lunedì 30 ottobre 2017

The Bowthorpe Oak, la Quercia più grande d'Europa

Bowthorpe Oak. Incisione su rame di J.C. Nattes, 1804

Vecchia quercia nota! Ti ho visto in uno stato d'animo
di vaga indifferenza; e tuttavia con me
il tuo ricordo, come il tuo destino, ha indugiato
per anni, tu eremita, nel mare solitario
di erba che ondeggia intorno a te! La solitudine
dipinge un'immagine che risulta alla vista come niente di più solitario,
BurtHorp! del tuo albero malinconico,
rovinato dall'età, e ridotto ad un troncone. Tuttavia, ora 
le foglie spuntano  su ogni fessura e ramo spezzato
ad ogni primavera; ed intorno a te aleggiano visioni poetiche,
di giorni passati, e di cavalleria;
e desolate fantasie inducono gli occhi confusi ad offuscarsi
con i sentimenti, che la grandezza della Terra debba decadere
e tutte le sue antiche memorie scomparire.
John Clare, 1820 

Bowthorpe Oak (Quercus robur L.)
A dispetto del pessimismo romantico di Clare, poeta contadino che terminò la sua esistenza in preda alla follia estrema, la Quercia di Bowthorpe è ancora ben viva e vegeta, noncurante dei 1.200 anni di età, secolo più secolo meno, che pesano sulle sue possenti radici.

Mi sono recato a visitarla in una gelida giornata di fine ottobre, spazzata da un vento implacabile e senza riparo. Lei vive nelle vicinanze di Bourne, un tranquillo paesino della contea del Lincolnshire, circa 150 km a nord di Londra, all’interno della fattoria di Bowthorpe Park. La fattoria si estende su più di 200 acri e si dedica prevalentemente all’allevamento di bovini da carne; i terreni sono occupati da pascoli e colture foraggere, poiché la terra argillosa non permette molte altre coltivazioni. Lame di terra ondulata disegnano il paesaggio, alture tondeggianti di piccola elevazione si alternano a impluvi lungo i quali abitano enormi salici, con le biancheggianti chiome scompigliate dal vento. Siepi di biancospino recentemente potate delimitano i campi, secondo una antica tradizione di grande importanza ecologica, che purtroppo da noi si è persa. Alcuni appezzamenti di colore marrone scuro, lavorati di fresco per le semine autunnali, contrastano con il verde brillante dei pascoli. Il cielo incombe plumbeo e minaccioso, sebbene le nuvole mantengano una certa individualità nei loro limiti ben delineati; ogni tanto filtra un timido raggio di sole a regalare una visione idilliaca. Quant’è bella la campagna inglese, cosi curata e piena di colori! Nelle vicinanze dell’albero c’è una piccola casupola di legno dove si paga un biglietto e si può prendere un caffè, quanto mai necessario vista la giornata da tregenda. Pochi metri dopo la casetta mi appare la quercia, adagiata su un ampio prato in leggero declivio. Non è molto alta: l’enorme tronco, tozzo, breve e frastagliato, ne schiaccia la larga chioma disordinata ed irregolare a terra, e le dense fronde sballottate dal vento emettono un suono particolare, rilassante e minaccioso allo stesso tempo. Non sembra ostentare certo l’eleganza di tanti suoi simili, non ha la grazia di una fanciulla, ma piuttosto la forza di un poderoso guerriero che ha combattuto, coprendosi di ferite, secoli di battaglie con la solitudine, le tempeste, la povertà del suolo e l’ostilità dell’uomo. Mi viene spontaneo pensare a quante persone abbia conosciuto nella sua apparente immobilità, certo molte di più di quelle concessemi dal mio continuo girovagare.
La quercia è circondata da un recinto in legno, installato un paio di anni fa per impedire il compattamento del terreno provocato dal passaggio dei numerosi visitatori, una delle minacce più pericolose per alberi di questa età. Intorno ci sono tavoli e panche dove sedersi ad ammirare questo capolavoro naturale. Mi accomodo in contemplazione. Dopo poco arriva un trattore, da cui scende un ragazzo con cui mi metto a parlare. John, così si chiama il giovane, mi racconta dei suoi giochi da bambino, quando si arrampicava sull’albero e si nascondeva nel suo interno, e della tristezza che lo prese quando nel 2002 una forte tempesta abbatté una delle branche principali, portandosi via quasi un terzo della chioma. E’ lui, con sua moglie, che a fine estate raccoglie le ghiande e riproduce i figli della Bowthorpe Oak, che invia in tutta l’Inghilterra: la trovo una cosa meravigliosa. Molto gentilmente John apre il recinto e mi fa entrare. Da vicino la vecchia quercia fa un’impressione stupefacente. Il tronco è enorme, pieno di nodi, cavità e rughe, tutti segni del tanto tempo passato. Tre catene di ferro circondano il fusto a varie altezze e lo consolidano: la prima, oramai inglobata dalla crescita del legno, fu messa più di 100 anni fa, la seconda negli anni ’70 del secolo scorso e la terza nel ’90. Da un lato del fusto c’è una grossa apertura che consente l’accesso alla grande cavità interna. Entro nel cuore dell’albero. Un grande buio, con poca luce che filtra dall’alto e permette la vista di una miriade di rami e di foglie.

Bowthorpe Oak d'inverno. Foto tratta dal sito web di Bowthorpe Park Farm
Un tempo la quercia aveva una porta d’ingresso, visibile nell’incisione che apre il post, ed un soffitto, e la cavità era utilizzata come piccionaia. La porta e la piccionaia sono già presenti nel diario di un agricoltore del 1763, che è anche il primo documento conosciuto relativo all’albero. L’autore annota anche che il tronco cavo misurava una circonferenza di 48 piedi (circa 14,6 metri), presumibilmente misurati al piede. Nel 1768 l’allora proprietario, tal Mr. Pauncefort, allargò artificialmente il vuoto e vi installò delle panche ed un tavolo, trasformandolo in una sorta di sala da pranzo. Tradizione vuole che nella “sala” potessero accomodarsi comodamente a sedere 12 persone (fino a 39 secondo altre fonti), ma per quanto ho visto sembra piuttosto improbabile, e la storia ricorda piuttosto gli assurdi record degli anni 60 su quante persone entrassero in una cabina telefonica!
Con l’eccezione della poesia di Clare, la quercia di Bowthorpe cadde nell’oblio per tutto l’800; viene poi di nuovo menzionata nel 1910 nel libro di Charles Mosley “The Oak”, e si trova rappresentata in alcune cartoline dell’epoca edoardiana. Nel 1982 l’albero viene “riscoperto” da Alan Mitchell ed in seguito a documentari televisivi ed a numerose citazioni su libri di alberi, di cui è molto ricca l'editoria britannica, è divenuto uno dei più conosciuti e visitati dell’intera Inghilterra.


La Bowthorpe Oak è una Farnia (Quercus robur L.), la più diffusa ed amata tra le querce d’Inghilterra, tanto da essere comunemente chiamata “English Oak”, ovvero quercia inglese. Specie esigente di luce ed acqua, ma capace di vivere anche nei suoli poveri e superficiali, la Farnia fornisce un ottimo legname, duro resistente e forte, peraltro di facile lavorazione, da cui si ricavano mobili pregiati, parquet e le famosi botti per l’invecchiamento del vino e del cognac. Tra i tanti usi passati del legno, era impiegato per la costruzione delle navi: i tronchi biforcati e contorti delle vecchie Farnie erano assai apprezzati dai maestri d’ascia, poiché permettevano la realizzazione di forme arcuate senza ricorrere a giunti artificiali, assai meno resistenti di quelli naturali. Una delle ragioni del lungo predominio sui mari della marina militare britannica risiede proprio nelle sue navi costruite di legname di Farnia, che si dimostrava resistente perfino alle palle di cannone sparate dai nemici. Al punto che già nel tardo medioevo la presenza della quercia nelle foreste inglesi si era assai rarefatta, e sorse la necessità, così come era avvenuto per il legname di Tasso, di importarla da altri paesi.
Simbolo di forza e di immortalità, per tutta l'antichità la quercia fu uno degli alberi sacri maggiormente venerati in tutta Europa, presso i Celti, i Greci, i Romani ed altri popoli. A Dodona, nell'Epiro, visse un vecchio esemplare sacro di quercia le cui sacerdotesse, le Pleiadi, divinavano il futuro dallo stormire delle foglie: durante la mia visita ho sperimentato in prima persona la suggestione prodotta dallo stormire del fogliame sotto le frustate del forte vento.
La particolarità di questa Farnia sta nel fatto che con una circonferenza di ben 13,3 metri, misurata a 1,5 metri da terra, risulta l’esemplare con il fusto più grande di tutta l’Inghilterra, e probabilmente dell’intera Europa. In quanto all'età, non può stabilirsi con certezza dato che il tronco risulta per buona parte cavo al suo interno, ma è plausibile che abbia più di 1.000 anni. Vecchie Farnie come questa sono dei veri tesori di biodiversità: è infatti uno degli alberi che ospita il maggior numero di specie di insetti, che non costituiscono comunque una minaccia, poiché la pianta è in grado di fare ricrescere anche in piena estate le foglie mangiate dai bruchi. I rami morti ed il cuore del fusto in decomposizione costituiscono inoltre l’habitat di organismi invertebrati che li colonizzano, alquanto specializzati e rari.

Ringrazio la cara collega Mara Fiori per la traduzione della poesia d’apertura.


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