Albero di Peepal (Ficus religiosa) con Sadhu. Varanasi |
Presso tutte le antiche civiltà sono esistite associazioni tra mondo metafisico ed Alberi e Boschi, risultate in un processo di sacralizzazione degli stessi, con effetti di diversa portata sulla vita sociale e spirituale delle varie popolazioni. Nell'Europa antica, alberi e boschi ebbero rilevanza centrale nella religiosità dei Greci, così come dei popoli Germanici e di Roma antica, ma è soprattutto tra i Celti che essi divengono simboli e strumenti della conoscenza iniziatica, luoghi di culto e di insegnamento spirituale, residenza dei druidi, i potentissimi sacerdoti che erano anche maghi e cantori, e fonte di ingredienti per le loro pozioni magiche e medicinali.
Il “progresso” generale delle società e la loro secolarizzazione, con rimozione di buona parte dei significati spirituali della Natura, ostacolo morale allo sfruttamento della stessa, e l’affermarsi di nuove religioni dogmatiche, che vedevano il culto degli alberi, o di qualunque entità non umana, come superstizione pagana in antitesi con la visione antropomorfica dell’assoluto, in definitiva come ignoranza metafisica da rimuovere, hanno ben presto condotto, salvo poche eccezioni geografiche, alla rottura di queste associazioni, alla desacralizzazione degli alberi. Così il cristianesimo già nel 292, con un decreto dell'imperatore Teodosio, proibirà e sanzionerà severamente la dendolatria, considerata come una pratica superstiziosa da estirpare.
Il “progresso” generale delle società e la loro secolarizzazione, con rimozione di buona parte dei significati spirituali della Natura, ostacolo morale allo sfruttamento della stessa, e l’affermarsi di nuove religioni dogmatiche, che vedevano il culto degli alberi, o di qualunque entità non umana, come superstizione pagana in antitesi con la visione antropomorfica dell’assoluto, in definitiva come ignoranza metafisica da rimuovere, hanno ben presto condotto, salvo poche eccezioni geografiche, alla rottura di queste associazioni, alla desacralizzazione degli alberi. Così il cristianesimo già nel 292, con un decreto dell'imperatore Teodosio, proibirà e sanzionerà severamente la dendolatria, considerata come una pratica superstiziosa da estirpare.
In questo contesto, l’India si pone come caso assolutamente particolare nel panorama mondiale: il culto degli alberi, che si perde nella notte dei tempi, canonizzato dalle scritture sacre, ed ancor prima rappresentato su sculture in pietra dell'età del bronzo, continua in forma diffusa ancora oggi, costituendo una corrente tutt’altro che secondaria nell’immenso fiume della devozione e spiritualità indiane. Esso interessa oltretutto, seppure con intensità e con punti di vista differenti, ogni religione dell’India, con l’unica eccezione del sikhismo. La superficie di questo sterminato Paese è cosparsa di maestosi alberi, spesso antichi, dove la gente si ferma a pregare ed a meditare, a cui si offrono cibo, acqua, fiori ed incenso. Talora si stagliano su un crinale, esaltati dalle luci dell’alba o del tramonto, qualche volta troneggiano solitari nelle alti valli montane, oppure si confondono nelle nebbie mattutine della pianura, ma sono sempre una componente del paesaggio e della vita importante, discreta e silenziosa, membri a pieno titolo della comunità. Umanizzati a tal punto che ancora oggi, negli sperduti villaggi dell'India rurale, due piante della stessa specie che crescono accanto sono considerate come marito e moglie, e talora vengono addirittura unite formalmente in matrimonio. Non solo: presso alcune tribù, in situazioni particolari, è tuttora in uso il matrimonio tra un uomo o una donna ed una pianta, che precede il "normale" matrimonio, allo scopo di rimuovere ostacoli vari e di rendere duratura l'unione.
Il Bargad (Ficus benghalensis) all'Hanuman Mandir. Orchha |
L’argomento alberi sacri dell’India risulta estremamente vasto e variegato, reso tale sia dall’elevato numero di specie arboree, ma anche arbustive ed erbacee, coinvolte (se ne contano diverse decine), che dalla quantità di storie, miti e leggende, tratte dalle scritture sacre e dai componimenti epici, che le riguardano. Inoltre, esiste una discreta variabilità regionale sui miti che riguardano le singole specie, così come cambiano localmente le associazioni con le divinità, ed i riti che si compiono al loro cospetto. Se infine consideriamo la tradizione magico-folklorica che circonda molte essenze, filoni che nella cultura indiana sono comunque collegati all’ambito spirituale, otteniamo un quadro ancora più complesso.
Nel mio recente viaggio in India ho percorso, per quanto ho potuto, l’affascinante e meraviglioso mondo degli alberi sacri: la mia idea è ora quella di riproporvi sensazioni e conoscenze acquisite in una serie di post, ben conscio della loro limitatezza e parzialità rispetto al guazzabuglio reale. Oltretutto, a fronte di decine di libri e libercoli vari sui “Birds of India”, non c’è verso di trovare un libro completo sulle specie arboree indiane, ed anche libri dedicati al tema “Alberi Sacri” sono pressoché introvabili. Infine, a complicare le cose, c’è la particolarità tutta indiana di chiamare con lo stesso nome specie differenti. Così ho faticato non poco a capire che con il nome di Ber, per esempio, gli indiani chiamano sia il Ficus benghalensis che lo Zizyphus mauritiana, ambedue, ovviamente, alberi sacri (così come, anche se queste non sono specie sacre, con il nome di cir vengono appellate buona parte delle conifere montane, siano esse pini, abeti o picee). Consolato comunque dal sapere che, essendo il fenomeno ancora più diffuso nell’antichità, l’accavallarsi dei nomi ha fatto scervellare generazioni di studiosi, con ben altre implicazioni delle mie.
Lal Bandar Peepal. Varanasi |