"Ora ascoltatemi
attentamente e con devozione. Vi spiegherò la grandezza del Bilva.
Il Bilva è il simbolo di
Shiva, adorato perfino dagli Dei. La sua grandezza può essere compresa solo in
parte.
Qualunque centro sacro ci
sia nel mondo, si situa sotto la radice del Bilva.
Colui che prega Mahadeva
nella forma di Lingam posto ai piedi di un albero di Bilva, purifica la sua
anima e sicuramente giungerà a Shiva.
Colui che si asperge il capo
di acqua ai piedi di un albero di Bilva, sarà come se si fosse bagnato in tutte
le acque sacre della terra.
L’uomo che prega ai piedi di un albero di Bilva offrendogli
fiori ed incensi, raggiunge il regno di Shiva. La sua felicità diviene grande e
la sua famiglia prospera.
Colui che con devozione
accende una fila di lampade ai piedi di un albero di Bilva otterrà la
conoscenza della verità e l’unità con Shiva.
Colui che venera l’albero di Bilva quando è pieno di
teneri germogli diventa libero dai peccati.
Colui che ai piedi di un
albero di Bilva offre ad un devoto di Shiva del riso cotto nel latte e nel ghee
non sarà mai povero"
Shiva
Purana (Vol 1, Cap. XXII, 21 - 31)
Bel (Aegle marmelos Corr.) |
Lo Shiva Lodge si affaccia direttamente sul Gange a
Benares, poco lontano dal Kedar Ghat e dal suo antichissimo tempio. Si trova in
una vecchia casa di bramini assai trasandata, che ha sicuramente visto tempi
migliori: avrebbe bisogno di una robusta imbiancata, di una sistemazione degli
infissi, di un cambio radicale di mobili e biancheria. Oltre che di una
regolata all’impianto elettrico, visto che la luce è piuttosto ballerina, e se
ne va per dispetto ogni volta che di notte si deve rincasare, ed
immancabilmente durante la doccia, così se ne va pure l’acqua. Nonostante i
suoi difetti sono oramai trenta anni che mi ci fermo quando vado a Benares, perché
le finestre delle camere, ed il terrazzo al piano superiore, consentono una
grandiosa vista del fiume e, soprattutto, per la superlativa cucina di Jhuma,
la moglie del proprietario. Fu proprio lei, diversi anni fa a parlarmi
dell’albero che cresce al centro dello stentato giardinetto prospiciente il
piano basso dell’abitazione: “È un albero di Bel, sommamente caro a Shiva. A
Benares ce ne sono ancora molti ed in passato tutti i templi di Shiva ne
avevano uno piantato nelle vicinanze. Questo ha più di centocinquant’anni!”.
Non si direbbe affatto che sia così vecchio a giudicare dalle ridotte
dimensioni: solo il fusto, contorto e pieno di nodi, fessure e protuberanze,
accredita la veneranda età dell’albero. Da quando la conosco, ogni mattina
all’alba la donna scende all’albero per offrire al lingam, che si trova alla
base del tronco, rivolto verso il fiume, ghirlande di tageti, incensi, riso ed
acqua appena prelevata dal Gange. Poi si raccoglie in preghiera e meditazione
accucciata ai suoi piedi. Una volta me ne ha pure cucinato i frutti nel sabji,
ma non ne ricordo il sapore, sicuramente non è stato uno dei suoi piatti più
riusciti!
Sebbene tutt’altro che appariscente ed imponente, anzi caratterizzato da una taglia medio piccola, il Bel (Aegle marmelos Corr.), chiamato Bilva in sanscrito, è uno degli alberi più conosciuti ed apprezzati dell’intera India. Alla sua fama contribuiscono in ugual misura l’antichissima sacralità della pianta, le potenti proprietà medicinali ed il valore alimentare dei frutti.
Sebbene tutt’altro che appariscente ed imponente, anzi caratterizzato da una taglia medio piccola, il Bel (Aegle marmelos Corr.), chiamato Bilva in sanscrito, è uno degli alberi più conosciuti ed apprezzati dell’intera India. Alla sua fama contribuiscono in ugual misura l’antichissima sacralità della pianta, le potenti proprietà medicinali ed il valore alimentare dei frutti.
Grazioso alberello della famiglia
botanica delle Rutaceae, la stessa a cui appartengono gli agrumi, raramente
supera i 10 metri di altezza, ha una densa chioma ovale, e la corteccia
grigiastra molto corrugata e ricca di sughero. Il tronco assume con gli anni
forme irregolari ed assai stravaganti; i giovani rami sono punteggiati da
robuste ed affilate spine. Le foglie sono composte, formate da tre foglioline
tenere e lucenti, coperte di ghiandole semitrasparenti che contengono oli
essenziali: se strofinate emanano un dolce e forte profumo di limone. Verso la
fine di marzo la pianta perde le foglie e ne resta spoglia fino a
giugno/luglio; durante il mese di maggio si ricopre di grappoli di fiori bianco
giallastri, anche essi molto profumati. Dalla fecondazione occorre più di un
anno perché i grossi frutti, di forma sferica, maturino: essi raggiungono
presto le dimensioni definitive (tra gli 8 ed i 16 cm di diametro), e rimangono
verdi sulla pianta fino a luglio dell’anno successivo, quando finalmente si
tingono di giallo. Sono formati da una scorza legnosa che contiene una polpa
giallastra e dolce, con una decina di semi al suo interno, lunghi circa 1 cm ed
avvolti in una matrice mucillaginosa. La durezza del suo involucro rende conto
del nome inglese del frutto, wood apple o stone apple (mela di
legno / mela di pietra). Specie nativa dell’India del nord, è stato ampiamente
diffuso in coltivazione nel resto
dell’India, a Ceylon, in Tailandia, Myanmar, Indonesia ed anche in alcuni stati
africani. Trova il suo habitat nelle foreste aride sub tropicali di pianura e
collina, spingendosi fino ad un’altitudine di 1.200 mslm; è molto rustico, ed
ha fama di vivere dove tutti gli altri alberi soccombono: indifferente alla
reazione del suolo, estremamente tollerante sia del freddo che del caldo,
sopporta le periodiche sommersioni del suolo che si verificano nella stagione
monsonica.
Shiva |
L’albero di Bel è intimamente
legato a Shiva ed al suo culto, tanto da essere considerato una manifestazione
terrena del dio.
Shiva è tra le divinità più
importanti e venerate dell’induismo, di origine anteriore a quella degli dei
vedici. Mentre Bramha è l’autore della creazione dell’universo e Vishnu colui
che lo mantiene, Shiva rappresenta la forza distruttrice, che si incarica di
annientarlo per procedere ad una nuova creazione, secondo un processo ciclico
che si ripete all’infinito. Questa forza si manifesta anche nella rimozione
dell’identificazione con l’ego individuale, e diviene quindi un potente
principio purificatore che rimuove gli ostacoli verso il conseguimento della
liberazione. La versione antropomorfa ne delinea il carattere unico ed
anticonformista tra tutti gli altri dei, ritraendolo seminudo, coperto di un
solo perizoma e da pesanti volute di rudraksha. Siede nella posizione del loto
su una pelle di tigre (che rappresenta la mente posta sotto controllo)
nella sua residenza sulla montagna sacra del Kailash. Dai suoi lunghi capelli
(talora è rappresentato anche con una folta barba), sgorga il fiume Gange, che
il dio fece fluire sulla terra regimandone l’impeto, al fine di permettere al
re Bhagiratha di riscattare i suoi 60.000 avi dal regno degli spettri e di
condurli in paradiso. Il curioso colore blu della pelle e del viso gli deriva
dall’avere bevuto un terribile veleno, scaturito durante la battitura
dell’oceano di latte, episodio famoso della mitologia induista, veleno che
minacciava di sterminare l’intera umanità. Nella raffigurazione del dio trova
sempre posto il cobra, serpente a lui sacro, attorcigliato al collo oppure mentre
fa capolino tra i capelli; tra gli attributi più importanti ci sono il toro
Nandi, che è il suo veicolo, il trishul, un tridente metallico dal lungo
manico, e la dholaak, un tamburello a due facce fatto suonare dalla
rotazione di due cordicelle che portano delle palle alle estremità. Shiva
divide equamente il suo tempo tra la meditazione profonda e gli amoreggiamenti
con la consorte Parvati. È un dio irascibile e dalle reazioni imprevedibili:
non solo tagliò la quinta testa di Bramha durante una disputa tra chi fosse il
più grande tra gli dei, ma recise senza indugio anche quella di suo figlio
Ganesh (il dio con la testa di elefante), colpevole di averlo disturbato
mentre era con Parvati, salvo poi riattacargli quella del primo essere che
passava da quelle parti, un elefante per l’appunto. Nei templi e nei luoghi di
devozione Shiva è però rappresentato dalla sua forma impersonale, il lingam,
ovvero il fallo, che addiviene a simboleggiare l’energia creatrice maschile del
dio. Il lingam può essere una pietra scolpita, od anche una roccia naturale: il
lingam di Amarnath, che si trova in una grotta ad oltre 4.000 metri di
altitudine nelle montagne himalaiane, meta di un estenuante pellegrinaggio
estivo, è addirittura di ghiaccio.
Lo stretto legame tra il Bilva e Shiva conferisce eccezionali benefici spirituali a coloro che si rivolgono all’albero pregandolo ed offrendogli acqua fiori ed incensi, come affermano i versi introduttivi del Post (tratti dallo Shiva Purana, un testo sacro del VII. secolo d.C. dedicato al dio). A tal proposito il Garuda Purana ci racconta la storia di Sundara Sen, re di Arunda, che non si distingueva certo per la sua devozione. Un giorno che costui si trovava a caccia, si fermò a riposare all’ombra di un albero di Bel, ai cui piedi si trovava uno shivalingam. Per passare il tempo, il re si mise a strappare rami e foglie dell’albero. Alcune foglie caddero sul lingam, mentre i rami caduti tutt’intorno sollevarono un gran polverone. Il re bagnò allora la superficie del terreno intorno all’albero con l’acqua presa dal vicino fiume, ed alcune gocce caddero sul lingam. Una freccia cadde poi dalla sua faretra ed il re si chinò per raccoglierla, toccando così con il petto il lingam. Avendo bagnato, toccato ed offerto foglie di Bilva al simbolo di Shiva, seppure involontariamente, il re ebbe la visione del dio: questo è il potere del Bilva.
Le foglie di Bel sono un componente indispensabile delle offerte tributate dai devoti al lingam durante i riti di preghiera e meditazione. La loro particolare conformazione trifogliata raffigura infatti sia il trishul che i tre occhi di Shiva ed anche, a livello metafisico, le tre qualità che compongono tutta la materia (i tre Guna: Sattva, coscienza, Rajas, passione, e Tamas, inerzia), così come le tre principali forze dell’universo secondo l’induismo, ovvero la Creazione, la Preservazione e la Distruzione. Talora anche il frutto fa parte delle offerte rituali, in mancanza di noci di cocco che sono comunque preferite. Nei sacrifici dell’età vedica il legno di Bilva era tra quelli utilizzati per realizzare lo yupa, il palo sacrificale, a cui venivano legati gli animali da offrire alle divinità. In quanto rappresentazione simbolica dello skhamba, il pilastro cosmico che sorregge e mantiene separati cielo e terra, lo yupa era il tramite tra il mondo degli uomini e quello degli dei, il mezzo che permetteva alle offerte ed alle richieste di giungere agli dei invocati nel sacrificio. L’uso dello yupa di Bilva era particolarmente indicato per i sacrifici volti ad ottenere una posterità abbondante, buoni raccolti agricoli ed animali fecondi. Di legno di Bilva è anche il bastone necessario per i riti di iniziazione dei giovani bramini; lo stesso Shiva, tra i numerosissimi nomi che gli sono attribuiti, ha anche quello di Bilvadanda, ovvero “Colui con il bastone di Bilva”. Per rispetto alla sua sacralità il legno non è mai utilizzato per cucinare; è invece impiegato nelle pire funerarie in virtù del suo potere purificatore.
Lo stretto legame tra il Bilva e Shiva conferisce eccezionali benefici spirituali a coloro che si rivolgono all’albero pregandolo ed offrendogli acqua fiori ed incensi, come affermano i versi introduttivi del Post (tratti dallo Shiva Purana, un testo sacro del VII. secolo d.C. dedicato al dio). A tal proposito il Garuda Purana ci racconta la storia di Sundara Sen, re di Arunda, che non si distingueva certo per la sua devozione. Un giorno che costui si trovava a caccia, si fermò a riposare all’ombra di un albero di Bel, ai cui piedi si trovava uno shivalingam. Per passare il tempo, il re si mise a strappare rami e foglie dell’albero. Alcune foglie caddero sul lingam, mentre i rami caduti tutt’intorno sollevarono un gran polverone. Il re bagnò allora la superficie del terreno intorno all’albero con l’acqua presa dal vicino fiume, ed alcune gocce caddero sul lingam. Una freccia cadde poi dalla sua faretra ed il re si chinò per raccoglierla, toccando così con il petto il lingam. Avendo bagnato, toccato ed offerto foglie di Bilva al simbolo di Shiva, seppure involontariamente, il re ebbe la visione del dio: questo è il potere del Bilva.
Le foglie di Bel sono un componente indispensabile delle offerte tributate dai devoti al lingam durante i riti di preghiera e meditazione. La loro particolare conformazione trifogliata raffigura infatti sia il trishul che i tre occhi di Shiva ed anche, a livello metafisico, le tre qualità che compongono tutta la materia (i tre Guna: Sattva, coscienza, Rajas, passione, e Tamas, inerzia), così come le tre principali forze dell’universo secondo l’induismo, ovvero la Creazione, la Preservazione e la Distruzione. Talora anche il frutto fa parte delle offerte rituali, in mancanza di noci di cocco che sono comunque preferite. Nei sacrifici dell’età vedica il legno di Bilva era tra quelli utilizzati per realizzare lo yupa, il palo sacrificale, a cui venivano legati gli animali da offrire alle divinità. In quanto rappresentazione simbolica dello skhamba, il pilastro cosmico che sorregge e mantiene separati cielo e terra, lo yupa era il tramite tra il mondo degli uomini e quello degli dei, il mezzo che permetteva alle offerte ed alle richieste di giungere agli dei invocati nel sacrificio. L’uso dello yupa di Bilva era particolarmente indicato per i sacrifici volti ad ottenere una posterità abbondante, buoni raccolti agricoli ed animali fecondi. Di legno di Bilva è anche il bastone necessario per i riti di iniziazione dei giovani bramini; lo stesso Shiva, tra i numerosissimi nomi che gli sono attribuiti, ha anche quello di Bilvadanda, ovvero “Colui con il bastone di Bilva”. Per rispetto alla sua sacralità il legno non è mai utilizzato per cucinare; è invece impiegato nelle pire funerarie in virtù del suo potere purificatore.
Foglia di Bilva |
Oltre che a Shiva, il Bel risulta
associato anche alla dea Lakshmi, consorte di Vishnu e dea dell’abbondanza,
della bellezza e della prosperità. Secondo il Banhipurana, Lakshmi
apparve durante la battitura dell’oceano sotto forma di una vacca sacra e dai
suoi escrementi nacque il Bel. Il Brihaddharma Purana invece così
racconta l’origine della pianta: “Lakshmi era solita pregare ogni giorno Shiva,
omaggiandolo con mille fiori di loto. Un giorno accadde che mancassero due
fiori all’offerta. Pur avendoli cercati dappertutto, Lakshmi non era riuscita a
trovarli e la dea era molto preoccupata di non potere compiere perfettamente la
sua preghiera. Ricordando quindi che il suo amato sposo Visnu aveva spesso
paragonato i suoi seni a due loti in boccio, pensò di tagliarli e di offrirli
al dio al posto dei fiori mancanti. Non appena ebbe tagliato il primo con un
affilato coltello, Shiva apparve e le impedì di tagliare il secondo.
Dimostrandosi assai soddisfatto della sua devozione, e siccome il seno tagliato
non aveva ancora toccato terra, ed era quindi rimasto puro, Shiva disse che
sarebbe divenuto un albero di Bel e che il suo frutto sarebbe stato uno dei
frutti sacri di questo mondo”. In quanto sacro a Lakshmi, il Bel è considerato
albero della prosperità e della buona fortuna, come indica uno dei suoi antichi
nomi Srivriksha (Sri è uno dei nomi della dea Lakshmi, vriksha
significa albero). Così le donne degli stati indiani del Bihar e dell’Uttar
Pradesh si rivolgono ad un Albero di Bel, pregandolo ed abbracciandolo perché
esaudisca i loro desideri. Le donne sposate nelle aree rurali del Bengala
credono invece che le preghiere rivolte all’albero le concedano i favori dei
propri mariti, e lo venerano offrendogli vermiglio, pasta di sandalo e fiori.
Tra i riti tradizionali di alcune
caste Newar, la popolazione che abita nella valle di Kathmandu in Nepal, è
ancora in uso la celebrazione di matrimoni tra giovani fanciulle in tenera età
ed un frutto di Bel, che in questo caso
simboleggia il dio Vishnu. Presso i Newar una donna dovrebbe sposarsi tre
volte: la prima con un frutto di Bel, la seconda con il Sole, e la terza,
finalmente, con il marito definitivo. Il primo matrimonio ha lo scopo di
assicurare la fertilità della giovane, e di garantirle in futuro un buon
marito; inoltre, essendosi virtualmente sposata con un dio, quale il frutto
rappresenta, non potrà mai rimanere vedova. La cerimonia si svolge spesso in
prossimità di un albero di Bel, cosa che assicura anche le presenza di Shiva
come testimone di nozze!
Il Bilva è albero sacro presso
molte delle comunità tribali dell’India, anche se con significati originali e
con proprie modalità di culto. I Nair del Kerala non mangiano il frutto come
nel resto dell’India perché credono che essa rappresenti la testa di Shiva. I
Nair, animisti, adorano gli dei attraverso le divinità rappresentate dagli
alberi, ma si rivolgono prevalentemente allo Spirito che vive in ogni albero.
Tra i Saora, che vivono nello stato dell’Orissa, le foglie di Bel sono usate
per la divinazione. Le spine sono utilizzate dagli sciamani nella cerimonia
dell’imposizione del nome, e vengono conficcate nelle porte per tenere lontani
gli spiriti malefici.
Corteccia nella parte inferiore del fusto |
“Tra gli abitanti dell’India
nessuna pianta medicinale è conosciuta meglio e da più lungo tempo, ed è più
apprezzata, del Bel”. Queste parole scritte nel 1889 da Sir George Watt,
botanico inglese che pubblicò un monumentale dizionario dei prodotti
commerciali dell’India, illustrano efficacemente l’importanza del Bilva nella
medicina tradizionale indiana, sia di quella popolare, che dei sistemi codificati
quali Ayurveda, Siddha e Unani. Tutte le parti della pianta, con esclusione dei
semi, vengono infatti impiegate nella cura di un’ampia gamma di malattie. Da
sempre i frutti acerbi sono un rimedio per la diarrea e la dissenteria: è
credenza popolare che possano fermare la diarrea quando tutte le altre medicine
non fanno effetto. Per questo uso i frutti sono raccolti d’inverno; la polpa
viene seccata al sole, ed è quindi impiegata per preparare decotti da
consumarsi freddi, da sola od insieme ad erbe carminative, oppure viene ridotta
in polvere o trasformata in conserva o marmellata. Differenti parti dell’albero
vengono poi utilizzate per il trattamento della febbre, dell’asma, dell’anemia
e del diabete, per abbassare la pressione sanguigna, così come nella cura delle
ferite, dei morsi di serpente e dei problemi articolari. La polpa del frutto
maturo, mescolata con crema fresca di latte e con zucchero, è considerata un
ottimo tonico in grado di potenziare la concentrazione mentale ed addirittura
l’intelligenza. Le ricerche scientifiche sulle virtù medicinali dei vari organi
della pianta hanno identificato numerosi principi attivi (composti chimici
dei gruppi degli alcaloidi, terpeni, tannini, flavonoidi, steroidi, glicosidi
ed altri), e certificato l’incredibile ricchezza di attività terapeutiche
degli estratti di frutti, foglie, radici e corteccia, che risultano
antiossidanti, antipiretici, analgesici, antibatterici, antimicotici,
antinfiammatori, epatoprotettori, e svolgono attività positiva nei confronti della
dissenteria, del diabete e delle febbri malariche.
Ultimamente si sta sperimentando l’uso dell’olio essenziale estratto dalle foglie come insetticida per il controllo di alcune specie di insetti che colpiscono cereali e legumi immagazzinati. Nei paesi tropicali gli attacchi di insetti nella fase di conservazione delle granaglie comportano perdite di prodotto tra il 20 ed il 40%, oltre ad un notevole peggioramento delle proprietà nutritive. Le fumigazioni con olio essenziale in soluzione sembrano ridurre in misura considerevole gli attacchi, in maniera economica e senza i rischi per la salute umana provocati dall’impiego di insetticidi chimici.
Ultimamente si sta sperimentando l’uso dell’olio essenziale estratto dalle foglie come insetticida per il controllo di alcune specie di insetti che colpiscono cereali e legumi immagazzinati. Nei paesi tropicali gli attacchi di insetti nella fase di conservazione delle granaglie comportano perdite di prodotto tra il 20 ed il 40%, oltre ad un notevole peggioramento delle proprietà nutritive. Le fumigazioni con olio essenziale in soluzione sembrano ridurre in misura considerevole gli attacchi, in maniera economica e senza i rischi per la salute umana provocati dall’impiego di insetticidi chimici.
Frutti acerbi di Bel |
Ricco di vitamina C e di vitamina
B1 e B6, oltre che di elementi minerali quali calcio, potassio, fosforo e ferro,
il frutto del Bel viene consumato tal quale, fresco o secco, oppure trasformato
in marmellata o confettura. Dal succo della polpa, mescolato con acqua, succo
di limone e zucchero, si ricava una popolare bevanda rinfrescante servita
fredda; con la polpa battuta insieme a latte, ghiaccio e zucchero si preparano
degli ottimi sorbetti. Le giovani foglie ed i germogli vengono mangiati come
verdura, e pare che riducano l’appetito. La gomma che circonda i semi,
abbondante nei frutti acerbi degli alberi selvatici, trova uso come colla
casalinga, come adesivo in oreficeria e, mescolata con la calce, per
impermeabilizzare i muri. Il legno è molto aromatico appena tagliato; pesante e
di facile e bella finitura, ma poco durevole e soggetto ad imbarcarsi e fessurarsi
con la stagionatura, è impiegato per piccoli lavori d’intaglio ed al tornio,
per fabbricare manici di coltelli e di attrezzi, pettini e pestelli.
Dall’involucro dei frutti si ricavano piccole scatole e giocattoli. La polpa
dei frutti ha azione detergente e viene utilizzata nelle aree rurali come
sapone per lavare i panni.
Bel a pochi passi dal Gange. Varanasi |
grazie
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