Sadhu con Rudraksha |
Persino i più distratti tra coloro che sono stati
in India avranno notato quelle “sfere” di consistenza legnosa, portate sui
corpi seminudi di sadhu ed asceti, sovente in gran numero, a guisa di collane,
braccialetti, cavigliere od altro. Esse in hindi sono chiamate Rudraksha,
mantenendo l’antica denominazione sanscrita, e sono il nocciolo
(endocarpo) del frutto di un albero che ha lo stesso nome. Alle Rudraksha sono attribuiti tutta
una serie di poteri e di effetti benefici sull’uomo e financo sugli animali minuziosamente dettagliati in alcune Sacre
Scritture, tra cui lo Shiva Purana, la Rudraksha Jabalopanishad e
lo Shrimad Devi Bhagwatam. Per questa ragione da almeno due millenni
moltissimi devoti indù (ma anche buddisti e sikh), le indossano a contatto della
pelle, anche se in forma più discreta rispetto agli asceti, o le conservano
nelle proprie abitazioni, nel mandir (tempio) di famiglia.
Nell’ iconografia tradizionale, lo stesso dio Shiva
appare con il suo corpo bluastro adornato di copiose Rudraksha, che ne
costituiscono quindi uno degli attributi caratteristici. Se oltre a ciò
consideriamo che la loro creazione, come vedremo tra breve, è ascritta
direttamente ad una azione di Shiva, risulta spiegata la sacralità dell’albero
e soprattutto dei suoi frutti, così come trova ragione il fatto che l’albero
delle Rudraksha sia tra i suoi preferiti, al pari della Datura e della Ganja,
piante erbacee da lui sacralizzate ed a lui dedicate.
Shiva |
Sulla creazione dell’albero esistono diverse
versioni, alcune contenute nelle scritture, altre di carattere popolare. Tra di
esse la più bella mi è parsa la seguente, tratta dallo Shiva Purana.
Shiva, osservando l’eterna sofferenza che doveva sopportare il genere umano di
generazione in generazione, si chiese perché gli dei si dedicassero a creare ed
a distruggere la razza umana, provocandole tanta sofferenza. Mentre cercava
una risposta soddisfacente, le lacrime cominciarono ad uscire dai suoi occhi,
ed ovunque caddero sulla terra, fecero nascere un possente albero di Rudraksha.
Le Rudraksha sono quindi un dono di Shiva all’uomo, una manifestazione
della sua compassione, un aiuto per alleviare le sofferenze dell’umanità.
Nello Shrimad Devi Bhagwatam è lo stesso
Shiva che ne narra l’origine a suo figlio Kartikeya: “Nei tempi antichi,
un demone di nome Tripura aveva sconfitto Brahma, Vishnu e tutti gli
altri dei. Essi vennero da me per chiedermi di ucciderlo. Immaginai quindi un’
arma terribile, che contenesse in se la forza di tutti gli dei. Per
realizzarla, sono rimasto mille anni divini in meditazione, con gli occhi
sempre aperti, dopo di che essi hanno cominciato a lacrimare, e da quelle gocce
d’acqua è nato il grande albero delle Rudraksha, a beneficio di tutti”.
In altri Purana viene riportata la stessa storia dello Shrimad,
con alcune varianti. Comunque, resta in tutte la comune genesi della pianta a
partire dalle lacrime di Shiva, e
l’etimologia stessa del nome ce lo ricorda: Rudra è uno dei nomi di
Shiva, aksha in sanscrito significa occhio. Un giovane sadhu mi ha raccontato poi una storia popolare
diversa, di carattere più “frivolo”, se vogliamo. Secondo essa, Parvati, la
consorte di Shiva, desiderava come
ogni donna adornare il proprio corpo con gioielli e monili vari, e perciò
continuamente chiedeva al marito di provvedere. Questi non ne vedeva la
necessità, ritenendoli inutili orpelli materiali, superflui ed infantili, ed
eludeva così anno dopo anno le richieste della moglie. Shiva è d’altronde il più
anticonformista degli dei del pantheon indiano: si veste col solo perizoma e si ricopre il corpo di cenere, ha dei cobra attorcigliati alle caviglie ed
alle braccia, e trascorre il tempo in meditazione e penitenza, isolato
nella sua dimora sul Monte Kailash. Dopo tante insistenze, un giorno Shiva
decise di soddisfare finalmente i desideri di Parvati. Strinse i pugni, e dal cielo
caddero nelle sue mani le Rudraksha; le dette quindi a Parvati, poiché
ne facesse collane, braccialetti ed orecchini, dicendole che quelli erano i
migliori gioielli per la moglie di un asceta.
Albero delle Rudraksha (Elaeocarpus ganitrus) Kankhal, U.P. |
L’albero delle Rudraksha è una latifoglia sempreverde della famiglia delle Elaeocarpaceae. Il suo nome scientifico è Elaeocarpus ganitrus Roxb. (sinonimo Elaeocarpus sphaericus K. Shum.): il nome di genere ricorda la somiglianza del frutto con quello dell’olivo, mentre quello specifico deriva dal suo nome indonesiano. E’ specie tropicale e sub-tropicale, probabilmente nativa di Nepal ed India, della Malesia e dell’Indonesia (in particolare Java e Bali). Si ritrova pure in Cina, nel nord Australia, in Nuova Zelanda ed in Madagascar; in mancanza di studi approfonditi il suo areale naturale rimane comunque incerto, ed in diversi luoghi è stato possibilmente introdotto, talora molti secoli fa, da viaggiatori e commercianti. La popolazione naturale di E. ganitrus è in continua diminuzione, dato che è stato intensamente utilizzato per ricavare legna da ardere e legname per mobili: attualmente è più diffuso in Nepal ed in Indonesia, mentre è divenuto alquanto raro in India. E’ albero ad accrescimento relativamente rapido, può raggiungere i 30 metri di altezza ed il metro e mezzo di diametro. Fiorisce in differenti epoche dell’anno, a seconda dell’area geografica in cui vive, producendo fiori biancastri, profumati e riuniti in densi racemi; i frutti maturano tra agosto e novembre, prendendo un bellissimo e vistoso colore blu. Guarda caso, lo stesso colore del corpo di Shiva!
Frutti acerbi di Elaeocarpus ganitrus |
Foglie di Elaeocarpus ganitrus |
La parte esterna dei frutti aderisce ai noccioli assai tenacemente, così che per rimuoverla essi vengono sotterrati per due settimane in un miscuglio di escrementi di mucca e sale, oppure talvolta bolliti in acqua e lasciati leggermente fermentare, al fine di ammorbidirli ed estrarre le Rudraksha.
Panch Mukhi Rudraksha |
Le Rudraksha hanno dimensioni variabili a
seconda della provenienza geografica: le più grandi sono le varietà nepalesi
(fino a 30 mm di diametro max); le più piccole quelle indonesiane (fino a 4 mm
di diametro min), mentre quelle indiane sono intermedie. Secondo le Scritture,
le migliori sono le più grandi, le meno buone le più piccole. Non sono
perfettamente sferiche: hanno un polo più schiacciato (la “coda”, chiamata
Shiva), ed uno più acuto (la “bocca, Brahma), mentre il “corpo”, quello che ha
il diametro maggiore è Vishnu. Almeno nelle varietà nepalesi ed indonesiane, ad
ogni faccia corrisponde un compartimento entro cui è contenuto un seme. C’è una
certa variabilità nel colore, ma con il tempo, a contatto con il corpo, tendono a divenire assai
scure. La superficie esterna
appare fortemente irregolare, con creste ed avvallamenti tortuosi decisamente
marcati, ed anche con protrusioni appuntite; essa è suddivisa in diverse facce
(dhari) da alcune fenditure chiamate mukhi (bocca), che la
percorrono rettilinee da un polo all’altro. Il numero di mukhi è alla
base della loro classificazione: cinque mukhi è il valore più comune in
natura, interessando circa il 70 % delle rudraksha, 10% ciascuno sono
quattro e sei mukhi, ed il restante 10% si distribuisce tra i valori
inferiori, e quelli superiori. Si possono raggiungere i ventinove mukhi
nelle varietà nepalesi, anche di più in quelle indonesiane; rudraksha
dai sedici mukhi in avanti sono comunque molto rare, e sopra i venti se
ne contano uno o due pezzi annuali in tutto l’areale di produzione. Altre
tipologie particolari sono poi la Gauri Shankar (nomi, rispettivamente,
di Parvati e Shiva), costituita dall’unione di due Rudraksha di stesse
dimensioni, che avviene naturalmente nel frutto, relativamente comune, e la
rarissima Trijuti o Brahma-Vishnu-Mahesh, formata invece
dall’unione di tre, tanto più pregiata quanto più di forma e dimensioni uguali,
meraviglia quest’ultima che Madre Natura regala solo ogni parecchi anni. C’e
poi la curiosa Sawar, in cui ad una Rudraksha con qualunque
numero di mukhi, se ne unisce un'altra, generalmente più piccola, con
una sola mukhi (sawar significa passeggero o cavaliere, ed il
nome rende bene l’idea), ed infine la Ganesh, una Rudraksha qualunque
che presenta una protuberanza allungata, a ricordare appunto la proboscide del
dio elefante.
Rudraksha rare. Tratto da "The Power of Rudraksha" di K.N. Setha |
Un discorso a parte merita la ek mukhi,
ovvero la Rudraksha con un solo solco superficiale. Sebbene citata nelle
antiche Scritture, essa si ritrova con certezza solo nella provenienza
indonesiana (ed è di dimensioni molto piccole), mentre sull’esistenza di quella
nepalese ci sono pareri discordanti, molte storie e leggende, ma di certo
nessuno ne ha mai vista una. Attualmente in commercio si trovano ek mukhi
dal tipico profilo a mezza luna, che però provengono da un'altra specie
arborea, seppure dello stesso genere, che è l’Elaeocarpus tuberculatus
Roxb., ed a cui sono comunque riconosciuti poteri spirituali.
Ogni tipologia è dedicata ad una o più divinità, ha
una propria simbologia e particolari proprietà, è in corrispondenza con un
pianeta, ed ha un mantra dedicato, da recitare quando si indossa. Così,
ad esempio, la Panch (cinque) Mukhi, chiamata anche Kalagni,
è Shiva stesso, nella sua forma di Mahadeva a cinque facce, le quali
rappresentano le azioni fondamentali di Creazione, Mantenimento, Distruzione,
Distacco e Dovere. Il suo uso rimuove peccati di vario genere, porta fama e
pace mentale; è utilizzata per controllare la pressione sanguigna, il diabete,
ed i problemi di fegato. E’ sotto l’influsso del pianeta Giove ed il suo mantra
è “Om Hreem Namah” (Shiva Purana). La panch mukhi è la più comune
delle Rudraksha; le mala, collane impiegate anche come rosari per
contare la ripetizione dei mantra, sono prevalentemente realizzate con
le sue varietà di dimensioni minori. La potentissima Trjuti rappresenta
la trinità indù, ovvero Brahma, Vishnu, Shiva, e simboleggia tutte le
caratteristiche fondamentali dell’universo. Concede a chi la porta il controllo
totale sulle situazioni più difficili, e permette di ottenere carisma ed il
raggiungimento del pieno successo nella vita.
Gli addetti alle Rudraksha del Hari Har Ashram. Kankhal, U.P. |
Nell’India di tutte le epoche questi oggetti sacri
hanno goduto di una considerazione e di un rispetto eccezionali, e sono state
indossate da santi e maestri, re e principi, uomini e donne comuni, in virtù
dei loro effetti sulla vita religiosa, spirituale e persino materiale, nonché per le proprietà terapeutiche ed astrologiche. In
generale, e per quanto si legge nelle Scritture Sacre, le Rudraksha
hanno il potere di rimuovere i peccati, anche i più terribili, quali l’omicidio di
un Bramino, e di portare alla moksha (la liberazione dall’eterno ciclo
di morte e rinascita). Garantirebbero
inoltre il successo nella vita materiale con il pieno soddisfacemento dei desideri
terrestri; terrebbero lontani spiriti malvagi, streghe, fantasmi, ed
incantesimi. Gli astrologi ritengono altresì che siano in grado di annullare
gli influssi negativi dei vari pianeti. Tutto ciò attiene comunque al campo della Fede, e quindi mi astengo da ogni
commento.
In quanto agli effetti di tipo spirituale, esse
concederebbero calma e pace mentale, divenendo un valido supporto per la
meditazione e la pratica dello Yoga. Ricerche in ambito accademico e non, hanno
riconosciuto alle Rudraksha una notevole attività elettromagnetica, che
interagirebbe con il sistema nervoso periferico di chi le porta a contatto con la pelle. Si ipotizza anche
che esse possano operare in forma simile ai condensatori dei circuiti
elettrici. E’ questo un ambito affascinante, anche alla luce delle conoscenze
sempre nuove che l’uomo acquisisce sul funzionamento della mente, e sulle onde
che emana nelle varie fasi della sua attività giornaliera e notturna. Molto resta ancora
da conoscere, e quindi niente è da scartare a priori.
L’uso terapeutico fa parte della tradizione della
medicina Ayurveda. Le popolazioni delle zone dove crescono questi alberi
hanno da sempre utilizzato la corteccia, le foglie, ed anche la parte esterna del frutto
per la cura del mal di testa, della febbre, delle malattie della pelle, e
persino per alcuni problemi di tipo mentale. La proprietà universalmente loro
riconosciuta è comunque quella di regolare la pressione sanguigna, e di
proteggere l’apparato cardiocircolatorio. Al proposito esiste una recente
ricerca condotta dall’Università di Mumbay, che avrebbe riconosciuto alle Rudraksha
proprietà antiossidanti, pur senza definirne i meccanismi biochimici, atte a
limitare la formazione di radicali liberi, una delle concause dell’insorgere
dell’infarto del miocardio. La stessa ricerca avrebbe evidenziato anche
effettive proprietà antinfiammatorie e di riduzione della concentrazione degli
zuccheri nel sangue. A fini curativi, le Rudraksha possono essere
semplicemente indossate a contatto con la pelle, se ne può bere l’acqua in cui
sono state mantenute per una notte, od utilizzare la loro polvere in vari
preparati.
Le Rudraksha presentano un foro naturale
lungo l’asse che unisce i due poli opposti, cosa che ne permette d’imbastirle
in un filo, rigorosamente di colore rosso, sempre secondo le Scritture. (Il foro è assente in alcune provenienze geografiche, e viene quindi
fatto a mano: sono di minor valore). Ne dovrebbero essere indossate almeno tre,
e ne sono descritte diverse combinazioni; possono essere
portate in varie parti del corpo: nei capelli, al collo, appese agli orecchi,
legate all’avambraccio, alle cosce ed alle caviglie. Le mala sono
composte da 27, 54, 101 o 108 Rudraksha, il numero totale da indossare
secondo le Scritture può superare le 1100. Portare le Rudraksha non è
impegno di poco conto, implicando tutta
una serie di precetti da osservare. Innanzitutto non vanno indossate mangiando
carne, bevendo alcol o durante i rapporti sessuali, così come vanno levate di
notte e durante i bisogni corporali solidi; sono altresì precluse durante i
riti della cremazione, quando si visita una donna che ha appena partorito, ed
alle donne durante il ciclo mestruale. Quando il filo si rompe, andrebbe
preferibilmente gettato in un fiume. Ogni tipologia ha poi le proprie
prescrizioni, quali recitazioni di mantra ed altre.
Elaeocarpus ganitrus Kankhal, U.P. |
Le Rudraksha sono oggetto di un fiorente mercato diffuso in tutta l’India, dove costituiscono uno dei beni più venduti dai numerosi negozi di oggetti e souvenir sacri sparsi pressoché dappertutto; ci sono inoltre negozi specializzati e negli ultimi anni sono addirittura apparsi sul web diversi siti di e-commerce, con consegna a domicilio. Non solo: le tipologie più rare sono talora abilmente contraffatte, mediante incisioni che ne aumentino il numero di mukhi, o mediante l’unione di due o tre di esse; esistono quindi tutta una serie di esami per appurarne la genuinità o meno, con una conseguente schiera di tecnici ed esperti del settore che se ne occupano. Tutto ciò é comprensibile se si considerano i prezzi impressionanti a cui sono vendute le varietà estremamente rare, o singoli pezzi unici da collezione: si tratta spesso di alcune migliaia di dollari (9.900 dollari per una 19 mukhi nepalese, 19.000 per una Tijuti), con una punta di 167.000 dollari (!?!) per una 21 mukhi nepalese, numeri reperiti durante le mie ricerche sul web. E per alcune, la trattativa è riservata, come per gli immobili di gran lusso! Non credo ci sia alcuna altra cosa proveniente dal mondo vegetale che spunti dei prezzi simili, e fanno spavaldamente concorrenza a diverse pietre preziose. Sono anche oggetto di collezione, e ce ne sono di meravigliose risalenti al XII secolo, appartenute a famiglie reali, dal valore inestimabile.
Shiva disse: “O figlio! Ascolta questa storia!
Nelle montagne di Bindhya, c’era un asino che, quando il suo padrone si doveva
muovere, trasportava le sue Rudraksha poiché, da tanto che erano numerose,
pesavano assai. Un giorno l’asino si sentì stanco per il gran peso, cadde sulla
strada e morì. Dopo la sua morte l’asino è arrivato da me, ed è diventato
Mahesvara (Shiva), con il
tridente nella sua mano e con tre occhi”.
(Shrimad Devi Bhagwatam)
mi sto appassionando al mondo tibetano-buddista-nepalese, la loro cultura, le tradizioni, il loro credo.....
RispondiEliminaquesto articolo è molto molto molto interessante....
grazie mille per la spiegazione.....
andrò avanti con la mia ricerca spirituale....
un abbraccio...
Andrea
Le Rudre hanno un potere eccezionale, se uno le tratta con rispetto, medita e fa japa allora possono sprigionare tutto il loro potere. Appena indossate si avverte un cambiamento psicofisico, si sentono eccome.
RispondiEliminaArticolo molto esaustivo, comprensibile e bello. Sono insegnante yoga, sempre in cammino. Grazie per le utili notizie.
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