Lathu Maharaj (Cedrus deodara) Wan, Uttarakhand |
Circondato
da una corte di cipressi alti fino al cielo, che lo nascondono parzialmente alla vista,
Lathu Maharaj abita nel mezzo del bosco, una mezz’ora di cammino sopra il
paesino di Wan (vedi Post: Dedicato ai Bambini di Wan), laddove la
ripida pendice si allenta, a formare una specie di pianoro da cui si domina
buona parte della vallata. Lathu è uno stupendo esemplare di Cedro
dell’Himalaya (Cedrus deodara), un albero eccezionale non solo per il
ruolo religioso-spirituale che svolge in seno alla comunità, ma anche per età
ed imponenza, oltre che per la bellezza delle forme. Intorno a lui aleggia una
energia impressionante, una energia silvestre, quasi cupa, fortemente
percepibile; al suo cospetto il tempo svanisce, mentre lui occupa completamente
il tuo spazio visivo. Nel piccolo bosco sacro che lo circonda, una pace
perfetta. Il lieve frusciare del vento, dolce e costante, che gioca con le
chiome, il suono continuo ma pacato del ruscelletto poco lontano, chiamato con
lo strano nome di Quadiagal, che si somma al canto fragoroso del fiume di fondo
valle. Di tanto in tanto si ode il rintocco quasi sordo delle campane sacre,
toccate da qualcuno che si ferma per una preghiera sulla strada di casa o del
lavoro. Nel cielo le nuvole si muovono lente e velate di tenue grigio,
provenienti dalla cresta antistante; numerosi vi volano i corvi, che si fermano
poi a riposare sui rami.
Lathu
è del tutto sconosciuto al di fuori della valle di Wan. Io lo scoprii per caso,
seguendo la processione per Bedni Bugyal, una quindicina di anni fa. Quando mi
sono intrippato in questa storia degli alberi e del relativo blog, era proprio
questo l’albero che avevo in mente, il mio archetipo d’albero. Ci sono voluto
tornare dopo molti anni per rivederlo, come si fa con un vecchio amico lontano,
ed è stata l’unica cosa che ho ritrovato da quelle parti. Il resto, ovvero
villaggi, sentieri, templi, negozi, guest house, tutti spariti: sicuramente mi
sarò confuso con i ricordi. Spero.
Una
prima particolarità di Lathu sta nel fatto che questo è l’unico Cedro di tutta
la valle. Così mi hanno sempre detto i locali, ed in parte ho verificato
durante le mie lunghe passeggiate, con gran dispetto del bastian contrario che
vive in me. Il fatto è piuttosto inspiegabile, visto che siamo nel cuore
dell’areale della specie, ed in condizioni ottimali di suolo e clima, e che in
vallate non molto lontane da questa prosperano estese foreste.
Gli
indiani hanno l’abitudine di esagerare, e ci sarebbe sempre da fare un po’ di
tara, ma in questo caso i 1.200 anni di età che qui molti gli attribuiscono mi
sembrano piuttosto credibili. Ha una altezza di oltre 50 metri, ed una
circonferenza ad un metro da terra di circa 13 metri: dimensioni straordinarie
per questa specie, ma anche di tutto rispetto nell’intero mondo arboreo. Come
per tutti gli individui molto vecchi, la base del tronco ha forma irregolare,
con continue rientranze e sporgenze; a circa due metri da terra c’è una
protuberanza legnosa che lo circonda come un sottile anello prezioso. Al di
sopra dell’anello, per almeno metà altezza, diventa una enorme colonna,
perfettamente circolare; poi il fusto comincia ad assottigliarsi (è rastremato,
per utilizzare un termine tecnico), e
quindi, verso i due terzi, probabilmente in corrispondenza
di una antica rottura, il diametro diminuisce decisamente fino alla punta.
Verso valle, possenti rami lo coprono fin quasi alla base, allungati a seguire
il percorso del sole: alcuni arcuati, altri diritti, numerosi ed intrecciati
tra loro, raggruppati in palchi unidirezionali, ben visibili da una certa
distanza. Verso monte, nella parte in ombra, le fronde si fanno corte e rade.
Alla sua sinistra un vecchio noce piegato verso l’esterno, come in un inchino,
con la base attaccata alla sua, e che quasi
scompare al suo cospetto. Durante la mia prima visita, si poteva vedere
una piccola cavità sul davanti, una minuscola “grotta”, in cui trova posto
una murti di Shiva, coperta da un telo arancione. Oggi c’è una capanna
in legno, che si allunga verso destra, attaccata al fusto, e che ingloba la
cavità basale, e fa da anticamera al sancta sanctorum. Sembra
proprio l’ingresso di un mondo soprannaturale. Alla capanna sono appoggiati
vari simboli sacri ed oggetti rituali, tra cui, sulla parete anteriore, un
grande piatto in rame finemente cesellato. L’albero è circondato da un recinto
in pietra e ferro battuto, a qualche metro di distanza, con un cancelletto
d’ingresso lucchettato, che viene aperto solamente in occasione dei mela
(feste religiose). Drappi rossi, gialli e bianchi sono appesi ad uno dei rami
principali, che si protende verso il cancello, e lunghi fili argentati, del
tipo di quelli che decorano i nostri
alberi di Natale, sono adagiati sui rami bassi. Una copiosa fila di
campane di diverse misure e fattezze si intreccia sul davanti
del recinto; sulla sinistra rispetto al cancello c’è una piccola nicchia, con
un trisul piantato al suolo, dove durante tutto l’anno i devoti
depongono offerte e fiori, ed accendono incensi e doop.
Un secondo recinto,
all’esterno del primo, circonda il bosco sacro di cipressi; al suo interno c’è
anche un prato macchiato di viole, ed una terrazza in cemento, sotto la quale
possono trovare riparo, e dormire, i pellegrini. Si entra attraverso un piccolo
arco cui sono appese tre robuste campane. Infine, vicino al sentiero basso, si
apre un pomposo primo ingresso, sempre a forma di arco.
Sull’albero e sulla sua storia, non sono riuscito a reperire niente di scritto, e neppure gli abitanti della valle mi hanno saputo dire molto. D’altronde per loro Lathu è parte del mondo naturale in cui si svolge la loro semplice esistenza, al pari del sole e della luna, delle montagne e dei fiumi: “C’è sempre stato, e sempre ci sarà!”, ha tagliato corto un vecchio, rispondendo alla mia richiesta di notizie. Comunque sia, leggenda vuole che alcuni secoli fa un terribile rakshasa (demone) si fosse installato a vivere nella valle, terrorizzando ed angustiando i suoi abitanti. Essi, giunti al colmo della disperazione, chiamarono in loro aiuto un muni di Rishikesh, il cui nome era per l’appunto Lathu Maharaj (maharaj, che significa grande re, è uno degli appellativi di rispetto dato a coloro che hanno intrapreso la via spirituale, quali sadhu, swami ed altri, tutte tipologie di “monaci” hindu). Questi, dopo una strenua battaglia, sconfisse il demone; incantato poi dalla bellezza e dalla serenità della valle, decise di rimanerci a vivere, ed elesse a sua dimora lo spazio antistante al già grande Cedro, dove si ritirò in meditazione permanente. L’albero divenne così sacro, fu a lui dedicato, e chiamato con lo stesso nome. Due volte all’anno si svolge il mela, durante il quale i valligiani si recano in processione da Lathu, viene aperto il recinto e la capanna, e si procede con le offerte di rito, cantando e recitando mantra e preghiere. Caso unico in tutta l’India, a quanto mi è dato di sapere, nessuno può vedere la murti, ed è quindi obbligo entrare nella capanna con gli occhi bendati.
L'ingresso al bosco sacro di Lathu Maharaj |
Sull’albero e sulla sua storia, non sono riuscito a reperire niente di scritto, e neppure gli abitanti della valle mi hanno saputo dire molto. D’altronde per loro Lathu è parte del mondo naturale in cui si svolge la loro semplice esistenza, al pari del sole e della luna, delle montagne e dei fiumi: “C’è sempre stato, e sempre ci sarà!”, ha tagliato corto un vecchio, rispondendo alla mia richiesta di notizie. Comunque sia, leggenda vuole che alcuni secoli fa un terribile rakshasa (demone) si fosse installato a vivere nella valle, terrorizzando ed angustiando i suoi abitanti. Essi, giunti al colmo della disperazione, chiamarono in loro aiuto un muni di Rishikesh, il cui nome era per l’appunto Lathu Maharaj (maharaj, che significa grande re, è uno degli appellativi di rispetto dato a coloro che hanno intrapreso la via spirituale, quali sadhu, swami ed altri, tutte tipologie di “monaci” hindu). Questi, dopo una strenua battaglia, sconfisse il demone; incantato poi dalla bellezza e dalla serenità della valle, decise di rimanerci a vivere, ed elesse a sua dimora lo spazio antistante al già grande Cedro, dove si ritirò in meditazione permanente. L’albero divenne così sacro, fu a lui dedicato, e chiamato con lo stesso nome. Due volte all’anno si svolge il mela, durante il quale i valligiani si recano in processione da Lathu, viene aperto il recinto e la capanna, e si procede con le offerte di rito, cantando e recitando mantra e preghiere. Caso unico in tutta l’India, a quanto mi è dato di sapere, nessuno può vedere la murti, ed è quindi obbligo entrare nella capanna con gli occhi bendati.
Un breve cenno merita il bosco sacro che lo circonda. Esso è costituito in prevalenza da imponenti cipressi himalayani (Cupressus torulosa), molto vecchi (alcuni di essi credo che abbiano assai più di 500/600 anni) e di rispettabili dimensioni (ne ho personalmente misurato uno che aveva una circonferenza ad 1,3 metri da terra di quasi 10 metri). In particolare c’è un cipresso, pochi metri sotto a Lathu, che lo sovrasta in altezza, ed è completamente avvolto dai rami fino a terra, con un profilo perfetto della chioma, a forma di lancia. La circonferenza alla base è di circa 7 metri, l’altezza arriva ai 60 metri. Anche esso è albero sacro, conosciuto con il nome di Baghwati Ma, divinità femminile a cui è dedicato. Cedro e Cipresso paiono impersonare rispettivamente il principio maschile e quello femminile, la divisione primigenia dell’unità da cui scaturisce il molteplice.
Lathu Maharaj (destra) e Baghwati Ma (sinistra) |
Nella
zona himalayana il Cedrus deodara è da tempo immemorabile considerato
dimora degli dei, forse a causa dell’impressionante altezza che può
raggiungere, e quindi specie sacra. Lo stesso nome Hindi, Devdar, ce lo
ricorda, derivando dal sanscrito Devadaru, che vuol dire albero (o
legno) di dio (o degli dei). E’ spesso presente in prossimità dei templi, ed è
essenza principale di numerosi dev dan (boschi sacri), luoghi divenuti
tali per la presenza di templi, o in quanto eremitaggi di famosi asceti. (I
boschi sacri sono ancora piuttosto diffusi in tutta l’India, e si possono
considerare come forme residuali di antiche foreste primarie. In questi luoghi
non solo non si possono tagliare alberi e piante, ma neanche asportare foglie o
legna secca. Oltre alla valenza religiosa, hanno rappresentato e, seppure in
misura minore rispetto al passato, rappresentano tutt’oggi in valido sistema di
salvaguardia della biodiversità che li caratterizza). Nonostante ciò, a
differenza di numerose altre specie sacre, e con poche eccezioni, tra cui Lathu
Maharaj, non è dedicato ad alcuna divinità in particolare. In alcuni villaggi
si usa bruciare piccoli pezzi del suo legno insieme a ghee (burro
chiarificato) e ad altre piante in occasione di nascite, matrimoni e morti, in
una cerimonia chiamata hawan; raramente, a causa del suo costo, è anche
impiegato nelle pire funerarie. I brillanti grani gialli del suo polline
vengono adoperati per lucidare gli idoli in metallo, ed anche come tika
(punto circolare rituale apposto sulla fronte, tra gli occhi), in certe
occasioni religiose. Nelle parti montane della regione di Kumaon e della valle
di Kulu, alle divinità che vivono nei Cedri vengono offerti pezzi di ferro,
spesso veri chiodi barbaramente infissi nel legno, come protezione dalla
malattia, dalla morte di umani ed animali, e dalla perdita dei raccolti,
seguendo l’antica credenza indiana che il ferro tenga lontano ogni cosa
malvagia. Le Sacre Scritture prevedono che di legno di Cedro (e di poche altre
specie), debbano essere realizzate le immagini adorate dalla casta dei
Brahmini.
Il
Deodara è essenza montana e subalpina, che vive tra i 2.000 ed i 3.000 metri di
altitudine, potendo arrivare sino ai 3.500 mslm; gli individui più grandi si trovano
comunque alle quote superiori. E’ diffuso in tutta la parte occidentale della
catena himalayana, dall’Afghanistan orientale fino al Nepal occidentale, dove
occupa immense estensioni, formando foreste di particolare bellezza (ad esempio
quella che si incontra lungo il percorso del pellegrinaggio alle sorgenti di
Gangaji, tra Bhaironghati e Gangotri, con i suoi stupendi esemplari secolari,
che ricoprono buona parte della vallata). E’ l’albero nazionale del Pakistan.
Tra tutte le specie che vivono sull’Himalaya, è quella che raggiunge le
maggiori dimensioni, e costituisce una risorsa forestale di primaria
importanza. Il suo legname, molto aromatico, a grana fine e facilmente
levigabile, è uno dei più resistenti alla decomposizione ed all’attacco degli insetti,
ed è quindi estremamente durevole (siamo ai livelli del Teak). Il suo
uso nell’edificazione di templi è storicamente ben documentata; durante la
dominazione inglese venne massicciamente impiegato per la costruzione di
edifici pubblici, ponti e vagoni ferroviari. Le colonne in Cedro della Moschea
di Shah Hamaden in Kashmir hanno più di 400 anni, ed alcuni templi hindu
costruiti con il Deodara hanno tra i 600 e gli 800 anni. Da sempre le
popolazioni locali lo hanno utilizzato, oltre che per l’ottimo legname, anche
per profumare i locali, come medicina per l’uomo ed antiparassitario per gli
animali, e come conservante per i raccolti di granaglie. Il suo legno non contiene resina, ma un olio
essenziale formato da una quarantina di composti, che gli conferisce le
proprietà medicinali, di fragranza e durevolezza. A partire dal 1950, si è
iniziata la distillazione a vapore industriale del legno di Cedro, per la
produzione dell’olio essenziale, impiegato per fare profumi, saponi, incensi e
doop. La medicina ayurveda ha sempre adoperato il legno di cedro,
quello più interno, per la cura di febbre, coliche, bronchite, calcoli,
malattie della pelle, ulcere, ferite e mal di testa, in virtù delle sue
proprietà antiossidanti, antinfiammatorie, antimicotiche ed antispasmodiche. In
tempi recenti, si stanno inevestigando a fondo anche le sue proprietà
insetticide, con risultati assai promettenti.
Al post precedente:
Alberi Sacri dell'India: Introduzione
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