Foresta di Paneveggio. Sullo sfondo le Pale di San Martino |
La Foresta di Paneveggio è uno dei tanti tesori
paesaggistici, naturalistici e culturali custoditi dalle Dolomiti. Adagiata
sulle pendici superiori della Val di Fiemme e della Valle di Primiero, si
estende su di una superficie di 2.700 ettari, compresa tra i 1.450 ed i 2.050
metri di altitudine; amministrativamente ricade nei Comuni di Predazzo,
Tonadico e Siror, tutti situati nella Provincia autonoma di Trento. Dal 1967,
anno della sua istituzione, fa parte del Parco Naturale Paneveggio Pale di San
Martino.
La vegetazione arborea segna il dominio incontrastato,
perlomeno fino ai 1.900 mslm, dell’Abete rosso o Picea (Picea abies),
con stupendi esemplari, anche plurisecolari, che raggiungono e superano i 40
metri di altezza. Alla picea si accompagna poco Larice (Larix decidua),
più abbondante alle quote superiori e, sempre alle altitudini maggiori, il Pino cembro (Pinus cembra),
che si spinge fino al limite della vegetazione arborea. L’abete rosso trova qui
le migliori condizioni ecologiche per prosperare, e per produrre una discendenza
di giovani piantine laddove eventi naturali, o tagli mirati eseguiti dall’uomo,
aprendo la copertura del vecchio soprassuolo, ne permettono l’insediamento.
Abete rosso (Picea abies Karst.) |
La foresta ha una lunga storia: fu per secoli proprietà
dei Conti del Tirolo, come citato in ordinanze forestali del 1651 e del 1698.
Nel 1847 Ferdinando I, imperatore d’Austria, riconobbe il diritto di proprietà
dei conti tirolesi, stabilendo nel contempo che alcune porzioni di bosco
potessero essere dati in proprietà ai Comuni, come risarcimento per gli antichi
diritti di servitù. La parte che restò di proprietà tirolese, transitò nel 1919
allo Stato italiano, con il trattato di Saint Germain; nel 1951 la proprietà
passò quindi alla Regione autonoma Trentino Alto-Adige, ed infine, nel 1973,
con il secondo statuto di autonomia, fu attribuita alla Provincia Autonoma di
Trento. Circa 700 ettari di foresta provengono invece dalle proprietà comuni ed
indivisibili della Magnifica Comunità di Fiemme, una istituzione politico
amministrativa autonoma, del tutto particolare, risalente addirittura al XII
secolo. Attualmente, è il Servizio Parchi e Foreste Demaniali della Provincia
Autonoma di Trento che ne cura la gestione economica e la sorveglianza, oltre
ad occuparsi delle fasi della trasformazione e vendita del legname tramite la segheria demaniale di Caoria. Il legno
ottenuto da queste foreste, come da altre, trentine e del Cadore, veniva
utilizzato nei cantieri navali della Serenissima Repubblica di Venezia: circa
due secoli fa, a causa dell’intenso sfruttamento dei veneziani, la superficie
boscata di Paneveggio si ridusse a circa un terzo di quella attuale.
Il Lago di Paneveggio |
Parte della straordinaria qualità musicale dei suoi violini è dovuta al fatto che gli alberi utilizzati erano cresciuti in un'epoca climaticamente assai fredda, molto più di quella attuale, fattore che aveva conferito a quei legni caratteristiche acustiche di assoluta perfezione.
Fustaia di Abete rosso. Paneveggio |
Il legno utilizzato per la costruzione delle tavole
armoniche prende il nome di “legno di risonanza”, e solo una piccola
percentuale degli abeti rossi della foresta è in grado di fornirlo (rappresenta
solo lo 1% del legname totale prodotto dalla foresta, in termini di volume dai
20 ai 50 metri cubi ogni anno). Si tratta di alberi di grosse dimensioni, con
diametro ad 1,30 metri da terra di 50 cm ed oltre, che corrispondono, in queste
condizioni, ad una età variabile tra i 150 ed i 250/300 anni, con fusti diritti
e cilindrici, perfettamente sani, senza nodi, senza tasche di resina e senza
legno di reazione (Legno che si forma nelle zone sottoposte a compressione, come
quelle presenti in fusti inclinati e contorti). Il legno di risonanza ha
gli anelli di accrescimento annuale molto sottili (da 0,8 a 2 mm per i violini,
fino a 5 mm per le chitarre), di spessore costante, e con una netta prevalenza
del legno primaverile (la porzione più chiara dell’anello) su quello
tardivo; la fibra deve essere perfettamente rettilinea e parallela. Anche a
livello microscopico, sono osservabili
particolarità esclusive, tra cui il diametro delle tracheidi (i vasi
che trasportano la linfa nelle conifere), lo spessore delle pareti
cellulari, la uniforme distribuzione di elementi chimici e di microfibrille,
sempre nelle pareti cellulari. Le caratteristiche elencate hanno ovviamente
tutte una propria influenza sulla risposta complessiva del materiale, sia in
termini acustici, che di resistenza. Il legno di risonanza di abete rosso si
caratterizza infatti per la notevole elasticità, la quale garantisce una
ottimale trasmissione del suono nelle tre direzioni, con una elevata risposta
in tutte le frequenze, e per l’altrettanto notevole resistenza meccanica,
nonostante sia molto “leggero” (quello di Paneveggio ha massa volumica di circa
400 kg/m³). L’insieme di questi caratteri si
manifesta in seguito alla lentissima crescita degli abeti, determinata
dalla rigidità del clima e dalla brevità della stagione vegetativa.
(Probabilmente intervengono anche fattori di tipo genetico, ma le ricerche in
questo campo non sono ancora state approfondite). Un particolare tipo di legno
di risonanza, chiamato “legno con indentature”, è quello che presenta
una anomalia visibile degli anelli di accrescimento, consistente in leggere
introflessioni dell’anello stesso rivolte verso il centro della pianta, e che
si ripetono per alcuni anelli consecutivi (vedi foto, si fa prima che a
spiegarlo!).
Questo legno è volgarmente chiamato “legno maschiato”,
e l’albero che lo produce “abete maschio” (senza nessun riferimento
al sesso, poiché l’abete rosso è specie ermafrodita); in dialetto locale è
chiamato anche “noselér”, perché ha una certa somiglianza con il legno
del nocciolo. Curioso il termine in lingua francese, che è “bois tricoté”,
ovvero “legno lavorato a mano”. Sebbene le numerose ricerche
sull’argomento non abbiano identificato per il legno con indentature nessuna
caratteristica che lo renda migliore del “comune” legno di risonanza, molti
liutai continuano a preferirlo, per ragioni estetiche, certamente, ma anche
perché convinti che suoni meglio.
Legno di risonanza con indentature |
Gli alberi migliori per la produzione del legno di risonanza sono quelli che crescono in esposizione nord e nord-est, su terreni poco inclinati e ben forniti di acqua; l’idoneità alla produzione può essere fino ad un certo punto intuita anche su piante in piedi, fermo restando che le proprietà acustiche saranno compiutamente valutate solo una volta eseguito l’abbattimento (a cui seguiranno successive selezioni in segheria ed anche dopo) e che comunque, per ragioni di sostenibilità, le piante idonee non provengono da utilizzazioni mirate, ma dalle normali utilizzazioni forestali, e vanno quindi accuratamente selezionate sul letto di caduta. Una prima valutazione delle caratteristiche del legname viene fatta anche percuotendo con un bastone il tronco di piante in piedi od atterrate, ed ascoltando la “risposta”. Spesso i tronchi migliori si rivelano già durante le fasi di trasporto degli stessi verso valle, quando urtando tra loro, o con gli alberi in piedi, “cantano” in modo particolare. Una volta ho sentito raccontare, ma forse questa è una leggenda, che alcuni liutai appoggiano un orologio ad una estremità dei tronchi a terra (che hanno lunghezze tra i 4 e gli 8 metri), e mettendo un orecchio alla estremità opposta, valutano il legno dal modo in cui sentono, o non sentono, il ticchettio del meccanismo! Il taglio degli alberi avviene con la luna in fase calante, e durante il riposo vegetativo, ovvero in autunno, o meglio ancora in pieno inverno, condizioni in cui il basso contenuto di acqua nei tessuti delle piante favorisce la stagionatura, l’uniformità del colore e la resistenza agli attacchi dei funghi e degli insetti del legno. Dopo l’abbattimento le piante vengono lasciate a terra con i rami attaccati, ad “appassire” per alcuni giorni, sempre al fine di diminuire il contenuto d’acqua, traspirato dall’apparato fogliare ancora vivo. I tronchi vengono quindi trasportati in segheria, dove si procede al taglio ed alla stagionatura. Depezzato e scortecciato il tronco, si provvede allo spacco dei tronchetti in quarti od ottavi, operazione effettuata, per le tavolette da violino, con ascia e/o cunei in senso radiale (ovvero lungo i raggi che collegano il centro del tronchetto alla circonferenza esterna), che avviene quando il legno è ancora fresco, e preferibilmente d’inverno, quando è gelato, per facilitare lo spacco. La porzione verso il centro viene eliminata dal momento che, rappresentando la crescita giovanile della pianta, ha anelli più distanziati, e talora presenta anche dei nodi. Le tavolette ottenute, a forma prismatica, con sezione trapezoidale, vengono quindi piallate e messe a stagionare; le testate possono essere paraffinate per evitare rotture dovute al ritiro del legno. La stagionatura è una fase di estrema importanza, e dura da un minimo di tre, fino ad oltre dieci anni. Può avvenire completamente all’aperto, in cataste lasse per favorire la circolazione dell’aria, e coperte per ripararle dalla pioggia e dai raggi solari, oppure parte all’aperto, e parte in un apposito locale di legno (la xiloteca), fornito di aperture per la circolazione dell’aria, e con umidità controllata.
Tavoletta di risonanza per violino finita e pronta per il commercio |
Fondo intarsiato di cassa armonica di violino |
Per le parti che
compongono lo strumento si utilizzano legni di specie differenti, in relazione
alla funzione. Così il fondo, le fasce laterali, il ponticello ed il manico,
che sopportando la tensione delle corde richiedono doti di resistenza, sono
fatte di Acero, un legno abbastanza duro, che tra l’altro contribuisce non
poco, con i disegni delle sue venature (tra cui la “marezzatura” e,
alquanto rara, l’ “occhio di pavone”) al risultato estetico complessivo.
Si utilizza l’Acero montano (Acer pseudoplatanus): le provenienze
preferite sono quelle dei Balcani, tanto che i liutai (e solo loro, a quanto
mi risulta!) lo chiamano Acero dei Balcani. Di Abete rosso, oltre alla tavola
armonica, sono costruite pure l’anima e la catena, particolari interni della
cassa, essenziali per la qualità sonora e per la stabilità strutturale. La
tastiera, incollata sopra il manico è realizzata in Ebano (Diospyros ebenum
ed altre specie), legno durissimo dal colore nero, che cresce in Madagascar ed
in India, adatto a sopportare senza modificarsi gli infiniti passaggi delle
dita dei violinisti. Sempre di Ebano si realizzano la cordiera, la mentoniera
ed i piroli (sono i perni all’estremità del manico su cui si avvolgono le
corde, e che ne permetteno l’accordatura: non si devono “muovere” al variare
dell’umidità, appunto per non perdere l’accordatura). Invece dell’Ebano, e
fatta esclusione per la tastiera, viene talora impiegato il Bosso (Buxus
sempervirens), un legno molto duro, dal bellissimo colore giallo. Nel corso
dei secoli nella costruzione dei violini si sono impiegati diversi altri tipi
di legno (altre specie di Acero e di
Picea, europee ed americane, il Pero, addirittura Faggio, Betulla ed Abete
bianco), vuoi come esperimento, che per necessità, in mancanza di altro. Ma la combinazione più utilizzata resta quella sopra indicata, e con quei legni sono sempre
stati costruiti i violini migliori.
In omaggio al
luogo natio del legno dei loro strumenti, nella Foresta di Paneveggio si sono
esibiti in passato alcuni dei più grandi violinisti contemporanei, tra cui
Salvatore Accardo, Uto Ughi, i Solisti Veneti, il violoncellista Mario
Brunello. Ogni anno la Magnifica Comunità di Fiemme dedica, nel corso di una
cerimonia, un abete, situato in un gruppo presso il lago, ad un musicista che
con il suono del proprio strumento abbia contribuito a far conoscere questo
meraviglioso legno. Su una piccola tabella, posta davanti all’albero scelto da
Uto Ughi, c’è scritto: “ Noi abeti di questo bosco abbiamo potuto esprimere
armonie ed intense vibrazioni grazie al suo cuore ed alla sua magia. Grazie
maestro Ughi”. Tanto per restare nel retorico, appare stupendamente vera
anche l’asserzione inversa: “ Noi uomini di questo mondo abbiamo potuto
riempire i nostri cuori di gioia ed emozione grazie alla vostra grande anima,
custode dell’ inarrivabile musica della Natura. Grazie Abeti! “
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