domenica 25 settembre 2011

I'm going home

In a few days I' ll be travelling to India for some time. I hope to be able to post  from there. Ciao a tutti!

God Bless You!




domenica 18 settembre 2011

Il vero senso della vita...

Il vero senso della vita è piantare alberi, all'ombra dei quali non siederai mai
Nelson Henderson

The true meaning of life is to plant trees, under whose shade you do not expect to sit

venerdì 16 settembre 2011

Storie di Alberi: i Larici della Val d'Ultimo

Die Urlaerchen. Il "grosso"
In prossimità del paese di Santa Gertrude, nella verdissima e stupenda Val d'Ultimo (rispettivamente St. Gertraud e Ultental in lingua tedesca, non dimentichiamo che ci troviamo in Alto Adige!), vivono tre larici (Larix decidua Miller), considerati tra gli alberi più antichi d'Italia. I tre fratelli si ergono poco lontano dal fondovalle, ad una altitudine di 1.430 mslm, risparmiati dal taglio nei secoli passati in quanto difendono il maso sottostante dal pericolo delle valanghe. Oggi sono ovviamente protetti, e quello dal fusto più grosso è uno dei 150 alberi monumentali d'Italia.
Chiamati dalle genti locali Urlaerchen, ovvero "larici dei tempi che furono", questi alberi dalle forme particolari e dalle impressionanti dimensioni, avrebbero quasi 2.100 anni, e sarebbero quindi contemporanei di Giulio Cesare. L'età attribuita deriverebbe dal conteggio degli anelli del fusto di un quarto fratello, abbattuto dal vento nel 1930. Di questo albero non restano oramai più tracce, così come non esiste alcun documento scritto che attesti quanto dichiarato. Effettivamente, appare alquanto improbabile che i tre larici abbiano veramente più di 2.000 anni (sull'argomento età degli alberi si è già disquisito nel post Storie di Alberi: gli Alberi più vecchi, i più alti, i più grandi, date un'occhiata). Ma nell'impossibilità di determinare esattamente la loro età, è giusto prestare fede alla tradizione popolare, e dare libero sfogo alla fantasia. I tre sono comunque incredibilmente vecchi, e rappresentano una notevole eccezione per la specie, che raramente presenta individui di più di 400 anni di età.

Die Urlaerchen. Il "cavo", e sullo sfondo il "grosso"

Gli Urlaerchen mostrano abbondantemente i segni del tempo e delle tempeste attraversate. Quello dei tre con il fusto più grosso ha una circonferenza di 8,34 metri ed un'altezza di 34,5 m, ed è anche il più vigoroso del gruppo, nonostante abbia recentemente perso la cima. Il secondo larice è il più alto della famiglia, misurando 36,5 m, con una rispettabile circonferenza di 7 metri, e presenta la parte terminale della chioma secca, a causa di un fulmine: un sistema di cavi di acciaio ancorati a terra ne garantisce la stabilità. Il terzo ha la base quasi completamente cava, e vi si può entrare comodamente in piedi e vedere il cielo in alto. Da tempo l'albero si è spezzato a circa sei metri da terra; un ramo ne ha sostituito la cima, e continua a crescere verso la luce.

Die Urlaerchen. L' "alto"

Cartina stradale della Val d'Ultimo

giovedì 8 settembre 2011

Storie di Alberi: il Câd Goddeu e le battaglie di alberi


Infernale macchina da guerra, per combattere i propri simili l'uomo ha attinto a piene mani da tutto ciò che Madre Natura aveva creato per altri scopi, si trattasse di animali, piante, o materie provenienti dal mondo inanimato. Così con il legno degli alberi venivano costruite armi o parti di esse, si realizzavano fortificazioni, ed approntati strumenti quali torri, catapulte ed affini, utilizzate nei lunghi assedi delle città nemiche. Rammaricato però dal fatto che gli alberi, per la loro ontologica staticità, non potessero rivestire in combattimento una corrazza, e parteciparvi attivamente e semi autonomamente, come avveniva con numerose specie di animali, ha sfogato questo suo desiderio latente dando vita, nel corso dei secoli, a leggende e componimenti letterari, in cui le piante divenivano preziose alleate in combattimento.

Uno dei primi episodi conosciuti, sospeso tra realtà storica e fantasia, ci è narrato da Tito Livio, nella sua storia di Roma "Ab Urbe condita libri CXLII", ed è quello dell'agguato della Selva Litana. Avvenuta nell'inverno a cavallo tra il 216 ed il 215 a.C., durante la guerra di Roma con Annibale, in una località imprecisata tra l'appennino tosco-emiliano e l'Emilia (alcuni storici la localizzano sull'appennino pistoiese, tra Lizzano Pistoiese e Lancisa, in un'area assai prossima a dove la tradizione popolare vuole che Annibale abbia attraversato l'appennino), l'agguato vide l'annientamento e la morte di ben 25.000 tra legionari romani e loro alleati, comandati dal console Lucio Postumio, avvenuto ad opera dei Galli Boi, alleati del condottiero africano. I Galli Boi, notevolmente inferiori di numero, "incisero gli alberi a destra ed a sinistra della strada, in maniera che rimanessero in piedi, ma che cadessero al minimo urto". Una volta che i romani si furono addentrati nella Selva, i Boi fecero cadere gli alberi più esterni, generando un gigantesco effetto domino, che seppellì i legionari. Questa fu, tra l'altro, una delle peggiori sconfitte subite da Roma nel corso della sua storia.

Una leggenda narra che San Teodoro di Amasea, soldato romano vissuto nel IV secolo, martirizzato a causa della sua religione cristiana, trovandosi a dovere difendere il territorio dove sorge l'antico centro di Laino Castello, e non disponendo di forze sufficienti, pregò il suo Dio di aiutarlo, e Questi trasformò tutti gli alberi della zona in soldati, che ebbero facilmente ragione del nemico.

Nel Macbeth, una delle (tante) profezie fatte dalle Sorelle Fatali (le Norne), coì recita: "Macbeth non verrà mai sconfitto finchè il grande bosco di Birnan non avanzerà verso l'alto colle di Dunsinane contro di lui". Nella progressiva rovina del Re, Shakespeare fa in modo che la profezia si avveri in una forma verosimile. Infatti i nemici Mc Duff e Malcolm, alla guida di un esercito in marcia verso il castello di Dunsinane, ordinano ai soldati di tagliare i rami del bosco di Birnan, e di avanzare reggendoli in mano, al fine di mascherare il loro numero.

In epoca assai più recente è da ricordare il Signore degli Anelli, con l'episodio del coivolgimento degli Ent e delle Entesse, guidati da Barbalbero, nella battaglia del Bene contro il Male, risultante nell'immensa forza distruttrice degli alberi, che spazzeranno via Saruman il Bianco, lo stregone alleato di Sauron, ed i suoi eserciti. Tolkien si è sicuramente ispirato alle numerose tradizioni fantastiche e mitologiche che riguardano battaglie di alberi, assai diffuse in Scozia e Galles, di cui egli stesso era appassionato conoscitore.

Faggio (Fagus sylvatica)
Arriviamo quindi all'argomento centrale del Post, il CÂD GODDEU. Traducibile come "La Battaglia degli Alberi", il Câd Goddeu è un poema gallese contenuto in un manoscritto del XIII secolo, formato da 246 versi, e suddiviso in molte sezioni. Esso fa parte del Libro di Taliesin, il quale appartiene a sua volta alla tradizione magico esoterica dei bardi celti (poeti, ma anche maghi e depositari del sapere mistico). Taliesin fu infatti, almeno il personaggio storico, esistendone anche uno mitologico, uno dei bardi più importanti e famosi del Galles, ove visse intorno alla seconda metà del 500. Il Câd Goddeu risalirebbe quindi a diversi secoli prima della sua stesura scritta.
Il poema appare enigmatico in molti suoi passaggi, sia per l'impressionante simbolismo che lo permea, sia perchè i suoi versi si alternano a quelli di altri poemi, cosa che rende difficile riconoscere un filo logico che colleghi le varie sezioni. In esso manca anche una qualsiasi descrizione del contesto in cui si inserisce, ed è stato possibile ricostruirlo solo grazie ad altri scritti della tradizione gallese. Secondo questi ultimi, il poema racconta l'antichissimo mito della battaglia tra Arawn, il signore dell'Oltretomba, e Bran da una parte, ed il potente mago Gwydion e suo fratello Amaethon dall'altra. La contesa è originata dal furto di tre animali, perpretato da Amaethon ai danni di Arawn. I tre animali sono un cane bianco, guardiano del Segreto, un capriolo, che nasconde il Segreto, ed una pavoncella, che maschera il Segreto. Segreto probabilmente riferito alla forza spirituale, ed anche alla conoscenza esoterica celata nell'Ogham degli alberi (vedi post Storie di Alberi: l'Ogham, alfabeto celtico degli Alberi). Gwydion riuscirà infine a prevalere, quando indovinerà il nome segreto di Bran, deducendolo dall'albero di ontano che porta inciso sul suo scudo.
Nella parte centrale del poema (il cui testo integrale è riportato in calce al post, e continua in altra pagina, cliccate, mi raccomando!), Gwydion riesce a schierare dalla sua parte una folta schiera di specie non solo arboree, ma anche arbustive ed erbacee, che vengono elencate insieme ad i loro attributi, molti dei quali francamente incomprensibili.
Soprattutto nel XIX secolo, il Câd Goddeu è stato oggetto di numerosi tentativi di interpretazione, in ambiti molto diversi l'uno dall'altro, e su cui non mi soffermerò, rimandandovi per ulteriori approfondimenti alla pagina web La poesia gallese delle origini: il Câd Goddeu. Vorrei solo notare come il poema ribadisca la centralità e la sacralità degli alberi nella cultura celtica, e la loro importanza come veicoli di conoscenza esoterica.
Un'ultima curiosità: il Câd Goddeu, tradotto in sanscrito (!?!) è stato inserito da George Lucas nel primo episodio del film Guerre Stellari.
   


CÂD GODDEU
Sono stato in molte forme,
prima di conseguirne una congeniale.
Sono stato la stretta lama di una spada.
(Ci crederò quando apparirà).
Sono stato una goccia nell'aria.
Sono stato una stella splendente.
Sono stato una parola in un libro.
Sono stato un libro in origine.
Sono stato la luce di una lanterna.
Per un anno e mezzo.
Sono stato un ponte per traversare
sessanta fiumi.
Ho viaggiato in forma di aquila.
Sono stato una barca sul mare.
Sono stato uno stratega in battaglia.
Sono stato i legacci delle fasce di un bimbo.
Sono stato una spada nella mano.
Sono stato uno scudo in battaglia.
Sono stato la corda di un'arpa,
incantata per un anno
nella schiuma dell'acqua.
Sono stato un attizzatoio nel fuoco.
Sono stato un albero di una macchia.
Nulla c'è in cui non sia stato.

lunedì 5 settembre 2011

domenica 4 settembre 2011

Storie di Alberi: il Rito Arboreo della Pitu


Girovagando per il Parco Nazionale del Pollino, mi sono casualmente imbattuto in un rito arboreo praticato nel Comune di Viggianello (Potenza), che, pur non essendo unico, in quanto in uso anche in altri paesi limitrofi, appare quanto meno singolare ed interessante. Si tratta di un rituale, conosciuto anche con il nome di Traino della Cuccagna, che nella sua essenza si perde nella notte dei tempi, ed è chiaramente di matrice pagana, sebbene sia stato sincreticamente riassorbito nel seno della religione cattolica, e fatto coincidere con i festeggiamenti di San Francesco di Paola, patrono di Viggianello, l'ultima domenica di agosto. Il mercoledì precedente, dopo avere ricevuto la benedizione nella chiesa patronale, un nutrito gruppo di uomini e donne di tutte le età si reca nei boschi del Monte Pollino, dove si accampa, trascorrendo la notte tra musica e balli, ed ovviamente mangiando e bevendo in quantità industriali. Il giovedì mattina si procede al taglio della "pitu", un albero di faggio di oltre 20 metri di lunghezza, e di un mezzo metro di diametro. L'albero viene sramato ed accuratamente squadrato, e con il legname residuale vengono realizzati sul posto utensili vari (i più gettonati essendo almeno quest'anno le pale per infornare il pane).

Allestimento della Pitu
La Pitu
Il tronco di faggio viene quindi trasportato fino al Piano del Visitone, un ampio pianoro dove sorge l'accampamento. Il venerdì mattina si procede al taglio della "rocca", un altro albero di dimensioni uguali al primo, e che anticamente era di abete bianco, ma che oggi, vista la rarefazione nella zona di questa specie, è stato sostituito da un altro faggio. Nel pomeriggio comincia il trasporto dei due fusti, trainati da dodici coppie di enormi buoi, animali cari a San Francesco, fatti venire appositamente dalla Maremma, ed adornati con ghirlande di fiori e ramoscelli di abete. I due gruppi vengono chiamati "pitisti" e "rocchisti"; la sera fanno sosta nelle località di Torno e di Prestio, dove la notte trascorre in allegria tra musica, balli, libagioni e vino. Il tragitto fino a Viggianello è lungo una ventina di chilometri, ed è assai impegnativo per i conduttori dei buoi, chiamati gualani, costretti in molte curve a movimentare a mano i tronchi.

Una delle dodici coppie di buoi
Manovra in curva
Il traino
Il sabato pomeriggio si giunge finalmente a Viggianello, dove davanti alla chiesa del Santo si è radunata una grande folla in attesa, autorità comprese. La stanchezza ed il molto vino scorso favoriscono l'esaltazione dei gualani, oramai prossimi alla meta, che incitano continuamente i buoi affidati. Le donne locali si prodigano per offrire a tutti bevande e dolcetti casalinghi, così come avviene sull'uscio delle case prospicienti l'ultimo tratto del percorso. Gli alberi vengono poi trainati nella parte più bassa del paese laddove, la domenica mattina, vengono innalzati uno sopra l'altro, andando la pitu a costituire la parte maschile, e la rocca quella femminile. In questa ottica, il tutto appare come un rito propiziatore di fertilità, il principio maschile e quello femminile, Shiva e Shakti, che si uniscono per ricominciare un nuovo ciclo annuale di vita. L'abete bianco è in molte tradizioni legato alla fertilità, mentre la stessa cosa non si può dire del faggio, la cui scelta è probabilmente legata al fatto che è una delle specie più diffuse ed importanti dell' area. Ci si potrebbe aspettare che un siffatto rito avvenisse in primavera, ma probabilmente l'aggiustamento è dovuto al sincretismo. Nel vicino paese di Rotonda il traino, che si dice sia più antico di quello di Viggianello, appare più calibrato ai ritmi stagionali, e si tiene infatti la prima domenica dopo Pasqua. Un tempo, in occasione della festa, veniva distribuita anche legna da ardere ai cittadini, ed il corteo era accompagnato da musicisti che suonavano strumenti tipici locali, quali l'organetto e la zampogna. Nonostante le inevitabili concessioni alla modernità (esbosco con trattore dei tronchi, musica lanciata a palla da un potente sound system montato su una jeep, presenza di macchine di supporto), l'atmosfera dell'evento appare incredibile soprattutto per la partecipazione popolare; in questa occasione ritornano a Viggianello anche molti dei suoi figli che la povertà passata ha costretto ad emigrare.


sabato 3 settembre 2011