre 2011

Il vero senso della vita...

Il vero senso della vita è piantare alberi, all'ombra dei quali non siederai mai
Nelson Henderson

The true meaning of life is to plant trees, under whose shade you do not expect to sit

venerdì 16 settembre 2011

Storie di Alberi: i Larici della Val d'Ultimo

Die Urlaerchen. Il "grosso"
In prossimità del paese di Santa Gertrude, nella verdissima e stupenda Val d'Ultimo (rispettivamente St. Gertraud e Ultental in lingua tedesca, non dimentichiamo che ci troviamo in Alto Adige!), vivono tre larici (Larix decidua Miller), considerati tra gli alberi più antichi d'Italia. I tre fratelli si ergono poco lontano dal fondovalle, ad una altitudine di 1.430 mslm, risparmiati dal taglio nei secoli passati in quanto difendono il maso sottostante dal pericolo delle valanghe. Oggi sono ovviamente protetti, e quello dal fusto più grosso è uno dei 150 alberi monumentali d'Italia.
Chiamati dalle genti locali Urlaerchen, ovvero "larici dei tempi che furono", questi alberi dalle forme particolari e dalle impressionanti dimensioni, avrebbero quasi 2.100 anni, e sarebbero quindi contemporanei di Giulio Cesare. L'età attribuita deriverebbe dal conteggio degli anelli del fusto di un quarto fratello, abbattuto dal vento nel 1930. Di questo albero non restano oramai più tracce, così come non esiste alcun documento scritto che attesti quanto dichiarato. Effettivamente, appare alquanto improbabile che i tre larici abbiano veramente più di 2.000 anni (sull'argomento età degli alberi si è già disquisito nel post Storie di Alberi: gli Alberi più vecchi, i più alti, i più grandi, date un'occhiata). Ma nell'impossibilità di determinare esattamente la loro età, è giusto prestare fede alla tradizione popolare, e dare libero sfogo alla fantasia. I tre sono comunque incredibilmente vecchi, e rappresentano una notevole eccezione per la specie, che raramente presenta individui di più di 400 anni di età.

Die Urlaerchen. Il "cavo", e sullo sfondo il "grosso"

Gli Urlaerchen mostrano abbondantemente i segni del tempo e delle tempeste attraversate. Quello dei tre con il fusto più grosso ha una circonferenza di 8,34 metri ed un'altezza di 34,5 m, ed è anche il più vigoroso del gruppo, nonostante abbia recentemente perso la cima. Il secondo larice è il più alto della famiglia, misurando 36,5 m, con una rispettabile circonferenza di 7 metri, e presenta la parte terminale della chioma secca, a causa di un fulmine: un sistema di cavi di acciaio ancorati a terra ne garantisce la stabilità. Il terzo ha la base quasi completamente cava, e vi si può entrare comodamente in piedi e vedere il cielo in alto. Da tempo l'albero si è spezzato a circa sei metri da terra; un ramo ne ha sostituito la cima, e continua a crescere verso la luce.

Die Urlaerchen. L' "alto"

Cartina stradale della Val d'Ultimo

giovedì 8 settembre 2011

Storie di Alberi: il Câd Goddeu e le battaglie di alberi


Infernale macchina da guerra, per combattere i propri simili l'uomo ha attinto a piene mani da tutto ciò che Madre Natura aveva creato per altri scopi, si trattasse di animali, piante, o materie provenienti dal mondo inanimato. Così con il legno degli alberi venivano costruite armi o parti di esse, si realizzavano fortificazioni, ed approntati strumenti quali torri, catapulte ed affini, utilizzate nei lunghi assedi delle città nemiche. Rammaricato però dal fatto che gli alberi, per la loro ontologica staticità, non potessero rivestire in combattimento una corrazza, e parteciparvi attivamente e semi autonomamente, come avveniva con numerose specie di animali, ha sfogato questo suo desiderio latente dando vita, nel corso dei secoli, a leggende e componimenti letterari, in cui le piante divenivano preziose alleate in combattimento.

Uno dei primi episodi conosciuti, sospeso tra realtà storica e fantasia, ci è narrato da Tito Livio, nella sua storia di Roma "Ab Urbe condita libri CXLII", ed è quello dell'agguato della Selva Litana. Avvenuta nell'inverno a cavallo tra il 216 ed il 215 a.C., durante la guerra di Roma con Annibale, in una località imprecisata tra l'appennino tosco-emiliano e l'Emilia (alcuni storici la localizzano sull'appennino pistoiese, tra Lizzano Pistoiese e Lancisa, in un'area assai prossima a dove la tradizione popolare vuole che Annibale abbia attraversato l'appennino), l'agguato vide l'annientamento e la morte di ben 25.000 tra legionari romani e loro alleati, comandati dal console Lucio Postumio, avvenuto ad opera dei Galli Boi, alleati del condottiero africano. I Galli Boi, notevolmente inferiori di numero, "incisero gli alberi a destra ed a sinistra della strada, in maniera che rimanessero in piedi, ma che cadessero al minimo urto". Una volta che i romani si furono addentrati nella Selva, i Boi fecero cadere gli alberi più esterni, generando un gigantesco effetto domino, che seppellì i legionari. Questa fu, tra l'altro, una delle peggiori sconfitte subite da Roma nel corso della sua storia.

Una leggenda narra che San Teodoro di Amasea, soldato romano vissuto nel IV secolo, martirizzato a causa della sua religione cristiana, trovandosi a dovere difendere il territorio dove sorge l'antico centro di Laino Castello, e non disponendo di forze sufficienti, pregò il suo Dio di aiutarlo, e Questi trasformò tutti gli alberi della zona in soldati, che ebbero facilmente ragione del nemico.

Nel Macbeth, una delle (tante) profezie fatte dalle Sorelle Fatali (le Norne), coì recita: "Macbeth non verrà mai sconfitto finchè il grande bosco di Birnan non avanzerà verso l'alto colle di Dunsinane contro di lui". Nella progressiva rovina del Re, Shakespeare fa in modo che la profezia si avveri in una forma verosimile. Infatti i nemici Mc Duff e Malcolm, alla guida di un esercito in marcia verso il castello di Dunsinane, ordinano ai soldati di tagliare i rami del bosco di Birnan, e di avanzare reggendoli in mano, al fine di mascherare il loro numero.

In epoca assai più recente è da ricordare il Signore degli Anelli, con l'episodio del coivolgimento degli Ent e delle Entesse, guidati da Barbalbero, nella battaglia del Bene contro il Male, risultante nell'immensa forza distruttrice degli alberi, che spazzeranno via Saruman il Bianco, lo stregone alleato di Sauron, ed i suoi eserciti. Tolkien si è sicuramente ispirato alle numerose tradizioni fantastiche e mitologiche che riguardano battaglie di alberi, assai diffuse in Scozia e Galles, di cui egli stesso era appassionato conoscitore.

Faggio (Fagus sylvatica)
Arriviamo quindi all'argomento centrale del Post, il CÂD GODDEU. Traducibile come "La Battaglia degli Alberi", il Câd Goddeu è un poema gallese contenuto in un manoscritto del XIII secolo, formato da 246 versi, e suddiviso in molte sezioni. Esso fa parte del Libro di Taliesin, il quale appartiene a sua volta alla tradizione magico esoterica dei bardi celti (poeti, ma anche maghi e depositari del sapere mistico). Taliesin fu infatti, almeno il personaggio storico, esistendone anche uno mitologico, uno dei bardi più importanti e famosi del Galles, ove visse intorno alla seconda metà del 500. Il Câd Goddeu risalirebbe quindi a diversi secoli prima della sua stesura scritta.
Il poema appare enigmatico in molti suoi passaggi, sia per l'impressionante simbolismo che lo permea, sia perchè i suoi versi si alternano a quelli di altri poemi, cosa che rende difficile riconoscere un filo logico che colleghi le varie sezioni. In esso manca anche una qualsiasi descrizione del contesto in cui si inserisce, ed è stato possibile ricostruirlo solo grazie ad altri scritti della tradizione gallese. Secondo questi ultimi, il poema racconta l'antichissimo mito della battaglia tra Arawn, il signore dell'Oltretomba, e Bran da una parte, ed il potente mago Gwydion e suo fratello Amaethon dall'altra. La contesa è originata dal furto di tre animali, perpretato da Amaethon ai danni di Arawn. I tre animali sono un cane bianco, guardiano del Segreto, un capriolo, che nasconde il Segreto, ed una pavoncella, che maschera il Segreto. Segreto probabilmente riferito alla forza spirituale, ed anche alla conoscenza esoterica celata nell'Ogham degli alberi (vedi post Storie di Alberi: l'Ogham, alfabeto celtico degli Alberi). Gwydion riuscirà infine a prevalere, quando indovinerà il nome segreto di Bran, deducendolo dall'albero di ontano che porta inciso sul suo scudo.
Nella parte centrale del poema (il cui testo integrale è riportato in calce al post, e continua in altra pagina, cliccate, mi raccomando!), Gwydion riesce a schierare dalla sua parte una folta schiera di specie non solo arboree, ma anche arbustive ed erbacee, che vengono elencate insieme ad i loro attributi, molti dei quali francamente incomprensibili.
Soprattutto nel XIX secolo, il Câd Goddeu è stato oggetto di numerosi tentativi di interpretazione, in ambiti molto diversi l'uno dall'altro, e su cui non mi soffermerò, rimandandovi per ulteriori approfondimenti alla pagina web La poesia gallese delle origini: il Câd Goddeu. Vorrei solo notare come il poema ribadisca la centralità e la sacralità degli alberi nella cultura celtica, e la loro importanza come veicoli di conoscenza esoterica.
Un'ultima curiosità: il Câd Goddeu, tradotto in sanscrito (!?!) è stato inserito da George Lucas nel primo episodio del film Guerre Stellari.
   


CÂD GODDEU
Sono stato in molte forme,
prima di conseguirne una congeniale.
Sono stato la stretta lama di una spada.
(Ci crederò quando apparirà).
Sono stato una goccia nell'aria.
Sono stato una stella splendente.
Sono stato una parola in un libro.
Sono stato un libro in origine.
Sono stato la luce di una lanterna.
Per un anno e mezzo.
Sono stato un ponte per traversare
sessanta fiumi.
Ho viaggiato in forma di aquila.
Sono stato una barca sul mare.
Sono stato uno stratega in battaglia.
Sono stato i legacci delle fasce di un bimbo.
Sono stato una spada nella mano.
Sono stato uno scudo in battaglia.
Sono stato la corda di un'arpa,
incantata per un anno
nella schiuma dell'acqua.
Sono stato un attizzatoio nel fuoco.
Sono stato un albero di una macchia.
Nulla c'è in cui non sia stato.

lunedì 5 settembre 2011

domenica 4 settembre 2011

Storie di Alberi: il Rito Arboreo della Pitu


Girovagando per il Parco Nazionale del Pollino, mi sono casualmente imbattuto in un rito arboreo praticato nel Comune di Viggianello (Potenza), che, pur non essendo unico, in quanto in uso anche in altri paesi limitrofi, appare quanto meno singolare ed interessante. Si tratta di un rituale, conosciuto anche con il nome di Traino della Cuccagna, che nella sua essenza si perde nella notte dei tempi, ed è chiaramente di matrice pagana, sebbene sia stato sincreticamente riassorbito nel seno della religione cattolica, e fatto coincidere con i festeggiamenti di San Francesco di Paola, patrono di Viggianello, l'ultima domenica di agosto. Il mercoledì precedente, dopo avere ricevuto la benedizione nella chiesa patronale, un nutrito gruppo di uomini e donne di tutte le età si reca nei boschi del Monte Pollino, dove si accampa, trascorrendo la notte tra musica e balli, ed ovviamente mangiando e bevendo in quantità industriali. Il giovedì mattina si procede al taglio della "pitu", un albero di faggio di oltre 20 metri di lunghezza, e di un mezzo metro di diametro. L'albero viene sramato ed accuratamente squadrato, e con il legname residuale vengono realizzati sul posto utensili vari (i più gettonati essendo almeno quest'anno le pale per infornare il pane).

Allestimento della Pitu
La Pitu
Il tronco di faggio viene quindi trasportato fino al Piano del Visitone, un ampio pianoro dove sorge l'accampamento. Il venerdì mattina si procede al taglio della "rocca", un altro albero di dimensioni uguali al primo, e che anticamente era di abete bianco, ma che oggi, vista la rarefazione nella zona di questa specie, è stato sostituito da un altro faggio. Nel pomeriggio comincia il trasporto dei due fusti, trainati da dodici coppie di enormi buoi, animali cari a San Francesco, fatti venire appositamente dalla Maremma, ed adornati con ghirlande di fiori e ramoscelli di abete. I due gruppi vengono chiamati "pitisti" e "rocchisti"; la sera fanno sosta nelle località di Torno e di Prestio, dove la notte trascorre in allegria tra musica, balli, libagioni e vino. Il tragitto fino a Viggianello è lungo una ventina di chilometri, ed è assai impegnativo per i conduttori dei buoi, chiamati gualani, costretti in molte curve a movimentare a mano i tronchi.

Una delle dodici coppie di buoi
Manovra in curva
Il traino
Il sabato pomeriggio si giunge finalmente a Viggianello, dove davanti alla chiesa del Santo si è radunata una grande folla in attesa, autorità comprese. La stanchezza ed il molto vino scorso favoriscono l'esaltazione dei gualani, oramai prossimi alla meta, che incitano continuamente i buoi affidati. Le donne locali si prodigano per offrire a tutti bevande e dolcetti casalinghi, così come avviene sull'uscio delle case prospicienti l'ultimo tratto del percorso. Gli alberi vengono poi trainati nella parte più bassa del paese laddove, la domenica mattina, vengono innalzati uno sopra l'altro, andando la pitu a costituire la parte maschile, e la rocca quella femminile. In questa ottica, il tutto appare come un rito propiziatore di fertilità, il principio maschile e quello femminile, Shiva e Shakti, che si uniscono per ricominciare un nuovo ciclo annuale di vita. L'abete bianco è in molte tradizioni legato alla fertilità, mentre la stessa cosa non si può dire del faggio, la cui scelta è probabilmente legata al fatto che è una delle specie più diffuse ed importanti dell' area. Ci si potrebbe aspettare che un siffatto rito avvenisse in primavera, ma probabilmente l'aggiustamento è dovuto al sincretismo. Nel vicino paese di Rotonda il traino, che si dice sia più antico di quello di Viggianello, appare più calibrato ai ritmi stagionali, e si tiene infatti la prima domenica dopo Pasqua. Un tempo, in occasione della festa, veniva distribuita anche legna da ardere ai cittadini, ed il corteo era accompagnato da musicisti che suonavano strumenti tipici locali, quali l'organetto e la zampogna. Nonostante le inevitabili concessioni alla modernità (esbosco con trattore dei tronchi, musica lanciata a palla da un potente sound system montato su una jeep, presenza di macchine di supporto), l'atmosfera dell'evento appare incredibile soprattutto per la partecipazione popolare; in questa occasione ritornano a Viggianello anche molti dei suoi figli che la povertà passata ha costretto ad emigrare.


sabato 3 settembre 2011

mercoledì 31 agosto 2011

Storie di Alberi: Il Giardino degli Dei

Parco Nazionale del Pollino. Serra Crispo (m 2.053)
Il Giardino degli Dei è il poetico e suggestivo nome con cui le genti lucane chiamano la aspra cresta che va da Serra Crispo a Serra delle Ciavole, nel Massiccio del Monte Pollino. Quassù, sopra i 2.000 metri, vivono, affondando spesso le loro possenti radici nella nuda roccia calcarea, alcune decine di pluricentenari alberi di pino loricato, probabilmente residuali di una antica pineta. Il paesaggio è assolutamente fantastico e magico: i radi alberi visti in lontananza ricordano l'architettura dei bonsai, con irregolari palchi di rami, che si alternano sui fusti, allungandosi in senso orizzontale. I tronchi si avvitano su se stessi, antiche rotture risanate disperdono caoticamente i rami nello spazio, le cortecce biancastre mostrano le ferite dei fulmini. Ogni albero racconta con la sua tormentata forma la storia della lotta per la sopravvivenza, una lotta giornaliera con il vento, il freddo, la neve, il gelo, i fulmini, la povertà del suolo, il pascolo dei selvatici. Le loro stupefacenti geometrie risaltano nei numerosi pini oramai morti da tempo ma ancora in piedi, i quali, grazie ad un legno estremamente ricco di resina, sembrano immuni dalla degradazione. I "defunti" si spogliano completamente della loro corteccia, e mettono a nudo un legno levigatissimo e di color perlaceo; i loro rami senza vita lanciati verso il cielo trasmettono inquietudine.

Parco Nazionale del Pollino. Serra Crispo verso sud
 
Parco Nazionale del Pollino. Sullo sfondo la Serra delle Ciavole

Parco Nazionale del Pollino. Pino loricato

Parco Nazionale del Pollino. Pino loricato. Sullo sfondo la Serra del Prete (m. 2.180)
Giganti miti e saggi, hanno abbandonato il sottostante bosco di faggio, troppo affollato ed ombroso, e si sono ritirati a vivere in meditazione dove solo loro possono, splendidi nella loro solitudine e forza. Si stima che questi alberi abbiano una età variabile tra i 300 ed i 900 anni e ci sarebbero addirittura alcuni esemplari millenari. I loro fusti raggiungono e superano il metro e mezzo di diametro; tozzi e robusti, appiattiti verso terra per sfruttarne al massimo il poco calore, non sono molto alti, oltrepassando raramente i 10/12 metri. Il pino loricato è la specie arborea locale che si spinge più in alto, accompagnata da erbe di magro pascolo, radi cespugli di ginepro e da effimere genziane. E' in grado di vivere anche sulla roccia nuda, talora su impressionanti balzi rocciosi.


Parco Nazionale del Pollino. Serra Crispo. Sullo sfondo il Monte Pollino (m 2.248)



Pino loricato. Particolare della corteccia
Il pino loricato deve il  nome al particolare aspetto della sua corteccia, formata da piccole placche poligonali di color cenerino (vedi foto anteriore), che ricordano le loriche, corrazze in cuoio o metallo degli antichi soldati romani. A lungo confuso con altre specie di pino, viene infine classificato come Pinus leucodermis Antoine nel 1905, ad opera del botanico Biagio Longo, il quale ne propose anche l'attuale nome volgare, così traducendo il nome tedesco Panzer kiefer (pino carrarmato). L'attributo leucodermis richiama il colore biancastro della corteccia delle giovani piante. Rispetto alle altre specie di pini native della penisola italiana, il Pinus leucodermis ha un'areale di diffusione ristrettissimo, limitato a poche migliaia di ettari, per metà concentrati sul Massiccio del Pollino, sia in territorio calabro che lucano. (In Italia si conoscono altre tre stazioni in Basilicata ed in Calabria. All'estero, il pino loricato si ritrova nelle zone montane della penisola balcanica). In epoche passate molto più diffusa che oggi, la conifera sta comunque fortunatamente attraversando una fase di lenta e promettente espansione.
Da lungo tempo l'albero è conosciuto tra le popolazioni locali come "Pioca", nome conservato anche in numerosi toponimi. In passato il suo legno, molto resistente, ricco di resina, inattaccabile dai tarli, veniva utilizzato per farne imbarcazioni, barili per l'acqua, mobili, bauli, infissi esterni, oltre che come legna da ardere. Un uso del tutto particolare ricordato dal Longo era quello per le "deghe", fiaccole per illuminare le feste paesane.
Il pino loricato costituisce sicuramente una emergenza paesaggistica, naturalistica ed ambientale di eccezionale importanza, tanto che la necessità di salvaguardia dei suoi popolamenti più antichi è uno dei presupposti che hanno portato nel 1993 all'istituzione del Parco nazionale del Pollino, di cui il pino loricato è divenuto il simbolo.

Parco nazionale del Pollino. Belvedere di Malvento


sabato 20 agosto 2011

Il Giusto...

"Il Giusto l'appicconno per Ladro"
Nonna Eugenia

Appicconno = appesero, impiccarono

domenica 14 agosto 2011

SOLedad reloaded


Questa foto, già postata nel maggio 2010, si è classificata seconda nel I Concorso Fotografico di Maresca, sezione Paesaggio. Bontà loro! Con la scusa, ve la ripropongo.

martedì 26 luglio 2011

Foto ricordo con Faggio


Questa bella immagine di Faggio secolare mi è stata affidata da Tiziano, durante il suo trasloco. Purtroppo non si sa niente di essa: né data, né autore, né circostanze della foto. Posso supporre che il luogo sia la valle del Reno, in provincia di Pistoia, in prossimità di quella che è oggi la s.r. n° 66. Ed è possibile che si stesse preparando il taglio della pianta.

martedì 19 luglio 2011

Storie di Alberi: gli Alberi più vecchi, i più alti, i più grandi

Sequoia sempervirens  Tall Trees Grove. Redwood National Park & State Park, California

Gli alberi sono i più longevi ed anche i più grandi tra tutti gli esseri viventi: diverse specie arboree possono potenzialmente vivere molti secoli, addirittura millenni, e quando qualche individuo, risparmiato dalle avversità ambientali e dalla mano dell’uomo, ci riesce, assume forme del tronco e della chioma del tutto particolari e spettacolari,  raggiungendo volentieri dimensioni impressionanti.
Mi sono dilettato a raccogliere alcuni record relativi ad età, altezza, circonferenza del fusto, e volume, e ve li riporto a continuazione. In Appendice, su pagina a parte, potete trovare alcune notiziole su come vengono misurate tali grandezze.

Gli Alberi più vecchi

L’età di un albero plurisecolare è pressoché impossibile da determinare per la maggior parte della specie, almeno finché la pianta è viva. In alcuni casi è d’ausilio la presenza di documenti storici in cui è citato un determinato individuo arboreo, ma questi, generalmente, non si spingono mai troppo a ritroso nel tempo. Spesso l’immaginario e la tradizione popolare, approfittando di questa indeterminatezza, attribuiscono a taluni alberi età del tutto improbabili e assolutamente non verificate.
La classifica mondiale per specie, allo stato attuale delle conoscenze, è la seguente:

1° posto: 4.800 anni            Pinus longaeva     
(nome locale: Great Basin Bristlecone Pine, nome italiano: Pino dai coni a setola).
Vive negli USA, nelle White Mountains della California, ad altitudini superiori ai 3.000 mslm (vedi post: Gli Abitanti più antichi della Terra). All'esemplare più vecchio conosciuto, ancora vivo e ben vegeto, è stato dato il nome di Matusalemme (l'età, di oltre 4.800 anni, è stata misurata attraverso l'estrazione di una carota - vedi Appendice - ed è quindi piuttosto accurata); su un altro esemplare del Nevada, Prometheus, abbattuto nel 1964, furono contati  4.862 anni. Nella classifica assoluta, i primi tre posti (e molti altri successivi), sono occupati da individui di questa specie. 

Pinus longaeva solitario sulle White Mountains, California
2° posto: 3.600 anni            Fitzroya cupressoides         
(Alerce andino, Larice delle Ande)
Conifera della famiglia delle Cupressaceae, vive in una ristretta fascia del sud delle Ande e delle catene costiere del Cile, con escursioni secondarie in Argentina, e si trova fino ad una altitudine massima di 1.500 mslm. E’ anche la specie che raggiunge le maggiori dimensioni nella fascia temperata del Sud America. L’età è stata misurata su una pianta a terra.

3° posto: 3.200 anni            Sequoiadendron giganteum
(Giant Sequoia o Big Tree, Sequoia).
Una delle due specie conosciute in italiano come Sequoia, vive negli USA, sul versante occidentale della Sierra Nevada, in California. Il naturalista John Muir (1838-1914), che percorse a lungo queste foreste, incantato dalla loro magia, asserisce di avere contato più di 4.000 anelli alla base di una sequoia caduta. 3.200 anni rimane comunque l’età più alta accertata per questa specie, misurata su di un esemplare atterrato.

Sebbene non molto numerose, altre specie di alberi possono superare i mille anni. Tra quelle della flora extraeuropea ricordiamo la Sequoia sempervirens (oltre 2.000 anni), la Cryptomeria japonica (3.000 anni), i Pinus aristata e Pinus balfouriana (oltre 3.000 anni), il Taxodium mucronatum (1.500/2.000 anni), l’ Araucaria araucana (1.200 anni), le specie del genere Cedrus (oltre 1.000 anni) e, tra le latifoglie, il Ficus religiosa (2.300 anni) e la Canfora (Cinnamonum camphora, 2.000 anni). Tra le potenziali millenarie presenti in Europa ed in Italia, ricordiamo il Tasso, il Larice, il Castagno, il Cipresso comune, l’Olivo domestico e l’Olivastro, alcune specie di querce.
Per quanto riguarda la nostra penisola, la palma di albero più vecchio, nell’incertezza già ricordata sulla determinazione di questo valore, è contesa tra il Castagno dei Cento Cavalli in Sicilia (età attribuita tra i 2.000 ed i 4.000 anni, (vedi post: Il Castagno dei Cento Cavalli), un gruppetto di Larici della val d’Ultimo in Trentino - Alto Adige (età attribuita 2.200 anni), e l’Olivastro di San Baltolu, detto “S’Ozzastru”, in Sardegna (età attribuita: oltre 3.500 anni).

Nel 2008 si diffonde sui quotidiani nazionali, e di rimbalzo sul web, la notizia del rinvenimento, da parte di alcuni ricercatori dell’Università svedese di Umea, di un gruppo di picee (Picea abies) di oltre 8.000 anni (con una punta di 9.250 anni!). In realtà non ci si riferisce all’età di un singolo albero, bensì al numero di anni in cui l’apparato radicale ha riprodotto agamicamente nuovi individui con stesso patrimonio genetico. La nostra classifica è quindi ancor valida! Oltretutto, da questo punto di vista, esiste una specie arbustiva della Tasmania (Lomatia tasmanica), che ha dato luogo ad una popolazione clonale di arbusti, il cui inizio è stimato risalire ad oltre 43.000 anni fa!

Gli alberi più alti

L’altezza di un albero è un valore, rispetto al precedente, molto  più certo, per la relativa facilità con cui essa è misurabile. Alcune specie superano in scioltezza gli 80 metri, e si contendono, lottando “ramo a ramo”, questo primato; specificando meglio, almeno tre specie si sono alternate negli ultimi due secoli al comando della classifica. Classifica peraltro molto dinamica ed in evoluzione, sia per le possibile rotture di cima, con decremento di altezza, che per i “sorpassi” causati dalla crescita di soggetti più giovani, se non addirittura per la misurazione di piante mai prima misurate.
Attualmente, la classifica mondiale delle specie più alte è la seguente:

1° posto: 115,6 metri            Sequoia sempervirens         
(Redwood, Sequoia).
Questa specie di Sequoia vive a ridosso della costa occidentale degli USA, in California. (vedi post: La Farfalla sulla Luna), e può raggiungere i 2.200 anni di età. L’individuo record, battezzato con il nome di Hyperion, è stato “scoperto” nel 2006 nel Redwood National Park, ha una età intorno ai 600 anni, e la sua esatta ubicazione è mantenuta segreta. Si conoscono oltre 135 esemplari di  Sequoia sempervirens con altezza superiore ai 106 metri. Nel solo boschetto del Tall Trees Grove si contano 27 piante che raggiungono i 110 metri! Nella classifica assoluta, i primi tre posti sono saldamente in mano a questa specie.

2° posto: 101 metri            Eucalyptus regnans       
(Mountain Ash o Swamp Gum, Eucalipto)
Latifoglia della famiglia delle Myrtaceae, vive nelle zone montuose dell’Australia sud orientale, ed è una delle oltre 450 specie di Eucalipto native del continente australiano. L’albero del record, a cui è stato dato il nome di Centurion, è stato rinvenuto casualmente solo nel 2008, vicino alla città di Hobart in Tasmania, nel corso di una indagine forestale di routine. Ha una età compresa tra i 300 ed i 400 anni. La “rapidità” con cui E. regnans raggiunge queste altezze è impressionante! E’ possibile che in passato questa specie abbia annoverato gli individui più alti del pianeta, addirittura più alti delle sequoie, anche se le antiche misurazioni sono spesso sovrastimate. Il famoso Ferguson Tree, oggi non più vivo, fu misurato ufficialmente al suolo nel febbraio del 1872, ed accusava l’impressionante altezza di 133 metri, e ciò nonostante avesse la cima spezzata!  
Più affidabile la misura effettuata nel 1880 su di un albero a terra, il Thorpdale Tree nel Sud Gippsland, che risultò essere di 114,4 metri.

3° posto: 99,4 metri            Pseudotsuga menziesii     
(Coast Douglas Fir, Douglasia o Abete Americano).
L’albero record di questa specie si chiama Doerner Fir, ha una età compresa tra i 450 ed  500 anni, vive in Oregon, ed appartiene alla varietà menziesii, nativa della costa occidentale del Canada e degli Usa, laddove vegeta dal livello del mare fino ad una altitudine di 2.300 mslm. La misura dell’altezza risale al 1988. Anche per questa specie è possibile ipotizzare che in passato possa avere detenuto il primato mondiale di altezza. Si hanno infatti notizie di alcuni straordinari esemplari di douglasia, uno tagliato nel 1897, presso il Loop’s Ranch, nello stato di Washington, alto 142 metri, con un diametro alla base di circa 10 metri, ed un’età di 480 anni, ed un altro tagliato nel 1902 presso Vancouver, alto 126,5 metri. Chissà come mai, ma gli esperti moderni sono soliti dare poco credito a queste misurazioni del passato, sebbene molte di esse siano ben documentate.
Altre specie possono raggiungere ragguardevoli altezze. Tra di esse ricordiamo la Picea sitchensis (Sitka Spruce, Picea di Sitka, 96 metri), la Sequoiadendron giganteum (95 metri), e diverse specie di Eucalipto, che arrivano fino a 90 metri (Eucalyptus globulus, Eucalyptus viminalis, Eucalyptus delegatensis).
Nel vecchio continente le altezze delle specie locali si riducono drasticamente. L’albero più alto d’Italia è considerato, sebbene sia una specie esotica, l’Albero dei Tulipani (Liriodendron tulipifera) del Parco di Villa Besana, nel Comune di Sirtori (Lecco), che misura oltre 52 metri, con una circonferenza del fusto di circa 5 metri. Da segnalare poi alcuni esemplari di Abete Bianco, in Trentino ed in Abruzzo, con altezze intorno ai 50 metri.

Gli alberi con maggiore circonferenza del tronco

Per quantificare la grandezza del fusto di alberi monumentali, si ricorre alla misura della sua circonferenza o del suo diametro, ambedue presi ad una altezza convenzionale da terra di 1,3 metri.
Classifica mondiale per specie:

 1° posto: 36,2 metri (?) Taxodium mucronatum
(Ahuehuete o Sabino, Cipresso di Montezuma).
Il campione della specie si trova a Santa Maria del Tule, vicino alla città di Oaxaca, in Messico, ed è conosciuto come Arbol del Tule (Albero della palude). E’ uno degli spettacoli naturali più impressionanti che abbia visto in vita mia. Ricordo che quando scesi dall’autobus vidi un enorme albero al cui cospetto la vicina chiesetta sembrava scomparire. Ma fatti pochi passi, mi accorsi che “l’albero” era un altro, al confronto del quale era il primo a scomparire! Il tronco appare estremamente variegato, e forma numerose figure in cui la fantasia popolare ha visto cervi, leoni, pesci ed altre figure. Sulla sua circonferenza, sembra impossibile, ma si hanno numerosi dati discrepanti: da 36,2 metri di alcuni autori, ai 46 m di altri, per finire con i 58 (!) metri dichiarati sulla targa antistante. Il fusto è molto asimmetrico, con  diametro principale  di 13,6 m, e diametro minore di 9,5 m, preso in senso perpendicolare al primo. Nel 2005 misurava 35,4 m di altezza; la sua età è stimata intorno ai 2.000 anni. Sul finire del secolo scorso l’Arbol del Tule ha attraversato una grave crisi vegetativa, che fortunatamente sembra avere superato.

Arbol del Tule  Oaxaca, Messico. Foto di Jubilo Haku.

2° posto: 32,8 metri            Sequoiadendron giganteum
Il primato spetta al “General Grant Tree”, una Sequoia di oltre 1.500 anni, che vegeta arzillamente nel Kings Canyon National Park, in California. E’ anche il secondo albero più grande della Terra, considerando il volume complessivo della pianta, è alto 81,5 m, con un diametro massimo alla base di 12,3 m. Nel 1926 è stato proclamato “Albero di Natale della Nazione”, e nel 1956 dichiarato “Santuario Nazionale”, in memoria dei Caduti in guerra. Nella classifica assoluta, anche il terzo posto è detenuto da una Sequoia Gigante (il General Sherman)

3° posto: 25 metri            Sequoia sempervirens
Conosciuta con il nome di “Lost Monarch”, è una Sequoia che vive nel Jedediah Smith Redwoods State Park, nella California settentrionale e raggiunge la rispettabile altezza di 98 metri, con un diametro minimo di 7,9 m. E’ stata “scoperta” nel 1998.
Tra le specie che possono avere notevoli dimensioni del tronco è da ricordare il Baobab (Adansonia digitata) ed alcuni eucalipti.
In Italia, è uno dei fusti del Castagno dei Cento Cavalli che, con i suoi 22 m di circonferenza, detiene il record nazionale.

Gli alberi più grandi in volume
Il volume di un albero in piedi, espresso in metri cubi e riferito alla sua parte legnosa, è sempre un dato stimato, visto che si ottiene applicando formule più o meno empiriche.
La classifica per specie:

1° posto: 1.487 m3            Sequoiadendron giganteum
L’albero più grande del pianeta è il Generale Sherman, una Sequoia gigante del Sequoia National Park, in California. Immaginando di trasformare il suo legname in tavole di un centimetro di spessore, ce ne sarebbe di che coprire una superficie di quasi 150.000 metri quadrati! La carta d’identità di questo gigante riporta dati veramente impressionanti:
Età stimata:  1.900 / 2.500 anni
Peso stimato del tronco: 1.256 tonnellate
Altezza totale:  83,8 m
Circonferenza al suolo:   31,3 m
Diametro max alla base:  11,1 m
Diametro a 18 m dal suolo:  5,3 m
Diametro a 55 m dal suolo:  4,3 m
Diametro del ramo più grosso: 2,1 m
Volume del tronco:  1.486,6 metri cubi
Nella classifica assoluta, la Giant Sequoia occupa i primi tre posti (al secondo il General Grant, al terzo il Grizzly , nel Yosemite National Park).

Il "piede" del General Sherman. Sequoia National Park, California
2° posto: 1.203 m3            Sequoia sempervirens
Si tratta del già citato Lost Monarch.

3° posto: 750 m3            Taxodium mucronatum
Il terzo posto è detenuto dall’Arbol del Tule.

In altra pagina: Appendice. La misurazione degli Alberi (clicca sotto)

domenica 10 luglio 2011

venerdì 8 luglio 2011

martedì 5 luglio 2011

"La vita è come un sogno,
di cui al mattino si è già persa la memoria"
Norman Brown

sabato 2 luglio 2011

"Non ti accade mai, a Te lassù nei cieli,
non ti accade mai di stancarti delle nuvole che stanno tra Te e noi?"
Canto Nootka Clayoquot

giovedì 30 giugno 2011

Storie di Alberi: Lo Parot, il Padre di tutti gli Olivi



“Io ho ottantuno anni e, a dire la verità, ce l’ho sempre visto!”. Don Joaquin Badía Alcoverro, proprietario del terreno dove vive questo spettacolare olivo, scherza sulla sua età, che nessuno conosce con certezza, anche se si suppone che sia stato impiantato dai Romani, e che con i suoi duemila anni sia contemporaneo di Gesù Cristo. Lo Parot, il nome catalano, può essere tradotto come “il padre di tutti gli olivi”, ed in effetti questo esemplare è considerato come l’albero più vecchio di tutta la Catalogna, e forse dell’intera Spagna. Lo Parot cresce ad una altitudine di circa 550 mslm, presso il paesino di San Joan de la Horta, nella provincia catalana di Tarragona, in una regione, quella della Comarca di Terra Alta, dove l’olivo trova condizioni ideali di clima e terreno, e da produzioni di ottima qualità. San Joan della Horta è anche famoso per avere ospitato Pablo Picasso nel 1909, convalescente dalla scarlattina, il quale proprio qua trovò l’ispirazione che lo condusse a muovere i primi passi sulla strada del cubismo.


















Lo Parot misura a livello del suolo l’incredibile circonferenza di 17,30 metri, che si “riducono” a 7,45 m ad un metro e trenta da terra (altezza convenzionale per la misura di diametro e circonferenza delle piante). In questa parte basale il tronco assomiglia ad una enorme colata di cera che assume infinite forme suggestive. Parte del tronco risulta cavo al suo interno. Anche grazie alle cure del proprietario, che lo pota e lo concima regolarmente, come fa con gli olivi circostanti, la pianta dimostra una energia vitale ed un vigore vegetativo propri di un giovane albero, assolutamente impensabili per un simile vegliardo. Ed in autunno l’enorme quantità di olive che porta, ne piegano pesantemente le fronde verso la terra. Joaquin racconta che ne fa un olio “monopianta”, che tiene a parte, “un olio medicinale, studiato per le sue proprietà”. Forse questa è una esagerazione, ma sta di fatto che Lo Parot appartiene ad una varietà di olivo oggi sconosciuta, di cui è rimasto l’unico rappresentante, piuttosto diversa dalla varietà tipica della zona (che si chiama empeltre). Nel 1990 Lo Parot viene dichiarato Albero Monumentale e sottoposto ad una speciale tutela; nel 2008 gli è stato riconosciuto il Premio AEMO come “Migliore Olivo Monumentale di Spagna”.
Al congedarmi da lui, don Joaquin mi ha mostrato con orgoglio le piccole piante che ha riprodotto da Lo Parot l’anno scorso: un commovente esempio di passione e di generosità per le future generazioni.