mercoledì 6 agosto 2014

Il Cedro di Gatotkacha, l'Invincibile Guerriero


Il Lingam in fronte dell'Albero di Gatotkacha. Manali, Himachal Pradesh

Manali è un piccolo paese delle montagne himalaiane, nello stato indiano dell’Himachal Pradesh. E’ situato nel fondo valle del fiume Beas, da un lato del fiume stesso: una valle ampia, che si sviluppa per diverse decine di chilometri, chiusa da due ali di montagne affilate, dai fianchi ripidi ed altissimi. Il Beas nel periodo estivo, gonfio delle acque che provengono dallo scioglimento delle nevi, diventa una massa di energia liquida spaventosa, che scorre velocissima con rumore di tuono, rimbalzando con gran schiumeggio sugli enormi macigni del fondo. Con il nome di Vipash, il Beas è già citato nel Rig Veda, ed in effetti queste terre fanno parte da tempi lontanissimi della geografia sacra dell’India, tanto da essere conosciute come la Terra degli Dei. Manali stesso deve il suo nome a Manu, che nella tradizione indù è considerato il capostipite del genere umano, in pratica il primo uomo della terra. A partire dagli anni ’80, Manali è diventata per gli indiani un ambito luogo di turismo, anche grazie alla sua apparizione in numerose pellicole di Bollywood, in particolare per le giovani coppie in viaggio di nozze. Con il boom economico che sta vivendo il paese, il turismo nazionale è letteralmente esploso, portando alla costruzione di abitazioni, seconde case, ristoranti, hotel e resort di lusso, rigorosamente in cemento armato, con il conseguente stravolgimento dell’originario assetto urbanistico, e la rarefazione delle originali case di legno a due piani, con le stalle al piano terra e le abitazioni a quello superiore,  e con i tetti coperti di sottile pietra grigia. Manali è divenuto anche il trafficato punto di partenza dei 470 km della terribile strada che conduce a Leh, in Ladakh, che con i suoi 5 passi intorno ai 5,000 metri e gli sconvolgenti paesaggi attraversati, promette emozioni ed avventura.

Una delle mete d’obbligo per chi visita Manali, è il Tempio di Hadimba (o Hidimba) Devi, la quale insieme a Manu è la divinità tutelare del paese. Posto più in alto rispetto al centro, sorge all’interno di un bel parco di cedri dell’Himalaya, alcuni dei quali secolari ed enormi, intercalati da aiuole allietate da cespugli di ortensie azzurre e da gladioli multicolori. L’atmosfera del parco concilia serenità e devozione: ai molti turisti indiani corrispondono venditori di chincaglierie varie, donne che lavorano a maglia completini per bambini, venditori di zafferano, bambini con rugginose piccole bilance a pagamento, carrettini del gelato, conduttori di yak bianchi e neri, ansimanti per il troppo caldo, su cui fotografarsi seduti, donne con più maneggevoli conigli bianchi dal lungo pelo, sempre per le fotografie dei turisti.

Il Tempio di Hadimba Devi
Nella sua forma attuale il Tempio, monumento nazionale, risale al 1553: costruito interamente di legno, ha pianta quadrata, con tre tetti sovrapposti tipo pagoda, ed un cono terminale, quest’ultimo in materiale metallico. La facciata ed i montanti di finestre e porte sono finemente scolpiti con rappresentazioni di divinità, di danzatori e di figure varie; alle pareti esterne sono appese diverse paia di corna di toro e capra. Il sancta sanctorum si trova  poco sotto il livello del pavimento, ed è costituito da una minuscola cavità rocciosa, coperta da una pietra naturale, con una piccola murti della Dea. Ai lati della scalinata di accesso, due enormi cedri deodara, probabilmente contemporanei dell’edificazione del Tempio, si elevano dritti e possenti fino a toccare il cielo.

La storia di Hadimba è narrata nel Mahabharata che, insieme al Ramayana, è la principale opera epica della letteratura indù. Durante le loro peregrinazioni, i cinque fratelli Pandava, e la loro madre, Kunti, si trovarono ad attraversare una foresta dove viveva e spadroneggiava un terribile rakshas (una sorta di demone dei boschi), di nome Hadimb, il cui cibo preferito era la carne umana. Questi inviò sua sorella, Hadimba, affinché uccidesse e gli portasse i corpi dei Pandava. Ma quando Hadimba giunse al cospetto dei fratelli, si innamorò subitamente di Bheema, il più forte dei cinque, e desistette dalla sua missione. Il fratello, infuriato per la disobbedienza, giunse sul luogo ed ingaggiò un violento combattimento con Bheema, che lo sconfisse e lo uccise. In seguito l’eroe accettò di sposare Hadimba e di avere un figlio con lei. Nacque così Gatotkacha, il cui nome significa letteralmente vaso senza capelli, a ricordare la sua testa pelata, a forma di ghatam, un tipo di percussione in terracotta dell’India del Sud. Appena nato, il bambino si trasformò in un possente giovane, e venne istruito dai Pandava nell’arte della guerra, diventando un guerriero invincibile. Dopo questi fatti, Hadimba rimase nel luogo dove sorge il tempio, assorta in una vita di meditazione e penitenza, sino a divenire una Dea. Gatotkacha avrà invece un ruolo fondamentale nella vittoria dei Pandava nella battaglia finale di Kurukshetra. Venute oramai meno le antiche regole di cavalleria, quando nel corso della battaglia si cominciò a combattere anche di notte, Gatotkacha, che in virtù della progenitrice rakshasi vedeva le sue forze centuplicarsi di notte, e grazie ai suoi poteri magici, da solo uccise un incredibile numero di nemici, diventando un incubo per le schiere dei Kaurava. Al punto che Duryodhana, il maggiore tra i cento fratelli Kaurava, chiese a Karna di abbatterlo utilizzando l’arma divina che esso possedeva, Amogh, donatagli dal dio Indra. Quest’arma poteva però essere utilizzata una sola volta, e Karna l’aveva riservata per Arjuna, il più valoroso dei Pandava: impiegandola per uccidere Gatotkacha, niente poté più contrastare l’impeto di Arjuna, e la battaglia volse decisamente in favore dei Pandava.

Il Cedro di Gatotkacha

Gatotkacha, il cui culto è piuttosto diffuso in tutta la valle, viene ricordato e venerato presso un albero sacro che vive ad un centinaio di metri dal tempio di sua madre. Si tratta di un Cedro dell’Himalaya (Cedrus deodara), pianta il cui legno, dotato di eccezionali doti di resistenza e durevolezza, ben si presta a rappresentare l’eroico guerriero. Non è un albero di particolare imponenza, anzi è ancora piuttosto giovane, non avendo più di 70/80 anni, ed è quindi presumibile che sia stato piantato in seguito, magari in sostituzione di un precedente esemplare venuto meno, visto che il culto di Gatotkacha in questo preciso luogo è considerato antichissimo. (E considerato anche che i templi in India non vengono mai spostati di ubicazione). La base del cedro è incorniciata da una piattaforma quadrata con i lati di bruttissimi mattoni a vista (il tempio è stato restaurato nel 1997). Sulla piattaforma, addossato al tronco, vi è un lingam di pietra scura, e tutt’intorno sono disposti gli accessori che caratterizzano normalmente gli alberi sacri: rappresentazioni di divinità, incensieri, lumini ad olio, offerte di fiori e cocco deposte di fresco, drappi di stoffa colorati e campane appese ai rami. Ma la maggior parte delle offerte deposte ai piedi dell’albero, sono del tutto particolari e singolari. Si tratta di un intricato groviglio di coltelli e lame di ogni tipo e foggia, disposto intorno al tronco, accompagnati da altri oggetti di ferro, tra cui numerosi trisul (il tridente, uno dei simboli di Shiva), oltre a sagome in lamiera di figure umane, chiavi, chiodi, tondini da cemento armato e quant’altro. Alcuni chiodi sono conficcati direttamente sul tronco; ad una certa altezza da terra fanno mostra di se due piccole sciabole incrociate, di provenienza inglese. 

Coltelli e ferri alla base del cedro di Gatotkacha

Se l’offerta di armi da parte dei devoti può essere letta come un giusto tributo al valore dell’antico guerriero, bisogna ricordare che in queste montagne è ancora viva la superstizione che il ferro tenga lontana ogni tipo di disgrazia, e la conseguente pratica di conficcare chiodi negli alberi e di offrire loro oggetti di ferro. Caratteristiche sono poi le graziose rappresentazioni in miniatura di case, realizzate sempre in lamiera, e le corna di capra sospese al tronco. All’albero vengono tributati anche sacrifici animali, galline e capre, secondo un’usanza che purtroppo si mantiene ancora in alcune zone delle montagne indiane. 

Ai piedi dell'Albero di Gatotkacha