“Amate gli animali. Non abbattete gli alberi. E nella vita non conoscerete avversità”
Guru Jambeshwar
La fine della stagione delle piogge ha finalmente portato sollievo alla terra ed ai suoi abitanti, sfiniti da mesi di calura ed umidità. Quel giorno Amrita si è recata molto presto al lavoro nel bosco, per godersi l’ aria fresca e pulita del mattino. C’è da fare l’erba per gli animali, che dopo le piogge cresce generosa nelle ampie radure: anche le bestie aspettano cibo fresco, finalmente. Amrita è ancora giovane, ma è già madre di tre figlie. Accucciata sui talloni, muove il falcetto con movimenti regolari ed efficaci, e sembra sbrigarsela molto bene in quell'opera. Suo marito è nei campi, insieme agli altri uomini del villaggio, a preparare i terreni per la semina, la figlia grande è rimasta a casa a fare le faccende domestiche, e le due piccine sono lì con lei, che giocano sorridenti sul margine del bosco.
Ogni tanto Amrita volge gli occhi al cielo, e rimira con amore quei vecchi alberi di Khejri, le loro chiome allargate, le tenere foglioline sazie d’acqua, contenta che siano lì a farle compagnia. Non c’era stato bisogno che suo padre ed il suo maestro le avessero insegnato il rispetto per la sacralità attribuita a quegli alberi dalla sua comunità, perché lei li amava già da prima, istintivamente. Fin quando ne aveva avuto il tempo, passava lunghe ore a giocare tra i fusti contorti, ad immaginare storie, a guardare gli uccelli rincorrersi tra i lunghi rami frondosi. Sedere alla loro ombra le riempiva sempre il cuore di gioia. La sua era una vita faticosa, ma nell’anima avvertiva chiaramente la bellezza di sentirsi parte di una collettività, la sua comunità di persone semplici e gentili, inserita ed integrata nell’universo ristretto del suo villaggio, abbracciato e custodito da quegli antichi alberi.
D’improvviso, mentre tutte insieme si spengono le voci delle creature del bosco, un rumore di cavalli, ruote e ferraglia che giunge dal lato di ponente si fa sempre più nitido, fino a divenire assordante in quella pace. Il rumore prende rapidamente la forma di un nutrito drappello di forestieri, alcuni armati a cavallo, altri su dei grandi carri trainati da pariglie di enormi buoi, e dalle cui fiancate pendono accette seghe e funi. Si fermano in un’ampia radura; gli uomini scendono dai carri, e prendono i loro attrezzi da taglio. Amrita non è la sola persona del villaggio nel bosco quella mattina, ma è la prima a farsi incontro alla comitiva ed a chiedere cosa stessero facendo.
“Siamo qua per tagliare il bosco – risponde sprezzante uno degli uomini armati – Ordine del Maharaj”.
“Ma come – osa la ragazza, nonostante la paura che le infondono quegli estranei – Questo è un bosco sacro, questi sono i nostri amati alberi sacri!”.
Un cavaliere elegantemente vestito, che sembra il capo della spedizione, si fa avanti, ed estratta una piccola borsa da sotto il mantello, le si rivolge con tono stizzito:
“Ringraziate la generosità del Maharaj, invece di protestare! Questo denaro è per tutti voi. Non stiamo rubando niente, stiamo semplicemente comprando la vostra legna”.
“Come si può vendere qualcosa che appartiene a Dio? – risponde accorata Amrita – non vogliamo i soldi, vogliamo continuare a vedere i nostri alberi, verdi e vivi come sempre!”
Il cavaliere, visibilmente contrariato, le si fa incontro con aria minacciosa. Ma Amrita è molto svelta, quindi si volta, e nel tempo di un respiro scompare nel bosco. Sa correre veloce, così in pochi minuti raggiunge il villaggio, e senza riprendere fiato urla ai quattro venti cosa sta succedendo. Qualcuno corre a chiamare gli uomini nei campi, e poco dopo i paesani sono riuniti nella piazza. Ci sono tutti: uomini e donne, vecchi e bambini. Senza indugio si dirigono verso il luogo dei boscaioli. Ai margini della radura tre alberi sono già stati abbattuti; altri due si stanno inclinando sotto i colpi dei taglialegna, in procinto di fare la stessa fine. Gli occhi dei paesani si incrociano stupiti, impauriti, smarriti. I boscaioli ed i soldati ridono e si fanno beffe di loro, continuando la loro opera di distruzione. Quand’ ecco che Amrita corre verso un albero che sta per assaggiare il ferro della scure, e lo abbraccia stretto.
“Se un albero può essere salvato al prezzo della mia vita, allora questo è un buon affare per me!” - grida la donna.
Animati dal suo gesto, tutti i paesani corrono allora ad abbracciare gli alberi. I taglialegna si guardano tra loro, esitano, e posano a terra gli attrezzi da taglio. Ma i soldati non esitarono. Amrita fu la prima a cadere, decapitata da un colpo di accetta. Al tramonto nessuno era rimasto in piedi: né gli alberi, prontamente caricati sui carri e portati via, né gli esseri umani, che giacevano morti a terra, ancora abbracciati alle ceppaie orfane dei loro tronchi, il rosso del sangue ed il verde della linfa mescolati, come un amaro pianto della terra ferita, in un unico immenso sacrificio.
Così ho immaginato, ed ho voluto ricordare, i tragici fatti avvenuti nel settembre del 1730 presso il villaggio rurale di Khejarli, quando 363 persone della Comunità Bishnoi, guidate da una giovane donna di nome Amrita Devi, vennero trucidate a colpi di accetta e di spada mentre, abbracciate strette ai tronchi, cercavano di opporsi al taglio di un bosco di Khejri. Gli autori del massacro furono i taglialegna ed i soldati inviati da Abhay Singh, Maharaj di Jodhpur, che aveva ordinato il taglio. La legna gli sarebbe servita come combustibile per la cottura dei mattoni del suo nuovo palazzo. Nella realtà le uccisioni si protrassero per alcuni giorni, finché Abhay Singh, venuto a conoscenza della brutalità dei fatti, ed evidentemente pentito, interruppe immediatamente il massacro, si scusò con i Bishnois, ed emise un editto, ancora vigente, in cui si stabiliva il divieto in tutti i villaggi Bishnoi dello stato di Jodhpur di tagliare un albero vivo, o di uccidere un animale.
Nel villaggio di Khejarli, che si trova ad una trentina di chilometri da Jodhpur, città dell’attuale stato indiano del Rajasthan, un memoriale costituito da un tempio, un monumento e 363 alberi di Khejri commemora la strage più grave di difensori della natura che la storia ricordi. Ogni anno, a settembre, si tiene una grande Mela (festa religiosa), per ricordare e rendere omaggio ai martiri. Il Governo indiano ha anche istituito un premio annuale, l’“Amrita Devi Bishnoi Wildlife Protection Awards”, concesso a chi, sia esso un individuo, un’ associazione od una comunità rurale, si sia distinto per coraggio e valore esemplare nel campo della protezione della natura.
Il Khejri, o Khejari, il cui nome scientifico è Prosopis cineraria, è un piccolo albero spinoso, di poca altezza ed a foglie caduche, uno dei pochi che riesce a vivere nei deserti che si estendono dalla penisola arabica fino all’India. E’ pianta capace di cercarsi l’acqua fino a 30 metri di profondità, grazie ad un impressionante apparato radicale, di sopportare temperature estremamente elevate, e di vivere su suoli caratterizzati da elevata salinità ed alcalinità. In queste regioni climaticamente molto difficili, il Khejri rappresenta una fondamentale risorsa per la vita dell’uomo. Le popolazioni dei deserti del Rajasthan lo utilizzano in diversi modi: consociato al miglio, un cereale minore, forma un sistema produttivo agro–forestale di antica tradizione, base del sostentamento alimentare di uomini ed animali. La corteccia, che è dolciastra, può essere molita e ridotta in una farina di alto contenuto proteico (e fu questa farina a salvare migliaia di vite durante la grande carestia del Rajasthan nel 1868 – 69). Il fogliame è impiegato come foraggio per gli animali, ed i baccelli sono cotti e mangiati dagli uomini. Il legno è assai resistente, ed impiegato per costruire barche, carri, abitazioni e mobili. Sempre la corteccia trova impiego nella medicina popolare come rimedio per una grande varietà di infermità, dall’asma alla lebbra. In tutta l’India, ed in particolare in Rajasthan, il Khejri è venerato come albero sacro.
Il sacrificio della propria vita per difendere quella degli alberi non rappresenta per i Bishnois un evento casuale ed estemporaneo, ma rispecchia le loro profonde convinzioni religiose e di vita. L’elemento fondante e di appartenenza a questa Comunità, aperta a tutti e tuttora esistente, è infatti l’osservanza di 29 regole, tra cui la diciottesima impone di essere compassionevoli verso tutti gli esseri viventi, e la diciannovesima proibisce il taglio di alberi verdi; il nome Bishnoi significa proprio 29 (da bis = venti, e noi = nove). Le regole vennero enunciate nel 1485 dal santo e maestro Jambeshwar, conosciuto anche come Jamboji, e fu lui stesso a stabilire che coloro che seguivano i ventinove comandamenti, si sarebbero chiamati Bishnoi.
Nato nel 1451 a Pipasar, in Rajasthan, da una famiglia di casta Kshatrya (i guerrieri), e grazie alla benedizione di uno yogi, Jambeshwar, che popolarmente è considerato un’incarnazione di Vishnu, fu contemporaneo di altri grandi santi indiani, quali Kabir e Nanak, e come essi perseguiva la liberazione dal ciclo delle rinascite attraverso le pratiche devozionali. Dedicatosi ben presto alla ricerca spirituale, all’età di 34 anni si ritirò a vivere su una duna del deserto, vicino a Bikaner. In quegli ultimi 10 anni il Rajasthan, che già è una terra ambientalmente molto difficile in quanto in gran parte desertica, si era trovata a fronteggiare una tremenda carestia, dovuta alla siccità che aveva colpito la regione, e che aveva imposto a molti dei suoi abitanti il trasferimento verso aree più ospitali. Jamboji si rese conto che quei fatti non erano dovuti alla cattiveria della natura od alla volontà degli dei, ma piuttosto all’interferenza dell’uomo sulla natura. Il taglio indiscriminato degli alberi e l’uccisione degli animali selvatici, determinati dall' egoismo dell'uomo, erano la causa prima di quei tragici eventi: gli errati comportamenti nei riguardi dell'ambiente naturale avrebbero presto significato la fine dell’esistenza dei popoli del deserto. Gli uomini, pensò Jambeshwar, avrebbero piuttosto dovuto aiutare l'ambiente che li circondava, in modo che la Natura sostenesse a sua volta la vita degli uomini. Come molti altri santi della sua epoca, vedeva anche con tristezza la decadenza e la corruzione sopraffare l’antica spiritualità dell’induismo: l’egoismo, la stupidità, il peccato, le attivita immorali e l’adorazione di troppi dei dominavano la vita degli uomini. Il Maestro propose quindi un sistema di vita diverso, basato su regole che integrano insieme comportamenti individuali e sociali, rapporto con la Natura e doveri religiosi. Dei 29 comandamenti, otto riguardano, con terminologia moderna, la conservazione della biodiversità, ed incoraggiano buone pratiche di allevamento degli animali, sette concernono i comportamenti sociali, dieci sono diretti all’igiene personale ed alla salute, e quattro, infine, interessano le preghiere quotidiane. Oltre alle 29 regole (dettagliate nell’appendice a fine post), 120 shabad, insegnamenti del maestro stesso che rinforzano ed approfondiscono le regole, e come queste enunciati in forma molto semplice e concisa, costituiscono il corpo dottrinale della Comunità. Già al tempo di Jambeshwar furono in molti ad aderire alle regole, diventando Bishnoi, e così é stato anche nei secoli successivi; oggi la Comunità conta circa sei milioni di adepti, stanziati principalmente nei villaggi rurali del Rajasthan occidentale, ma anche negli stati del Gujarat, Haryana, Uttar Pradesh e Madhya Pradesh.
Guru Jambeshwar Bhagwan. Disegno di R.P. Bishnoi |
Il Bishnoismo si inserisce a pieno titolo nell’immensa corrente dell’ Induismo, ma ne differisce per alcuni tratti originali, quali il rifiuto dell’adorazione di statue, idoli e uomini, nonchè dei rituali inutili e del sistema delle caste. I Bishnois credono in un unico dio, Vishnu, nella legge del Karma, nell’uguaglianza degli esseri umani, rifiutano la menzogna e le polemiche inutili, praticano la pace, il perdono, l’onestà, la vita semplice, la purezza interiore ed esteriore. La caratteristica più interessante della Comunità appare comunque l’integrazione nel proprio sistema religioso del rispetto, della compassione e dell’amore verso ogni essere vivente, sia esso uomo, animale, pianta o insetto. Questa sacralizzazione di tutti i viventi ha portato durante i secoli all’instaurarsi di un rapporto sostenibile ed ecologicamente corretto tra i Bishnois ed il difficile ambiente naturale in cui vivono, tanto che essi stessi hanno in tempi recenti definito il Bishnoismo come “Eco Dharma”, ovvero religione ecologica. Dediti alla pastorizia, e maestri nella coltivazione delle terre aride, i villaggi Bishnoi sono delle verdi oasi nel deserto, dove circolano tranquillamente cervi, gazzelle, antilopi e pavoni, componenti della fauna locale. I Bishnois utilizzano efficacemente l’acqua piovana, che raccolgono in grandi depositi, e cucinano il cibo utilizzando legna secca od escrementi seccati di mucca, per risparmiare il taglio degli alberi, dopo essersi assicurati che nel combustibile non ci siano insetti vivi, nel qual caso vengono accuratamente tolti. Sempre per evitare di uccidere eventuali forme di vita (ma anche per ragioni igieniche), l’acqua ed il latte vengono filtrati. Anche i morti, per risparmiare legna, vengono seppelliti e non cremati, come avviene nella tradizione indù. La piantagione di nuovi alberi, ed il mantenimento di quelli già esistenti, è un’attività a cui si dedicano costantemente: in alcuni villaggi ci sono boschi sacri con più di 400 anni di età. Un decimo dei loro raccolti viene inoltre destinato all’alimentazione degli animali selvatici, e le donne sono famose per allattare i cuccioli rimasti orfani. Ci sono associazioni e singole persone che si occupano della cura degli animali selvatici feriti dai cacciatori o in incidenti stradali, e rifugi dove vengono ospitati ed accuditi gli animali abbandonati. Secondo una ricerca del 2000, i villaggi Bishnois presentano un livello di vita superiore a quello degli altri villaggi della regione, a dimostrazione che da un buon rapporto con le risorse naturali derivano anche vantaggi di ordine economico.
Vegetariani e non violenti, i Bishnois sono sempre stati molto attivi ed assai battaglieri quando si è trattato di difendere le loro terre dai bracconieri e dai contrabbandieri di legname, ma anche da politici, governi e potentati vari, talora a costo della propria vita, e con una partecipazione che va ben oltre il rispetto rituale e letterale di animali ed alberi, ed anche oltre il carattere divino attribuito alla vita tutta dalla cosmologia e dai testi sacri dell’induismo. Proprio in questi giorni sta per uscire la sentenza definitiva del processo al famosissimo attore di Bollywood Salman Khan, accusato di avere ucciso due antilopi nel territorio Bishnois; in prima istanza l’attore è stato condannato a cinque anni di prigione. Il processo dura da 16 anni, proseguendo il suo corso nonostante i numerosi intoppi, grazie alla tenacia ed al coinvolgimento attivo dei Bishnois.
I martiri di Khejarli (i cui nomi sono stati oggetto di una accurata ricerca storica, e pubblicati sul sito ufficiale della Comunità Bishnoi, “Bishnoism.com”, a cui si rimanda per ulteriori notizie ed approfondimenti sulla Comunità) sono solo i più conosciuti di una lunga lista di Bishnois che hanno sacrificato la propria vita per difendere alberi ed animali, che inizia ufficialmente nel 1604, quando nel villaggio di Ramsari vennero uccise Karma e Gora, due donne che si opponevano al taglio di alcuni alberi di Khejri, e che termina, per ora, nell’agosto del 2000 con l’uccisione di Ganga Ram Bishnoi. Ganga Ram stava cercando di salvare un gruppo di cervi da alcuni cacciatori di frodo; nel 2003 gli è stato conferito alla memoria il premio “Amrita Devi Bishnoi”.
Quanto sopra descritto, ha nei secoli procurato ai Bishnois una solida fama di inflessibili guardiani della natura, e la loro Comunità è considerata storicamente la prima Comunità retta da principi ecologici dell’India, e possibilmente del mondo intero. Questo nonostante la maggioranza di essi sia scarsamente cosciente del dibattito in corso nell’Occidente sul riscaldamento globale, sulla conservazione della biodiversità, e sui diversi topici che formano l’attuale problematica ecologica planetaria. Oltre all’adozione del gesto simbolico di abbracciare gli alberi da parte dei movimenti ecologisti di ogni luogo del mondo, il Bishnoismo è stato fonte di ispirazione anche per il movimento non violento nato negli anni ’70 del secolo scorso in Uttarakhand, per contrastare la massiccia deforestazione in atto nella regione himalaiana. Movimento che significativamente si chiama Chipko (che vuole dire abbracciare) ed utilizza l’antica tecnica dei Bishnois di abbracciare gli alberi e di non staccarsi da essi, per evitarne il taglio.
"Gli alberi sono i custodi delle porte della felicità paradisiaca"
Guru Jambeshwar
APPENDICE
Le 29 Regole dei Bishnois
1 |
Osservate 30 giorni di isolamento dopo il parto per la madre e per il neonato
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2 |
Durante il periodo mestruale, le donne non devono svolgere attività domestiche per un periodo di cinque giorni
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3 | Lavatevi ogni giorno, di mattina |
4 | Abbiate un buon carattere, siate contenti e mantenetevi puri e puliti |
5 | Pregate due volte al giorno, al mattino ed alla sera |
6 | Cantate inni di preghiera a Dio la sera |
7 | Offrite sacrifici al fuoco sacro con sentimenti di gioia, devozione ed amore |
8 |
Usate acqua e latte filtrati, e legno per il fuoco pulito, per renderli liberi da batteri ed insetti
|
9 | Parlate con attenzione (pensate prima di parlare) |
10 | Perdonate con il cuore |
11 | Siate compassionevoli di cuore |
12 | E’ proibito rubare od utilizzare senza permesso le cose degli altri |
13 | E’ proibito il criticismo |
14 | E’ proibito dire menzogne |
15 | Non indulgete in dispute e controversie non necessarie |
16 | Osservare il digiuno nell’ultimo giorno di luna nera del mese |
17 | Pregate e pronunciate il nome di Vishnu in adorazione |
18 | Siate compassionevoli con tutti gli esseri viventi |
19 | Non tagliate alberi verdi |
20 | Controllate lussuria, rabbia, orgoglio, infatuazioni, delusioni e attaccamento |
21 |
Mangiate cibo cucinato nella vostra casa; non mangiate cibo mantenuto o cucinato in condizioni impure
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22 |
Date rifugio agli animali abbandonati, in modo che possano terminare la loro vita con dignità e senza essere uccisi
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23 | Non castrate i tori |
24 | Non consumate e non commerciate oppio |
25 | Non fumate tabacco |
26 | Non consumate e non commerciate sostanze stupefacenti |
27 | Non bevete e non commerciate bevande alcoliche |
28 | Non mangiate carne o altro cibo non vegetariano |
29 | Non usate colori viola estratti dalla pianta verde dell’Indaco |
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