Il componimento poetico sotto riportato (e che continua in altra pagina, data la sua lunghezza) è una testimonianza dell'antico mestiere del carbonaio, un tempo, e per molti secoli, assai diffuso tra le genti dell'Appennino pistoiese. Questi uomini, ma spesso anche donne e bambini, vivevano undici mesi l'anno in rustiche capanne allestite nel mezzo del bosco. Il loro letto era fatto di legni coperti di felci e foglie. Il loro cibo quotidiano consisteva nella polenta di granturco, accompagnata da una acciuga o da un'aringa, talvolta da un pezzo di pecorino; il pane ed il vino apparivano solo durante le feste comandate. Con una abilità che sconfinava nell'arte, essi allestivano le "carbonaie", destinate a trasformare legna di faggio, di leccio e di altre essenze in ottimo carbone, che per molto tempo costituì una tra le più importanti fonti energetiche disponibili. Si trattava di un lavoro massacrante, da cui traevano profitto principalmente i ricchi che compravano i boschi e che li affidavano poi ai carbonai, ai quali, a fine stagione, rimanevano in tasca solo pochi spiccioli. Nei mesi estivi, il lavoro si svolgeva sulle montagne del pistoiese, ma d'inverno erano costretti a cercare zone dal clima più mite, ed allora migravano in Maremma (il famoso canto popolare che la maledice, trae origine da questi migranti), ma anche in Corsica ed in Francia. Delle squadre assegnatarie dei vari lotti di bosco, faceva quasi sempre parte un ragazzo di dieci/dodici anni, a cui toccavano i compiti "più leggeri", e che ovunque veniva chiamato "Meo". Curiosa l'origine del nome, del quale peraltro resta traccia anche in diversi toponimi, e che si vuole derivato da San Bartolomeo, protettore dei bambini. In pistoiese arcaico, "sanbartolomei" erano definiti i bambini birichini, dispettosi e particolarmente vivaci.
Con l'avvento del carbone fossile, e con la diffusione di massa dell'energia elettrica, ebbe fine, nell'immediato dopoguerra, l'epopea dei carbonai. Ma nelle montagne pistoiesi, è ancora possibile incontrare qualche vecchio che, spinto dalla nostalgia e dalla passione, allestisce una piccola carbonaia per uso casalingo.
La Canzone del Meo è composta di strofe di otto endecasillabi ciascuna, con rima AB AB AB CC; il primo verso della strofa successiva fa rima con l'ultimo verso della strofa precedente. E' questa la struttura tipica dei canti "in ottava rima" i quali erano improvvisati la sera "a veglia" da poeti popolari, spesso analfabeti. Nascevano così sfide, in cui i poeti si alternavano, declamando una strofa ciascuna, ed utilizzando la desinenza dell'ultimo verso per cercare di mettere in crisi l'avversario.
La canzone è tratta dal bellissimo e poetico libro di Aimo Mucci "I Forzati della Foresta" (Gli Ori, Pistoia 2006. ISBN 88 7336 220 6 )
Canzone del Meo
Se Apollo vorrà farmelo un favore
Di mettermi qualcosa nella testa
Vi dirò quando feci il servitore
A un carbonaio dentro la foresta
Chiamarmi del mio nome non occorre
Ma bensin Meo la tradizion l'attesta
Certo fu qualche gatto montanino.
Avevo dieci anni quando per destino
Rimasi senza babbo e senza dote
Ero tra i figli sempre il più grandino
Mamma malata e lavorar non puote
Vedevo i giorni sempre più vicino
E la miseria sempre più mi scuote
La vita mi faceva la struttura
Di parer di Pinocchio la figura.
Fin da piccino la madre natura
Me la fece sentir l'inclinazione
Con molto affetto alla letteratura
In cui incominciai con gran passione
Ma quella scuola non fu duratura
Sol pochi mesi dettero lezione
Fu gioco forza di cambiar pensiero
Per guadagnarmi il pane giornaliero.
Mi prese un carbonaio calloso e nero
Mi tenne sette mesi là in foresta
Duro il lavoro tenero com'ero
Immaginate voi se mi molesta
Perciò sono ubbidiente a dire il vero
Ci ho massime incalcate nella testa
Oggi è pronto un ordine impartito
Già mai peccar d'averlo trasgredito.
Non avevo un lavoro ancor compito
Mi si ordinava più di una faccenda
Svegliati meo presto avrai finito
Se non vuoi che il padrone ti contenda
Vai a pigliar l'acqua e subito ammannito
Bolla il paiolo e la farin discenda
E urla "Aù" prima che sia cotta
Noi si discende e si vien giù di trotta.
Appen la prima fetta in bocca rotta
Forse perchè non rida e che non goda
Mi dan dell'imbecille e di marmotta
Dicendo che è troppo dura e poco cotta
Mentre l'avevo a termine condotta
Con tutta la bontà che il cuoco loda
Prima finisca di mangiare e bere
Mi fan tosto rizzare da sedere.
Meo il carbone vai a rivedere
E bada che non bruci dammi retta
Vai di corsa e non ti trattenere
Non ti scordar il pennato e né l'accetta
Hai da trinciare la legna vai a vedere
Dev'essere già piena la barletta
E portala quassù fai come un razzo
Raccatta il carbone e fai lo spiazzo.
Io delle strade non me ne imbarazzo
Disse il padrone fai quello stradello
Cerca gli zoccoli e legali in un mazzo
E portali lassù dal mio rastrello
Il sommondino è nel fosso a guazzo
Un pò più tardi portaci anche quello
E poi riguarda quelle carbonaie
C'è capre e vacche un l'abbino a sciupare.
Meo la foglia ci hai da raccattare
La carbonaia è quasi calzolata
Tu ci hai della legna da trinciare
Perchè sul capo non è ultimata
Poi per la buca le hai da fare
Bada di non ci mettere una giornata
Preparalo il trigante e l'infoina
Deve fumare innanzi a domattina.
"Aù" il mulattiere si avvicina
Meo il vaglio è rimasto giù nel fosso
Svelto vai a pigliarlo via cammina
Meo avanti che ti sia mosso
C'è rimasto un pò di braschettina
E quattro abbocchi portali su addosso
Alla piazza levata dal fondino
E giungi in piazza innanzi al vetturino.
Le balle butta giù dal mulettino
Manda gli abbocchi manda in qua il carbone
Fai i randoli non far tanto pianino
Dammi una balla svegliati zuccone
Ha un tanfo quella là del Poggettino
Va a tapparlo poi pianta il fittone
Scegli i ramicci trinciali e poi
Finita di coprirla tu l'anfoi.
Bada l'infingardia che non ti annoi
Prepara intanto un corbello di tizzi
Gli spacchi se un bel fuoco far ci vuoi
Se ci hai una scopa sulla buca rizzi
Se hai piacer che si rabbocchi noi
Il tuo lavoro la volontà ci inizi
Prepara intanto un bel monte di terra
Per caricarla in capo questa sera.
Meo legna trinciata non ce n'era
A quella carbonaia del Poggetto
Te l'ho detto stammi con maniera
Mi par che tu lo faccia per dispetto
Cosa farai in questa primavera
Non arrivi alla fine ci scommetto
Ben che è sempre freddo non ti avvedi
Camminando fai il solco con i piedi.
Meo le paravente che tu vedi
Laggiù appoggiate portale a codesta
Quando il sole va sotto se lo credi
Che daffare qualcosa ti ci resta
Dirò alla luna il tempo che ti concedi
Così la mano ti verrà più lesta
Poi legati alla vita la fusciacca
Porta un fascio di legna alla baracca.
Trinciale accendi il fuoco e presto attacca
Il paiolo che bolla alla catena
E poi dopo la farina spacca
Quel tizzo grosso per lume a cena
Non mi ci far trovare qualche tacca
Oppure l'uso qualche brusco appena
Mentre si cena meo dammi il barletto
Meo fammi lume dammi il rocchetto.
Se cento volte al giorno meo ho detto
Alla giornata la notte compete
Meo diventa un nome maledetto
Neppure al buio non ha sangue quiete
Sopra a un duro giaciglio che ha per letto
Al nome meo scattar vedete
Meo il fuoco che il freddo s'interna
Meo tira vento accendi la lanterna.
Meo la notte lunga quasi eterna
Vai a rivedere là quella sommonda
Non ci sia fuoco dalla parte esterna
Oppure quel fuoco se le donda
Montaci sopra e guarda ben discenda
Col piè calcando se da qualche parte sfonda
Quante volte il piè calcando è sfondato
Miracolo se il meo non s'è bruciato.
Mi perseguitò sempre un duro fato
Di giorni notti tempi buoni e crudi
Il meo scalzo pur l'hanno mandato
A lavoro a dispensa perchè sudi
Se il pacco delle scarpe un è arrivato
Non importa andrà coi piedi nudi
Se freddo è e l'unghie vanno via
Non è poi una grossa malattia.
Se qualche volta male mi venia
Di solita polenda mi si pasce
Né latte né caffè non mi si offria
Dunque polenda o ferme le ganasce
Ma tosto brontolare si sentia
Il meo senta l'erba quando nasce
E quando sono stato mezzo morto
Di esser malato non me ne sono accorto.
Quando il padrone così crudo e storto
Meglio stare all'inferno con Minosse
Un pò di riposo un'accenno di conforto
In quel regime credo che ci fosse
Darebbe bene un ordine e conforto
A farlo buono naturale mosse
Ma con questo padrone anche l'orina
Bisogna farla mentre si cammina.
Piansi per gelo nonchè per la brina
Per il trattamento di quell'uomo infame
Costretto a risparmiare la farina
Restavo quassù sempre con la fame
Carne se ne mangia tanto pochina
Adotta dello spiedo del tegame
Il pane lo mangiai per Natale
Più due volte a Pasqua e Carnevale.
La polenda volea con poco sale
Un baccalà ci fece una stagione
La pasta del formaggio era tale e quale
Come del cacio far la comunione
Pure i fagioli non ci facevan male
Salacche e aringhe con di molta arsione
Ma un giorno all'improvviso vidi tosto
Che il padrone mangiava di nascosto.
Quando il padrone così dirò lo pasto
Specie nei giorni che al paese andava
Portami fichi secchi e noci avea proposto
Poi dice che ne ho persi ne ho scordati
Giovane sì ma conosco il suo costo
Stavo attento dove aveva evacuato
E trovo i semi dei suoi fichi secchi
Avea scordati ne ho persi e ne ho promessi.
Tutto ne scriverò se vi interessi
Di immaginar di cosa vuol dire inferno
Ogni danno mi danno ai miei processi
Oppure di innocenza mi governo
Quante volte gli occhi in alto ho messo
E chiesto a mani giunte al padre eterno
Perchè mi tolse il padre in premura
Di vigilar la sua creatura.
Mandando solo fuori a notte oscura
Non so quanto timor al cuor s'annida
Aveo sentito dir che la paura
In un punto sfogasse un omicida
Sento chiamare meo in lingua acuta
Un'altra voce urla par che rida
La terra a tutto mio dice in fretta
I capeli mi alzarono la berretta.
Scappai veloce come una saetta
L'anima di quel morto appresso aveo
Poi seppi che eran l'allocco e la civetta
E un gatto selvaggio chiamar meo
Pensai raccomandar qualche casetta
Ubbedire anche i gatti mi credo
Così passi l'inverno giorno e sera
E due o tre mesi della primavera.
Oh l'aria chiara limpida e leggera
La campagna di fiori e d'erba ornata
Canta l'usignolo con buona maniera
La canzone del meo addolorata
Sorride e canta la natura intera
In mezzo alla campagna terminata
E d'arrivare infondo un lo credeo
Dio mi riguardi di rifarlo il meo.
Meravigliosa ed ogni volta che si rilegge ancora rinnova il vivere quei momenti.
RispondiElimina